Si è conclusa con i regionali da Milano e Bologna pieni, qualche coda all'ingresso, gli sguardi di stupore di chi è arrivato lungo ma proprio non poteva perdersi l'appuntamento e con quelli beati di chi c'era già stato due o tre volte, e si è voluto concedere un'altra visita (vi assicuriamo che sono stati parecchi). Queste le immagini che più ci hanno colpito dal fine settimana in cui Reggio Emilia ha salutato Felicitazioni! CCCP Fedeli alla linea 1984-2024, la mostra che celebra i quarant'anni dei CCCP.
Era l'ultimo weekend di un'esposizione che andava avanti da quest'autunno, che è stata prorogata a furor di popolo dopo aver accumulato decine di migliaia di presenze pressoché tutte entusiaste di quello a cui stavano assistendo. È stata la prima grande tappa (poi sono arrivati i live a Berlino, un disco e arriverà anche un tour italiano) del percorso di risveglio della "cellula dormiente" CCCP e, oltre a fare felici tantissimi fan, in questi mesi, e forse per sempre, ha cambiato l'immagine di Reggio Emilia, la città dei membri della band e "l'unica dove una cosa del genere sarebbe stata possibile".
Reggio (e dintorni), come ci racconta Max Collini in questa puntata del nostro podcast Venticinque, ha un ruolo unico nella storia della musica italiana. Quella mainstream – due nomi su tutti: Zucchero e Ligabue –, e soprattutto quella cosiddetta alternativa, con i CCCP e tutte le successive emanazioni, gli Offlaga Disco Pax, Giardini di Mirò e tanti altri. In questa mostra la città ("la più filosovietica del blocco occidentale") sono protagonisti quasi quanto Giovanni Lindo Ferretti e soci. Un giusto riconoscimento per un luogo fuori dai grandi circuiti, eppure vivissimo nella sua unicità.
Nei giorni della mostra, soprattutto nel fine settimana, Reggio era bellissima, piena di gente di età varie accomunata dalla stessa passione. Insomma, la musica sa fare del bene anche quando finisce in museo. Ne abbiamo parlato con Davide Zanichelli, direttore della Fondazione Palazzo Magnani. È una fondazione pubblico-privata, partecipata dal Comune Reggio Emilia, che gestisce la struttura che le dà il nome, Palazzo Magnani, oltre a Palazzo Da Mosto, una delle più significative dimore reggiane quattrocentesche, e il complesso monumentale dei Chiostri di San Pietro, di cui gestiscono le attività. Felicitazioni! si trovava in questo spazio strepitoso, il cui contributo al successo della mostra (45mila biglietti venduti circa!) è certamente stato rilevante.
Partiamo dai Chiostri. Che posto sono?
I Chiostri nascono come monastero benedettino, su disegno di Giulio Romano, che dà vita a un impianto monumentale che lascia a bocca aperta. La storia di questo posto nei secoli è stata travagliata. Finalmente, all'inizio degli anni 2000, è diventato di proprietà del Comune. Fino al 2018 è stato sottoutilizzato, sempre con progetti temporanei ed estemporanei, in deroga. Dopo che è stato completato il restauro conservativo, i Chiostri sono stati restiuiti alla città, assieme al laboratorio che si trova subito fuori dalla struttura.
Cosa si fa normalmente nei Chiostri?
In primavera si tiene la rassegna Fotografia Europea e d'estate organizziamo concerti. La mostra dei CCCP è stata un evento senza precedenti per il luogo, fuori dalla programmazione ordinaria. Se ne sono accorti anche i visitatori, visto che il piano sopra non era riscaldato. Un po' era per rimandare a un'altra epoca e a altri contesti, un po' è che quei locali di solito si usano solo nella bella stagione. La mostra ci ha permesso di far conoscere un luogo prezioso a tanta gente (oltre l'80% circa dei visitatori viene da fuori città), ma anche il "reggiano medio" ha ancora tanto da scoprire dei Chiostri. Sarà uno dei poli di sviluppo di innovazione culturale e sociale dei prossimi anni. Proprio perché siamo in un contenitore storico, lavoriamo sulla contemporaneità, su contenuti magari storicizzati ma sempre e comunque attuali.
Com'è stato scelto il posto?
Per via delle sue caratteristiche. Il chiostro è monumentale, ma da fuori non si vede per via del muro di cinta alto del monastero: questo contribuisce a creare l'effetto di stupore negli spettatori. E poi le caratteristiche dello spazio erano ideali per l'idea di allestimento che avevamo in mente. Uno dei rischi su cui ci siamo interrogati all'inizio era quello di fare una mostra reducistica, una specie di reliquiario. Lo spazio imponente, labirintico e così connotato, con 25 sale tematiche, ci ha permesso di dare vita a un effetto immersione, che ha coinvolto in maniera significativa le persone.
La permanenza media degli spettatori mi è sembrata molto alta.
La gente mediamente ha sostato per più di due ore negli spazi della mostra, nonostante il freddo. E più di uno è tornato due o magari tre volte.
Quanto tempo avete lavorato alla produzione e all'allestimento?
La mostra è stata proposta dai membri dei CCCP nel novembre 2022, quindi con un anno di anticipo rispetto all'apertura. Il sindaco di Reggio Emilia e l'assessore alla Cultura a quel punto hanno contattato la fondazione, che a sua volta ha dato immediatamente parere positivo. Eravamo tutti concordi sul fatto che solo a Reggio, almeno in prima battuta, si sarebbe potuta allestire una cosa così. Poi il lavoro è proceduto in maniera serrata: Annarella – che è l'amministratrice delegata e l'esecutrice testamentaria del gruppo, come dice Ferretti, e aveva tutti materiali – e Massimo Zamboni, per questioni logistiche, sono stati i più presenti, ma tutti e quattro i membri originali della band erano molto dentro ai processi. Il progetto è stato meticoloso e quotidiano: stanza per stanza è stata curata e limata ogni cosa.
Quando hai capito che stava venendo qualcosa di potente?
Quando ho visto posizionato il pezzo del Muro di Berlino all’interno del check point, con i cavalli di frisia e tutto il resto: in quel frangente ho capito che quello che avevamo immaginato stava prendendo forma. Parlando con le persone, la cosa che ha colpito di più della mostra è la sua attualità, la contemporaneità del messaggio, del codice e dei contenuti delle canzoni. D'altra parte i CCCP sono stati anticipatori di numerose delle tematiche con cui ci confrontiamo quotidianamente oggi.
Che dati avete sugli spettatori?
Abbiamo fatto compilare un questionario, ma dobbiamo ancora elaborare i dati. Come detto, vengono quasi tutti da fuori città e in molti casi anche da molto lontano. Abbiamo avuto persone da Polonia, Repubblica Ceca, Germania e Inghilterra. La fascia d'età più rappresentata è stata quella tra i 40 e i 60 anni. In non pochi casi c'erano anche adolescenti e giovani adulti, magari accompagnati da genitori.
Cosa rappresentano i CCCP per un reggiano?
C’è questa frase di Bonazzi, sindaco degli anni '70, tra i più importanti della storia di Reggio, uno molto attento ai movimenti culturali. Quando li incontrò disse: "Non è quello che stiamo cercando, ma quello di cui avevamo bisogno". Solo Reggio, con la sua storia, poetica ed estetica, forse più immaginata che agita, e i suoi legami con il mondo oltre Cortina, poteva generare un fenomento così identitario. Capace allo stesso tempo di porci domande sul futuro.
E per te, che sei reggiano a tua volta?
Non ero un loro fan sfegatato ai tempi. Ovviamente li conoscevo bene, anche perché ho origini montanare come alcuni di loro. Ma sono sempre stato affascinato dall'energia che il loro messaggio è in grado di muovere. Lo ho capito una volta di più con la serie di eventi “Danni collaterali”, il programma di eventi in appoggio alla mostra, con cui abbiamo approfondito le varie sfaccettature che la poetica dei CCCP continua a sollecitarci.
Da un punto di vista culturale e artistico Reggio è un posto "sottovalutato"?
Rispetto alle città a noi vicine abbiamo un patrimonio storico inferiore, non abbiamo rendite di posizione da difendere. Proprio per questo abbiamo una forte spinta alla sperimentazione e a lavorare su idee di futuro. Sono stati fatti grandi investimenti sull'educazione, che stanno dando grandi risultati, come il Reggio Emilia Approach e il Centro Internazionale Loris Malaguzzi. E abbiamo un focus importante sull'arte contemporanea: qua ad esempio c'è la Collezione Maramotti, tra le più grandi in Europa nel suo genere.
Perché la musica – anche quella contemporanea, anche quella indipendente – può divenire oggetto di una mostra d'arte?
Arte è tutto ciò che ha qualcosa da dire e la volontà di dirlo. La musica smuove e motiva persone a fare, a cambiare, anche a rivoluzionare uno stato di cose. Quindi è arte di fatto. Magari in futuro un'altra band, piu o meno storicizzata, potrà essere oggetto di un lavoro simile a quello che abbiamo fatto sui CCCP, secondo me dipende da quanto è attuale il contenuto che porta.
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L'articolo La mostra sui CCCP ha dato il giusto riconoscimento all'unicità di Reggio Emilia di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-03-11 13:57:00
COMMENTI (1)
Vista 2 volte in occasione del Gran Gala e diun incontro Danni Collaterali, oltre che il 10 Marzo per la chiusura... Eccezzionale, anche dissociandola dall parte fan, è una mostra di storia contemporanea meravigliosa