Ma quindi, le parole del CTS sulle "riaperture" degli eventi dal vivo rappresentano una bella notizia oppure no? Dalle reazioni delle ultime ore non è del tutto chiaro. E allora la prima cosa da fare è capire meglio cosa c'è veramente dietro alle dichiarazioni che hanno fatto seguito all'incontro delle scorse ore del Comitato Tecnico Scientifico, il pool di medici e altri professionisti ed esperti che dall'inizio della pandemia affianca l'esecutivo per indirizzare le decisioni alla luce di evidenze e pareri dettati dalla scienza.
Non esiste per ora – o per lo meno lo abbiamo cercato a lungo ma non lo abbiamo trovato – un testo esatto da cui le dichiarazioni siano tratte. C'è poi il fatto che il CTS ha potere consultivo: a decidere sarà poi il legislatore, con la prossima riunione del Consiglio dei Ministri che dovrebbe tenersi già mercoledì. Ma, va detto, fin qua i "consigli" del Comitato sono stati recepiti quasi sempre e quasi in toto dai due governi che si sono passati il testimone in questo anno e mezzo di convivenza con il Covid, ed è difficile immaginare che questa volta possa avvenire il contrario.
Ok, che cos'ha detto dunque il CTS? Che, vista la situazione dei contagi e quella dei vaccini, si possono aumentare le capienze per lo sport e lo spettacolo: negli stadi, dove già i tifosi sono tornati in presenza da qualche tempo, si può passare dall'attuale 50 al 75% delle presenze, mentre nei palazzetti (principalmente nel loro uso connesso agli eventi sportivi, viene da presumere) si va dal 25% attuale al 50%. Per quanto riguarda cinema, teatri e sale concerti si passa al 100% all'aperto (vivessimo a Tenerife, il problema non si porrebbe) e all'80% al chiuso.
Nessuna restrizione per i musei, mentre le discoteche invece saltano ancora un giro. Per loro, per il momento, non c'è nemmeno una data di riapertura e le proteste nelle ultime ore stanno cominciando a montare. La situazione del comparto è drammatica, tantissimi proprietari hanno già detto che non riapriranno più (c'è chi calcola il 30% del totale!). Sono stati completamente dimenticati, quando non derisi.
Le "riaperture" valgono solo per persone munite di Green Pass e rimane l'obbligo della mascherina al chiuso. Gli eventi si potranno tenere, da quel che si apprende, solo nelle regioni in zona bianca, il che rappresenta il problema minore se il trend degli ultimi mesi di bassi contagi sarà confermato. Tutto il resto – ma sono tutto tranne che dettagli, soprattutto per quel che riguarda la musica – nelle parole del CTS giunte a noi tramite gli organi di stampa non c'è, e si può solo desumere.
Anzitutto il fatto che si continui a parlare di eventi "seduti". Che di questo si tratti non sappiamo se sia chiaro a tutti, o forse è ormai dato talmente per scontato che nemmeno viene più specificato. E qui veniamo alla questione: accanto a teatri e altri locali per loro conformazione predisposti alla presenza di sedute (per cui non so se oggi si possa festeggiare, ma probabilmente parliamo di notizie non così pessime), ce ne sono tanti che, semplicemente, non funzionano così. Ultima ruota della carretta della cultura di questo Paese da sempre, per club e locali per la musica dal vivo quest'aumento delle capienze rischia di essere un pannicello nemmeno troppo caldo, se non proprio una beffa.
In un live club – erano pochi due anni fa e rimasti sono pochissimi adesso in Italia, ma significano molto per parecchie persone – qual è la capienza totale, una volta poste le sedute? Di conseguenza qual è il 75% di quella capienza? Che prezzi bisogna mettere a un evento per renderlo sostenibile? Questo ponendo l'ipotesi che dall'autunno, dopo quello che abbiamo passato, la gente sia pronta a tornare "in massa" a sentire un concerto al chiuso: i primissimi numeri giunti da cinema e altre realtà "pioniere" delle riaperture non danno garanzie in tal senso. Senza contare che per determinanti eventi questo tipo di fruizione sta diventando frustrante e molti la rifiuteranno.
Ci sono poi questioni più tecniche e altre, per chi ha ancora tempo e cuore di occuparsene, più filosofiche. Chi decide e chi vigila sulle capienze e le distanze e sul loro rispetto? Continueremo ad assistere a organizzatori di eventi e proprietari di locali indossare la "divisa" e passare le proprie serate a dire alle persone cosa non si deve fare, invece che a cercare di assicurare il loro svago e il loro benessere?
Solo pochi giorni fa i produttori di musica live e le Associazioni di categoria (tra cui Assomusica) invitavano il Governo a riaprire col 100% della capienza, per un settore che è in ginocchio. Tutti uniti (o quasi) assieme, dalle multinazionali agli indipendenti, hanno sollecitato il Presidente del Consiglio Mario Draghi affinché la ripartenza non avvenga a step ma immediatamente al completo, come già avviene in Paesi come Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Inghilterra, Israele, Lettonia, Lituania, Olanda, Stati Uniti, Svizzera e Ungheria. Le immagini che giungono da lì (chissà perché ci sono sempre in mezzo i Maneskin) sono negli occhi di tutti.
La loro è stata una presa di posizione netta, e altrettanto quella della SIAE, che ha già commentato le parole del CTS, definita insufficiente e non oggettivamente motivate. In una nota si legge sostiene che: "paradossalmente in Italia abbiamo il numero di vaccinati più alto d'Europa e le misure più restrittive. Un intero comparto, quello dell'industria dello spettacolo, della cultura e dell'intrattenimento rischia di essere cancellato, soprattutto con riferimento a quei settori (musica, concerti, discoteche e locali da ballo) che non vivono di contributi pubblici. Ormai è un rischio reale e per capirlo basterebbe un po' di buonsenso".
SIAE – che ha lanciato un appello alle riaperture complete sul sito cultura100x100.it che in pochi giorni ha già raccolto 15mila firme – ha ragione da vendere. Il punto, ci pare, è questo: la gradualità con cui scienziati e politici stanno tirando su la saracinesca all'Italia, di per sé, ha senso eccome e questa strategia ha indubbiamente pagato dei dividendi fino a questo momento da un punto di vista del contenimento del contagio, però arriva un momento che non è più sostenibile.
Per la musica dal vivo – parliamo di questo mondo, perché lo conosciamo, ne facciamo parte e ci sta a cuore – quel momento è arrivato, anzi è ampiamente superato. Quindi, in una situazione oggettivamente favorevole (grazie agli sforzi di tutti) da un punto di vista medico e con uno strumento potentissimo (e "grave", visto che limita le libertà delle persone) come il Green Pass in mano, il momento del cambio di passo non può che essere questo.
Per un motivo semplice: farlo domani non sarebbe più utile. Perché sarebbe troppo tardi. La cautela, per chi ha dato davvero tanto, non può essere sempre la risposta. Anche perché parliamo di entità la cui programmazione del lavoro si basa su cicli di trimestri o semestri per lo meno: far partire o meno una stagione, disporre del personale, fare la manutenzione, creare dei calendari, organizzare la logistica. Le tournée senza garanzie non partiranno, e non sono cose che si recuperano dall'oggi al domani. "Perdere" ottobre (il CTS, più o meno, dice che è utile prendersi un altro mese per delle valutazioni di procede la pandemia) può voler dire perdere tutto l'autunno e tutto l'inverno. Abbiamo già visto chi ha detto di doversi sfilare, in caso manchino le certezze.
Chiudiamo con queste parole "regalate" a Rockit da La Musica Che Gira, il coordinamento composto da lavoratori, artisti, imprenditori e professionisti della musica che in questi mesi è stato in prima linea per dare dignità e futuro al settore: "L’evento pandemico riguarda tutti, per definizione, crediamo che sia il caso di spostare i discorsi su un piano un po’ più globale, verrebbe quasi voglia di rispolverare il sempreverde 'ce lo chiede l’Europa'. Se tutti gli altri Paesi sono riusciti a tutelare il valore economico e culturale di un settore come il nostro usando uno strumento come il Green Pass - che si è rivelato utile a far ripartire gli spettacoli al 100% della capienza - non si comprende come mai sono in Italia questo sistema non si possa applicare".
Ma, ed è bene tenerlo a mente, non è "solo" una questione di riaperture: "E sempre in tema di parità di trattamento non vorremmo che si perdessero di vista altre due priorità, altri due temi sui quali il nostro Paese è ancora tremendamente in ritardo: una politica di sostegni che accompagni lavoratori e aziende verso una normalità che è ancora lungi dall’arrivare e una riforma che finalmente si occupi in maniera davvero risolutiva di lavoratori, di spazi, di imprese culturali e creative. Solo così possiamo venire fuori da questa crisi meno fragili di come ci siamo entrati. È la combinazione di questi interventi che può garantire una tenuta solida, non è tempo di miopia, abbiamo il dovere - nonostante l’emergenza - di guardare un po’ più in là".
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L'articolo Musica dal vivo: il tempo della gradualità purtroppo è finito di Dario Falcini, Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-09-28 15:31:00
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