Andrea Laszlo De Simone è uno dei più bravi cantautori che il nostro Paese abbia avuto negli ultimi vent'anni, penso su questo siamo tutti d'accordo. Sfugge da ogni regola e da ogni definizione, quando pensi di averlo inquadrato sparisce e poi riappare, dal nulla, senza fare troppo rumore: ci pensa la sua musica a farlo.
Così dopo aver pubblicato lo splendido Immensità nel 2019 e poi i singoli Dal giorno in cui sei nato tu, dedicato al figlio (2020) e Vivo (2021), dopo aver fatto il primo film concerto da guardare in streaming durante la pandemia del 2021 (prodotto da MI AMI) e dopo aver fatto alcune date meravigliose in tour in Italia e Francia con la sua Immensità Orchestra, ci aveva stupito tutti, di nuovo, annunciando di voler sospendere l'attività live a tempo indeterminato per dedicarsi alla famiglia e concentrarsi sulla composizione e produzione musicale.
L'avevamo lasciato lì, in hiatus e niente presagiva l'uscita in segreto della canzone I nostri giorni, apparsa sulle piattaforme in streaming per 42 Records. Non è un singolo, non è un preludio a un nuovo lavoro. Non anticipa un nuovo disco, ma chiude un cerchio. I nostri giorni è l’altra faccia di Vivo. Insieme queste due canzoni celebrano l'esistenza nei suoi aspetti più puri e in certi casi anche tragici.
Di nuovo, De Simone fa cinema con la sua musica grazie all'utilizzo dei fiati, dei cori, degli archi e delle percussioni orchestrali per un arrangiamento che ricorda il periodo spaghetti western di Ennio Morricone. Il brano parla di morte e di attesa che torni la vita, di un mondo intero barricato in casa, armato di sogni, in attesa che torni la vita. Se durante il pieno della pandemia ha preferito pubblicare un pezzo che parlava della vita, senza retorica o ottimismi fuori luogo, oggi che la pandemia sembra aver trovato requie sembra indagare ciò che è successo in quegli anni che, con tutta probabilità, non abbiamo ancora metabolizzato, e della nuova paura della guerra.
Come spiega Andrea Laszlo De Simone nel lungo post che accompagna l'uscita della canzone, non sembra esplicitamente scritta per affrontare il periodo pandemico, ma lo stesso brano col passare del tempo ha acquisito nuovi significati e sfumature. Qui sotto il suo post sul tema, in versione integrale, mentre noi godiamo ancora una volta della splendida musica di un artista più unico che raro.
Non sempre riesco ad afferrare la realtà e a distinguerla dall’opinione, un po’ come nel caso di alcuni esperimenti scientifici in cui l’osservatore stesso influenza l’esito dell’esperimento.
Per spiegarmi meglio provo a partire da un dato apparentemente incontrovertibile: ho 36 anni, l’anagrafe lo certifica, il bagaglio delle mie esperienze lo ribadisce, il mio aspetto lo tradisce e chi vive da prima di me lo testimonia.
Dunque sono un uomo adulto.
Ciononostante chi è più grande di me tende a considerarmi poco più di un bambino.
Lo fanno gli anziani, i genitori, lo Stato…ma è comprensibile.
Credo che la percezione della realtà cambi in base alla proporzione che intercorre fra il tempo già vissuto e quello che resta ancora da vivere ed è ulteriormente alterata dal ruolo che si ricopre in società.
La matematica applicata alla società si arricchisce di sentimenti, di emotività e di significati e si deforma facendo sorgere il dubbio che lei stessa possa avere le medesime caratteristiche dell’opinione.
Tre più tre fa sei, ma se parliamo di gelati o di morti il risultato emotivo cambia drasticamente e può ulteriormente cambiare se consideriamo anche il rapporto che l’osservatore ha con gli oggetti in questione: sei gelati per un diabetico non hanno lo stesso ruolo che hanno per una persona fisicamente sana e particolarmente golosa.
L’idea stessa di “vita” prende un' accezione positiva in relazione all’opinione che generalmente abbiamo della morte, così come l’idea di gioia si struttura in contrapposizione alle sensazioni che genera la tristezza.
Tornando a noi, chi mi considera ancora un bambino probabilmente si sbaglia, ma non ha tutti i torti.
A pensarci bene, noi tutti osservati da una certa distanza abbiamo la stessa postura di certi bambini che a partire dalla fine degli anni ’80 armeggiavano con il Game Boy, circondati da un mondo che si domandava ancora se l’esposizione prolungata ad oggetti simili potesse far male.
Ho riflettuto sugli eventi e sui protagonisti dell’era moderna e sono arrivato alla conclusione che nonostante siano molti, probabilmente il vero grande e grosso protagonista dei nostri giorni sono i mezzi di comunicazione e la loro evoluzione.
Mentre all’inizio del secolo scorso erano strumenti in grado di far piovere la “verità” dall’alto illudendoci di avere dati certi attorno ai quali orientare la nostra morale e le nostre opinioni, oggi sono oggetti che teniamo nel palmo della mano e ci permettono di generare, condividere e fruire contenuti di qualsiasi genere.
Sono certo che negli ultimi due o tre anni sia capitato ad ognuno di voi di trovarsi improvvisamente in disaccordo su questioni riguardanti le sorti del mondo confrontandovi con qualcuno con il quale di norma avete sempre condiviso opinioni, ideali e morale.
E’ successo anche a me.
Non che ci sia niente di male ad avere opinioni differenti, ma sono rimasto colpito.
Credo che in realtà sia una diretta o indiretta responsabilità dello strumento in sè che ha nel suo DNA la capacità di mutare il proprio contenuto in base a chi lo sta utilizzando.
E’ un po’ come se comprassimo tutti l’ultimo libro uscito e lo leggessimo convinti di star leggendo lo stesso volume acquistato anche dagli altri, ma in realtà solo la copertina e il nome dei protagonisti restano immutati, mentre l’autore, le dinamiche della vicenda e la morale possono alterarsi fino a cambiare completamente.
“I nostri giorni” è una canzone che ho scritto circa 3 anni fa e pur non avendo mai rimesso mano al testo, in questo breve e intensissimo lasso di tempo ho visto mutare il suo significato varie volte, perché è cambiato il contesto e perché sono cambiato anche io.
Oggi passerà attraverso il filtro dei mezzi di comunicazione e non ho idea di come questo la trasformerà ancora né di come potrà essere percepita.
“I nostri giorni” è l’altra faccia di “Vivo”, sono due canzoni legate fra di loro come lo sono la gioia e la tristezza, la tragedia e la consolazione, la vita e la morte.
A tutti voi chiedo scusa perché è una canzone molto triste e ultimamente di sentimenti del genere ne abbiamo respirati parecchi, ma gli ultimi anni mi hanno insegnato che noi esseri umani siamo dotati di un coraggio eccezionale se nonostante tutto continuiamo, chi più e chi meno, a conservare questa meravigliosa, perversa e sana voglia di vivere…i nostri giorni. Supereremo anche questa.
Grazie per l’attenzione e soprattutto per il coraggio.
Buon ascolto e buona visione.---
L'articolo La musica di Andrea Laszlo De Simone è un dono di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2022-09-16 14:25:00
COMMENTI