Il muro del canto hanno chiuso la prima edizione dello Steampunk Fest di Roma. L'hanno chiusa alla grande.
Sandro Giorello racconta.
E' la prima volta che li vedo dal vivo. Non li si può più considerare un gruppo emergente, a spanne sotto il palco ci sarà stato un migliaio di persone. Poi sono già al terzo disco (due LP e un EP, due su tre li abbiamo presentati in ascolto esclusivo). Ma fuori Roma – e per altro non suonano quasi mai fuori Roma - è difficile inquadrarli. Di primissimo impatto sono potenti: tutti vestiti di nero, batterista in piedi, il cantante che si mettere sul palco come se fosse il leader di un gruppo oi, con il piede sul monitor, il microfono tenuto in mano e alto, e senza quasi mai proferir parola tra un pezzo e l'altro, a presentarli ci pensa il batterista. Si presentano cupi, schivi, e ben si sposa con i testi crudi delle canzoni. Canzoni che partono dalla tradizione popolare romana, ne conservano quell'aspetto diretto e grezzo, ma ovviamente lontano nel tempo, e ne esce un tipo di eleganza incazzata, decisamente anticlericale, tipo quelli che bestemmiano in silenzio per rispetto ai presenti ai cui potrebbe dar fastidio. A completare il quadro due interventi in rima, una sorta di piccola parentesi teatrale dove il batterista legge dei racconti in forma di sonetto: uno dedicato alla giornata del coatto al centro commerciale e l'altro dedicato al funerale del coatto che dalla tomba si sfoga contro il prete.
L'impatto, quindi, è potente. Sono personali, il rischio di confonderli con gli Ardecore è pressoché nullo. Molto più Bad Seeds e decisamente meno folk. E quando fanno la cover di “Malarazza” di Modugno, dopo anni che te la sei ficcata in testa nella versione di Roy Paci fino alla nausea, sembra rifatta dagli Spiritual Front. Quindi una bomba. Se ci sono da fare degli appunti: dopo l'ora abbondante di concerto le canzoni iniziano un po' ad assomigliarsi – le melodie alla fine son sempre quelle – e forse la sezione ritmica sulle canzoni più tirate non esplode come dovrebbe. Poi, sono molto politicizzati: la cosa di per sé non è un problema, ma un ho po' la paura che prima o poi prendano la via dello slogan facile così il pubblico si infiamma prima – alla Modena City Ramblers, per capirci - per ora sembra che stiano mostrando solo il loro lato più genuino. Poi si vedrà.
Hanno un potenziale enorme, un immaginario definito e affascinante che potrebbe essere capito anche meglio all'estero che fuori dai 15 municipi di Roma Capitale. Lo so che sembra assurdo ma secondo me è così. Staremo a vedere.
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L'articolo Il muro del canto allo Steampunk Festival di Roma di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2014-09-14 00:00:00
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