Esiste un momento nella vita di ogni individuo in cui bisogna fare una serie di scelte dolorose. Quel momento coincide spesso con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e le scelte che siamo chiamati a compiere riguardano anche la musica: ciò che ascolti diventa ciò che sei, al pari dei vestiti che indossi e dei film che guardi. La musica definisce la tua posizione nei confronti del mondo e parla agli altri della tua anima, della tua personalità. Nello scenario più semplice un ragazzino decide che la musica pop, quella che passa in radio e riempie gli stadi, è quella giusta; ma se quel ragazzino decide invece che il mainstream è semplicemente troppo scontato, il gioco si complica. Negli anni della ribellione, delle sigarette fumate di nascosto e delle magliette dei Nirvana non c’è posto per il pop.
Ascoltare generi musicali sconosciuti alla massa è un modo per riconoscere i propri simili e sentirsi speciali, diversi, complicati. Più semplicemente, nel marasma ormonale dell’adolescenza il pop non riesce a confrontarsi con il tema del conflitto. Più o meno. Alla fine da ubriachi si finisce a cantare le canzoni più semplici e orecchiabili, e quel verso di Baglioni la lacrimuccia la fa scendere sempre. Non è che in fondo in fondo il pop ci è sempre piaciuto?
(Baglioni, esistenzialista prima di te. Immagine via)
Passano gli anni, il liceo finisce e la vita sembra insieme più facile e dannatamente più complicata. Senza le pressioni sociali della terra di mezzo tra ragazzini e adulti, senza il giudizio del branco e con una buona dose di consapevolezza nell’invecchiare, di colpo Masini non sembra più così reazionario. Ascoltare la musica che ascoltavano i nostri genitori non suona più come una bestemmia, forse perché smettiamo di avere paura di diventare come loro. Lo snobismo giovanile nei confronti della melodia a un certo punto cede, vuoi per amore della musica nella sua interezza, vuoi per orgogliosa rivendicazione. In macchina si canta Tiziano Ferro, su YouTube si guarda il video di Adele: sono i guilty pleasure che anche l’ascoltatore più colto ed esigente può finalmente permettersi.
A prescindere dall'età anagrafica di ognuno, oggi forse è meno complicato fare coming out in questo senso, perché le suddivisioni tra i generi musicali non sono mai state così fluide. Lo sono sicuramente negli Stati Uniti, come dimostrano ad esempio i featuring tra Miley Cyrus e i Flaming Lips o tra Eddie Vedder e Beyoncé, ma in misura minore anche l'Italia sta andando verso questa direzione: gran parte di quello che una volta si chiamava "indie italiano" ha rivendicato il pop come genere permeabile, c’è chi si diverte a rimanere a cavallo come Levante, chi mette "Mainstream" direttamente nel titolo dell’album e chi apre i live con Venditti come i Thegiornalisti.
(Calcutta quando ci è venuto a trovare in redazione, qualche mese fa)
Da qualche anno a questa parte molti artisti della scena indipendente sono diventati autori per musicisti mainstream: non stupisce, quindi, che Luca Carboni abbia voluto Tommaso Paradiso e Alessandro Raina per scrivere le hit del suo grande ritorno sulle scene (una cosa che ci racconterà durante il nostro prossimo Better Days Festival). Stessa cosa per Jovanotti che ha scritto il tormentone estivo "L’estate addosso" con Vasco Brondi, ha fatto aprire alcuni suoi concerti ai Tre Allegri Ragazzi Morti, i quali sono passati con naturalezza “dal centro sociale alla piazza della cattedrale”, per dirlo con le parole di Brondi. Se per questo molti hanno promosso Jovanotti allo status di mente illuminata del mainstream, la scelta di Toffolo & co avrebbe potuto sollevare più di una polemica, facendo gridare allo scandalo per aver firmato un patto con il nemico. Nessuno ha invece preparato la forca, forse perché l’apertura al pop da stadio non è più motivo di disgusto.
Non che il fenomeno sia davvero una novità (basta guardare ai concorrenti di Sanremo degli ultimi 20 anni), ma ciò che invece è molto cambiato negli anni è la libertà di questa rivendicazione: da una parte l’artista indipendente che collabora con l'ambiente mainstream riduce finalmente la possibilità di farsi chiamare “venduto”, dall'altra l’ascoltatore non deve più scegliere con inossidabile e macho dualismo tra musica commerciale e musica "colta".
(Miley Cyrus sul palco con i Flaming Lips)
È vero che certe dinamiche sono dure da estirpare, e il discorso sulla coesistenza e relazione tra musica pop e musica “alternativa” potrebbe durare all’infinito. In più un punto di vista unanime è praticamente impossibile da raggiungere, considerando come sempre che i gusti musicali sono soggettivi e inalienabili. Ciò di cui è possibile discutere però è la questione della percezione. Innegabilmente in certi ambienti la presa di posizione nei confronti del pop è cambiata. Semplicemente perché non è più una presa di posizione. Demonizzare tutto ciò che è (o viene visto come) commerciale non è più la strada più battuta, e collaborazioni un tempo considerate illogiche sono oggi accolte a braccia aperte, o meglio, a mente aperta.
Facendo un coraggioso paragone con il discorso generazionale di cui sopra, potremmo dire che la scena indipendente italiana sta finalmente uscendo dalla sua fase adolescenziale. Consapevolmente o meno, un muro è stato abbattuto e sta permettendo una rigogliosa fioritura di collaborazioni e nuovi lavori discografici fortemente influenzati dalla riscoperta delle nostre radici pop. D'altronde, se negli Stati Uniti Diplo scrive per Beyoncé, perché Populous non può fare lo stesso con Emma Marrone?
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L'articolo Chi ha paura della musica pop? di Eva Cabras è apparso su Rockit.it il 2016-01-07 12:06:00
COMMENTI (7)
L' indie diventa mainstream, un nuovo indie verrà fuori. Semplice, come sempre.
Guardate più in basso di quel palloso di Brondi e quel buonista-per-forza do Giovanotti, troverete merda buona.
A me sembra che qui stiamo un po' generalizzando,perche' siamo d'accordo che e' importante togliere qualche paraocchio ogni tanto ma uno non deve neanche aprire le porte cosi' a caso. In italia c'e' tanta e tanta musica di merda,pop oppure pop che fa finta di essere altro e c'e' tanta musica furba perche' qualche cretino si e' reso conto che con qualche frasetta azzeccata magari vende un disco. Poi oh se i flaming lips fanno un feat con beyonce detta sincera,sincera non e' mica tanto una bella cosa a casa mia. Oggi si respira talmente tanto l'esigenza di essere "trasversali" che si arriva a stravolgere la realta'. Per di piu' sinceramente la parola pop e' un po' obsoleta. Per me Ty segall per esempio e' pop,mac demarco e' pop e non nel sens "puro" del termine chiaramente pero' lo sono eppure sono artisti che ascolto volentieri. I coldplay oggi sono pop? Bo chi lo sa,di sicuro pero' non gli ascolto. Parliamo chiaramente,di musica ce n'e' tanta,piu' che mai perche puoi sentire tutto e non spendi niente. La tendenza sara' sempre di piu' quella di rilassarsi ed iniziare ad ingoiare tutto cosi' a caso.. No per favore...
Ne con Vasco - Ne con Brondi.
Intanto è un bell’articolo, è questo non è poco.
Però mi sorge un dubbio: artisticamente parlando, siamo al pari del Kurdistan (non me ne vogliano gli amici di Erbil)?
E quindi quello che ormai succede da decenni in Gb o negli Usa ci sembra incredibile?
Basta andare a sfogliare i crediti di molti dischi per capire quanto la collaborazione fra il Mainstream e l’Indi sia normale. A memoria mi viene in mente un famoso disco di George Benson che aveva invitato al pianoforte un certo Herbie Hancock..o Prince con Maceo Parker..uff..quanti ce n’è!
Quello che mi rattrista è che la maggior parte degli artisti Indi…vorrebbe essere Mainstream..
Un tempo chi veniva dal basso, dai club, dai palchi, teneva a debita distanza Festival come quello di SanRemo..oggi invece se non ci vanno..è perché non li prendono ( ih ih ih tristezza). Ma perché?
L’Indi dovrebbe rappresentare la contro cultura, la sostanza, la realtà… non aspirare a Reality e porcate varie.
L’ultima chicca è Appino che risponde al redattore di The Voice…mancava solo scrivesse “Lei non sa chi sono io”…e certo che non lo sa, fa televisione, in un programma becero e poveraccio mica può sbobbinarsi la tua vita (e comunque un personal coach di canto valutiamolo mister e aggiungo : fatti na risata che sembri Saviano alla proiezione di un film dei Vanzina). Quindi per tornare a bomba alla tesi : Siamo un piccolo Kurdistan musicale?
Boh valutiamo questo:
Il Mainstream è triste e non sforna che artisti dai reality.
I brani degli artisti Mainstream sono l’ennesima brutta copia di artisti stranieri (poco importa se arrivati in ritardo)
Gli artisti Indi sembra vogliano diventare Mainstream come delle verginelle in attesa d’esser invitate ad un ballo.
La critica musicale è al 90% ufficio stampa - Copia Incolla - compiacente.
Dischi non se ne vendono ( e dai con sta storia)
il Live muove 8 euro, tanto che molti poveri cristi devono pensare a un lavoro secondario.
Ma non lo so, poi il Kurdistan non mi sembra così male.
Concludo con una frase di Jamey Aebersold (che se non lo conosci vuol dire che non hai studiato abbastanza) :
Scegli la tua musica, come scegli i tuoi amici.!
Hasta Eva Siempre ! ;-)
ed anche del termine "indie", forse :). La crisi ha aiutato ad abbattere barriere che non ci sono mai state, e si vanno a pescare le idee buone dove ci sono. In un paese meritrocratico, dovrebbe avvenire questo...
@marcopetrelli78 anche questo è vero !
Magari c'è solo un abuso del tetmine indipendente....
Articolo illuminato e luminoso. Concordo l'analisi lucida, non serve più aver paura (del buio!).