Mussolini siamo noi

Oggi è l'8 settembre, oggi sono 80 anni esatti da una delle giornate più nefaste e decisive di questo Paese. I Bachi da Pietra la "celebrano" con un pezzo che si chiama 'Mussolini' e ci regalano un racconto familiare irresistibile, che spiega molto bene chi siamo noi italiani nel bene e nel male

I Bachi da pietra live al Locomotiv di Bologna, foto di Marianna Fornaro
I Bachi da pietra live al Locomotiv di Bologna, foto di Marianna Fornaro

Si intitola MUSSOLINI il nuovo pezzo dei Bachi da Pietra, in uscita oggi per Garrincha Dischi/Sony. È il primo singolo del nuovo album, l’ottavo in studio, per la band composta da Giovanni Succi (scrittura, voce e chitarra) e Bruno Dorella (batteria) nel 2004, alla quale si aggiunge Marcello Batelli (basso e sintetizzatori) nel 2021 con l’album RESET, il primo per Garrincha Dischi. ACCETTA & CONTINUA è il titolo del lavoro in uscita a novembre 2023. Segna un altro capitolo nel percorso evolutivo che fin dagli esordi caratterizza la band, forte di una discografia ricca e variegata. "Chi vi accede ACCETTA il confronto senza filtri con un microcosmo in metamorfosi CONTINUA, perfettamente a fuoco e sempre sintonizzato sul presente", spiegano i Bachi.

Abbiamo chiesto a Giovanni Succi di spiegarci perché dedicare un pezzo a Benito Mussolini e perché farlo proprio l'8 settembre, a 80 anni esatta da una data al contempo nefasta e fondativa del nostro Paese. Lui ci ha risposto con questo racconto. 

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“MUSSOLINI”, 8 settembre 2023. 

Racconto dell’autore.

 

“Ciao zio”.

Gli italiani si dividono in odiatori e amatori eccezionali: non esiste via di mezzo. O mito o merda. Ogni singolo italiano si divide a sua volta, al proprio interno, in odiatore e amatore a fasi alterne. Dipende. Ma amore e odio viscerali. Ogni italiano prima o poi detesta ciò che ha amato; amerà il ricordo di ciò che ha odiato. Le fasi, l’una o l’altra, non hanno quasi mai a che fare con qualcosa di ideologico e profondo, noi italici siamo padri della farsa, non della tragedia; sarà sempre e solo per qualche motivo funzionale al bisogno in quel preciso momento. Un bisogno, fisico, impellente, viscerale, che richiede soddisfazione immediata in un senso o nell’altro, in quell’istante, senza considerazioni e senza conseguenze. Tanti italiani messi insieme formano il popolo italiano il quale, come entità collettiva, è la somma algebrica di questa generale ambivalenza alternata. Oggi ti adoro, domani t’ammazzo. Dall’Impero Romano in poi. Le considerazioni verranno in seguito, cioè mai; le conseguenze saranno colpa degli altri. Siamo un popolo che percepisce sé stesso come buono (pur odiandoci), furbo (fottendoci), innocente (…chi, io?). È una teoria come un’altra, per carità, esagerata e generica come una qualsiasi teoria. E forse non sto parlando neanche di tutti gli italiani, forse sto parlando soltanto di mio zio.

Buonanima di zio Ezio nacque al mondo nella seconda metà degli anni Venti del Novecento. Il Ventennio fascista raddrizzava l’Italia salvandola dalla rivoluzione bolscevica e dandola in pasto alla rivoluzione fascista dalla fine del 1922;  una rivoluzione fatta per elevare le classi elevate, in nome del socialismo ma contro il socialismo… Vabbè in nome di Mussolini. Zio nasce quando Mussolini era in ascesa verso l’apice del consenso, ci nasce dentro. Mussolini è dappertutto. L’Italia lo ama, c’è poco da fare. A parte qualche testa calda. Rari oppositori criticano il regime, per lo più in esilio, forzato o volontario, ma non fanno numero e metterli a tacere è un attimo. Ammazzarne uno per educarne cento: un Matteotti morto e tutto diventa più chiaro. La maggioranza trionfa e la propaganda di regime scopre la comunicazione di massa. Alla metà degli anni Trenta zio Ezio è un ragazzino, un adolescente, in quella retorica c’è nato e sì è già rotto i coglioni di portare la divisa da balilla uguale a tutti gli altri, di fare la pagliacciata del Sabato Fascista ogni cazzo di sabato mattina in piazza, vuole vestire come i divi del cinema, è nauseato dal mascellone ubiquo, di Mussolini e di  tutte le sue mischiate romane non ne può già più: l’iconografia del culto della personalità è martellante, asfissiante, dal primo sussidiario di scuola al cinegiornale. Quello lì che “ha sempre ragione”… Semmai LUI, cioè mio zio, ha sempre ragione!

Ezio è già un simpatico sbruffone brillante ed espansivo, comincia a dare nell’occhio. Viene “attenzionato” (termine odierno) alla polizia come testa calda, potenziale sovversivo, potenziale oppositore del regime. Viene schedato a sua insaputa. Ma LUI (mio zio) nel frattempo campava alla grande: ricco di famiglia nella piccola provincia, una cittadina di 10.000 anime con sette cinema, due teatri, innumerevoli balere, cantine, aie… Ce la si spassa chi più chi meno e i giornali dicono che tutto va bene. Solo buone notizie. È sempre un giorno di sole. È un’epoca d’oro. Lui è giovane, forte, dicono bellissimo (io lo conobbi obeso e calvo), tra festicciole proibite, musiche proibite, balli proibiti, atteggiamenti proibiti, ci si dava alla pazza gioia con l’adrenalina addosso: tutto è trasgressione. Zio avviò alla ricerca dell’indicibile “voluttà” (termine molto in voga) manipoli di “Giovani Italiane”, tutte in fissa col D’Annunzio e la Duse, tutte giovani e splendide, tutte inquadrate nelle loro divise bianche che a quanto mi raccontava non vedevano l’ora di togliersele. Volevano tutte essere dive e nell’intimità erano… Zio, piemontese e d’altri tempi, qui lasciava solo intendere. Erano bei tempi semplici. Il regime stava un po’ sul cazzo a molti, ma roba da sberleffi a porte chiuse. Quel carrozzone da parata dove tutto è all’italiana: solerti incompetenti ai posti cardine, leccapiedi premiati, raccomandati graduati, nullità in alta uniforme a darsi arie da condottieri senza aver mai messo piede fuori provincia. Ma bastava stare zitti e spassarsela, il pane c’era, il morale era alto, il DUCE era al comando.

Però a zio il Duce stava sul cazzo. Quando Mussolini disse che bisognava ad andare a accoltellare i francesi alla schiena, già soccombenti sotto i tedeschi, zio sbroccò: a lui, come alla stragrande maggioranza degli italiani, soprattuto qui al nord ovest, piacevano i francesi. Ascoltate Paolo Conte (nato nel 1936) per capire quanto. E poi - si chiesero in molti da queste parti - i francesi non erano tra i nostri alleati nella Grande Guerra Patriottica, combattuta dai padri già contro i crucchi? E tutta la storia del dopo Caporetto, del Piave e dell’invasore, tutta retorica cavalcata alle origini dal Fascio, dove la mettiamo? La mettiamo da parte un attimo: si cambia retorica. La Francia è cattiva, la Germania di Hitler è buona, molto buona. E a quanto pare vince, cazzo se vince. Al mascellone servivano diecimila amatissimi italiani, solo 10.000 allegri italiani morti (così disse), per sedersi al tavolo della pace. Diecimila italiani andarono ad aggredire i francesi alle spalle e possibilmente a farsi ammazzare. I francesi non gradirono, anzi ai francesi da allora, chissà perché, gli italiani, ex cugini poveri, che ti aggradiscono alle spalle quando sei già in ginocchio, divennero un po’ antipatici. Ma noi sappiamo bene che gli antipatici sono loro: eh, quante storie per qualche coltellata a tradimento.

Molti italiani cominciarono però a capire che quello (LUI) che aveva sempre ragione, non faceva mica i referendum per chiedere il parere agli italiani se aggredire o no i francesi. No, lo faceva e basta, quel simpatico tombeur de femme (…ops, francese!) del Duce se ne fregava proprio per davvero (ME NE FREGO!) di quel che poteva andare bene o no a te, zio Ezio caro. Quindi per il sommo bene della Patria adesso vai, spari ai francesi al fine di farti ammazzare. Perché l’uomo al comando ha capito la Storia e ti devi fidare. Se dice VINCERE, beh, alla fine vinceremo: Mussolini non sbaglia mai. Molti italiani morirono convinti, ma furono solo i primi. Ma tutta la mia famiglia a quel punto cominciò ad avere problemi pratici col fascismo. Sua madre (mia nonna), snasata l’antifona, invece dell’oro alla Patria diede un anello della tenda, lo fece in pompa magna, con generoso e plateale gesto quel giorno sulla pubblica piazza, quando il Duce chiese la fede nuziale degli italiani e delle italiane per sostenere le spese, sorpresi del fatto che la guerra la dichiari gratis ma poi costa soldi. Vieni a regalare il tuo oro; fai più figli; accetta leggi liberticide; accetta la fine del diritto di parola, pensiero, stampa; accetta una religione di stato da un ex socialista anticlericale; accetta leggi razziali; ACCETTA E CONTINUA e avrai conquiste e terre e grano e pane… Devi solo credere. Obbedire. Combattere. Fidati del DUCE.

Zio Ezio fu beccato un paio di volte a sbeffeggiare pubblicamente questi sacrosanti principi di civiltà. Suo fratello minore, Pio (mio padre) fu accusato del reato di aver deposto il ritratto del Grande Leader dal muro della classe. Infranto il sacro vetro del ritratto. Orinato sull’effigie della sacra mascella, sacramente volitiva. Punizione esemplare per la malefatta: la si esigeva. Mio nonno dovette schiaffeggiarlo pubblicamente nel cortile della scuola in parata, davanti a tutti i Balilla votati alla morte dai tre anni in su, col loro bel pugnale puntato verso le nuvole, gli Avanguardisti, i Capimanipolo, i Gerarchi e le Più Alte Autorità in alta uniforme. Pio si proclamò tutta la vita innocente. Zio Ezio non ammise mai il crimine contro la divinità, si guardò bene dal confessare. Lasciò che le sberle del DUCE le prendesse mio padre. Nonno era carabiniere, anziano (quarantenne), richiamato in servizio: non poteva permettersi una pecora nera antifascista in casa, figurati due. Dopo lo schiaffeggio pubblico di Pio i due fratelli resero anche pubblica prova d’amore incondizionato verso il ritratto di Mussolini nuovamente incorniciato in A4. Zio Ezio a questo punto odiava visceralmente Mussolini, l’avrebbe voluto morto, appeso per i piedi. Il regime di terrore in casa Succi si fece più stringente: proibito tutto.

Lo spettacolo dei bombardamenti alleati fiammeggiava nei cieli che sembrava Hollywood, ma era Alessandria e sotto ci crepavano amici e parenti vari d’ogni età. Quando ti distruggono la casa e ti ammazzano i parenti le guerre perdono fascino. Anche i fascisti lo erano un po’ meno: ci avevano creduto a quel VINCERE. E invece pare di no: non vinceremo mica. La storia andò nella direzione della storia, cioè dove quelli che conducono la storia l’hanno spinta: tutti e nessuno. Alla fine, chissà come, nessuno ne può niente. Come una disgrazia naturale… Zio Ezio nel 1945 aveva diciotto anni, voleva unirsi ai partigiani: nonno carabiniere gli salvò la vita rinchiudendolo in cantina, sapeva che era questione di poco e sarebbe finalmente finita. Ezio e Pio dovettero attendere il 25 aprile del ‘45 per scoprire che loro padre in realtà era socialista e sul ritratto di Mussolini ci avrebbe volentieri pisciato lui. Nel Dopoguerra Ezio era nel pieno della maturità, cioè ventenne: eh sì, prima o poi si invecchia; ora toccava rimboccarsi le maniche e dopo qualche anno cominciò a rimpiangere i bei vecchi tempi della sua prima giovinezza, il cazzeggio infinito nel mondo perfetto. Lui che si era scansato tutto per puro culo e motivi d’anagrafe o perché rinchiuso in cantina, dovette uscire nel mondo, assumersi responsabilità di lavoro, spalare fango, sopravvivere ai fallimenti… Insomma la noia. Si sentiva aristocratico: il lavoro fa schifo. Schifo i soldi e schifo la politica. Schifo tutto. Pensava: datemi i soldi e non rompetemi i coglioni.

Così ragionava Zio di fronte all’ingiustizia dei favoritismi all’italiana applicati ai tempi nuovi. Votò Monarchia e perse, cominciò a detestare l’ipocrisia della retorica della Repubblica esattamente come detestava quella fascista. Tentò di malavoglia affari con la Francia, gli andarono male; se la prese coi francesi. Che forse Mussolini aveva ragione per davvero? Diventò cultore dei suoi discorsi, dei motti, delle immagini, dei simboli delle uniformi dei gagliardetti che detestò in gioventù. Se ne circondò. Casa sua sembrava l’altare di un veterano nostalgico, uno che nel ventennio ci aveva creduto per davvero. Amore assoluto. Tutti in città cominciarono a chiamarlo il Fascista e ne fu fiero. Camminava impettito anche solo per andare al bar, con piglio da marcia trionfale preceduto da un ventre sempre più gonfio. Ebbene sì era fascista, e allora? Poteva sfoggiarlo apertamente: VIVA IL DUCE! DISCIPLINA! Mica come questi baciapile democristiani rammolliti e criminali comunisti, tatatata… Al muro! Pane al pane, vino al vino, senza tanti peli sulla lingua! Zio Ezio si professava tutto azione e spregiudicatezza - ma incarnava il contrario - e tatatata, tutti al muro e via via via… Risolvere facile, ecco cosa ci vuole! Ah fosse per me, diceva… Qualcuno lo amava, qualcuno lo odiava, nessuno gli ha mai torto un capello, è campato una vita intera libero di adorare Mussolini, sparando cazzate, raccontandosi storie, non gli ha mai rotto il cazzo nessuno. 

Finché un giorno si trovò a pranzare in un ristorante dove per caso sostava di passaggio nientedimeno che il Presidente della Repubblica. Non si lasciò sfuggire l’occasione di una grande piazzata a scena aperta. Cominciò a inveire pubblicamente lì in piedi, tra i tavoli, a braccio teso, con istrionismo calcolato, contro il Presidente LAIDO e tutta la sua marmaglia di Repubblica di GRATTACULI FALSI IPOCRITI E CORROTTI CHE HANNO PORTATO ALLA ROVINA QUESTO PAESE. Calò il silenzio. VIVA IL DUCE! Nella sua grisaglia di rappresentante di commercio grasso calvo e sudaticcio si sentì in divisa da ammiraglio. Una folla oceanica esultante ai suoi piedi: E-ZIO! E-ZIO! E-ZIO! EZIO A NOI! Poi si risedette, soddisfatto e compiaciuto, caffè e ammazzacaffè. Gliel’ho fatta vedere io a questi, pensava, ah sì mi hanno sentito! Oh se mi hanno sentito, racconterà poi in ogni bar… Gli uomini del Presidente lo segnalarono alla polizia. La polizia, la stessa dell’epoca fascista, stessa istituzione e stessi uomini (ah ma dai - eh sì…) ritrovò il fascicolo su zio Ezio bollato come “testa calda”, “sovversivo”, “oppositore del regime”. La polizia rimpiangeva il regime di polizia che per vent’anni li aveva resi ricchi invulnerabili, onnipossenti, vicini e cari al Grande Leader.

Da fascisti della primissima ora le alte sfere decisero di fargliela pagare. Scoprirono all’istante la sua gestione finanziaria spensierata su tutta la linea dal dopoguerra in poi. Assegni a vuoto come se piovesse e qualsiasi acrobazia contabile. Se zio doveva far colpo su una donna, non badava a spese. Ora c’era stata questa sventola francese (non francese per davvero ma figlia di emigrati italiani in Francia, espatriati con le pezze al culo), uno schianto di rossa seno-vita-fianchi anni Cinquanta, labbra carnose, occhi azzurri (sarà poi mia zia): per far colpo su una bambola del genere servono dei soldi, conquistarla a suon di macchine e pellicce… Ed esistono imbecilli che basta mettere delle firme e ti danno della merce! Lo portarono a processo per direttissima. Fu condannato a nove mesi di galera, senza sconto. A pane e acqua, diceva lui. Fu contento che non buttarono via la chiave, come per il resto della vita proclamò che si dovesse giustamente fare. Ne uscì più fascista di prima.

Avendo firmato centinaia di assegni a vuoto a nome del fratello, mio padre andò nei guai per colpa di zio Ezio. Anni dopo gli arrivò una lettera di amnistia per reati finanziari commessi a suo nome dal fratello maggiore, di cui non sapeva niente. Zio Ezio, non chiese scusa. Eh per qualche assegno… Che sagoma, che grande italiano: un italiano vero. Un patriota. Dopo il 1945 amò Mussolini per il resto dei sui giorni. Amò anche Berlusconi perché gli ricordava Richard Gere in Pretty Woman (…quante pretty woman ti sarai fatto eh zio?). Ma soprattutto, sempre, amò, profondamente, sé stesso, senza se e senza ma. Morì di cirrosi epatica. Non smise mai di bere champagne.

I Bachi al Locomotiv, foto di Marianna Fornaro
I Bachi al Locomotiv, foto di Marianna Fornaro

ALTRI COMMENTI DELL’AUTORE.

L’opportunismo ben confezionato, da sempre, lo si ama. Politici di grido passano da una tesi al suo esatto opposto in una stagione senza il minimo imbarazzo e sono premiati in democrazia. Se accade nell’era dell’internet (sbugiardabili in due clic), figuriamoci prima. La Storia lo certifica: funziona. Ci si beve volentieri e in buona fede falsità promosse bene. Vale anche per il popolo la cui autostima si fonda sul primato della propria astuzia: noi italiani. 

Prendi Mussolini. Da individualista, anticlericale, socialista, a prototipo del totalitarismo guerrafondaio, del primato dello stato sull’individuo, nazionalizza la religione e convince gli abitanti di una penisola mediterranea di essere una “razza pura” (sorvolando sull’opinione dei razzisti veri in merito agli italiani), guidata da un semidio infallibile: LUI. 

In quanto a marketing il Fascismo fece un gran lavoro e il brand va ancora forte. Ma rispetto al potere del passato ebbe un’arma nuova: il cinema. A differenza di faraoni o imperatori di ogni tempo, si avvalse della forza dell’immagine sonora in movimento, che gigantizza il soggetto e lo proietta in luce eterna. Sogno vivente, visione mistica.

Se Napoleone avesse avuto il cinema, forse l’illusione di un prestigio immenso sarebbe giunta fino a noi intatta. Magari avrebbe dei nostalgici anche lui. Mussolini il cinema l’ha avuto, è su YouTube. C’è tutto il baraccone dell’Italia fascista che si auto-rappresenta: parla perfettamente il linguaggio del presente. Fu la prima stagione storica immortalata su pellicola con approccio non documentaristico ma coreografico. Dieci anni prima ancora debole, dieci anni dopo - anni Venti del Novecento - un’arma potentissima. 

Mussolini ne fu il primo grande attore conscio. Questo lo rende il primo personaggio storico del NOSTRO tempo. Convincente, statuario (169 cm), fotogenico, teatrale, carismatico, divertente… Buca lo schermo. Mussolini è già il brand di sé stesso. Pronto per i social dal 1923.

E infatti si eternò per quel che non fu mai: un grande statista. Di solito lo è chi fa la fortuna della propria nazione. Lui ne fece la rovina in tempo record. In un mondo adulto si è responsabili dei propri atti e di ogni eventuale conseguenza. In Italia no. Per i pargoli che siamo, la coreografia del personaggio adombra l’esito disastroso di ogni scelta politica. 

Condusse il popolo che diceva di amare (ma in realtà non ne ebbe stima), verso l’apice dell’orgoglio e il peggior baratro della storia. Ma assolverlo ci piace: ci ricorda che la nostra disgrazia è sempre colpa di qualcun altro. Ci assolve.

Quindi è vincente nel grande talent show della realtà contemporanea. Icona riproducibilissima, rimanda sempre e solo a sé stesso, LOGO in un contesto coerente di immagine coordinata al LOGO: contiene già la formula magica di ogni grande successo. Un brand accattivante del tutto vuoto di valori veri e quindi pronto - all’occorrenza - a contenerli tutti.

Allo scadere di ottant’anni esatti dall’8 settembre del 1943 (quando sembrò la fine e invece era solo l’inizio) il testo della canzone che porta il suo nome si concentra su questi aspetti: il carisma, il miraggio, il raggiro. Il tema mi tocca (ci tocca) ancora oggi, credo vada approcciato con freddezza. Altrove affrontai altri aspetti della stessa faccenda con più ironia (“Happy 1942”, Apocalypse Louge, LP Tannen Rec. 2020). Oggi, qui, la faccenda è questa: ACCETTA E CONTINUA la finzione eterna. Funziona.

 

La cover del singolo
La cover del singolo

MUSSOLINI, il testo della canzone (G. Succi)

nostra lingua falsa
nostra storia farsa
nessuna pena valsa
nessun passato passa

 

super trend Top Twenty
sempre trendy anni Trenta anni Venti
quelli sì che son stati marketing vincenti
quelli sì che son stati marketing vincenti

 

quale genio della propaganda incanta
a cent’anni di distanza dalla campagna
i nati liberi e rimasti bambini
a parte Hitler… Mussolini

 

addio Pina vado in Russia sereno
ho vent’anni di retorica a pararmi dal gelo
vado sul tubo a farmi d’eia alalà
Mussolini è sempre qua sul profilo whatsapp

 

l’impero del pene contro il resto del mondo
dopati d’orgoglio sfasciati al primo scoglio
su quale carro siamo pronti a saltare
sul carro vincente che promette più pane

VIVA VIVA VIVA

VIVA VIVA VIVA

 

un uomo probo un uomo solo un uomo forte un uomo nuovo
un bracciante in campagna un futurista in città
un ammiraglio da spiaggia un romagnolo in frac
un seduttore di folle sedotto da un folle
un vincente che perde e soccombe
un uomo di parola - lo sterminio no
noi li consegnamo loro e li mandiamo a nord

 

hai dichiarate guerre e le hai tutte perse
paghiamo ancora il prezzo delle tue belle scelte
se contiamo ancora oggi come carta falsa e perdente
è perché abbiamo rotto il cazzo al mondo e perso tragicamente

 

abbiam cambiamo almeno tre volte bandiera
dalla sera alla mattina e poi di nuovo la sera
e se per oggi pulcinella ti fa fesso con un asso falso
non sa che chi lo guarda vede solo un pagliaccio

VIVA VIVA VIVA

VIVA VIVA VIVA

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L'articolo Mussolini siamo noi di Giovanni Succi è apparso su Rockit.it il 2023-09-08 09:45:00

COMMENTI (2)

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  • MicheleDeGregorio 14 mesi fa Rispondi

    Storiella confusa, senza né capo né coda.
    Il fascismo per noi fu subito un grande rogo. Fumo nero che si alzò in cielo, quella fu la bandiera del fascismo. Fuoco che bruciò persone, memorie, luoghi , materiale umano e inorganico. Ma dalla brace nel 43 bastò fermare le fabbriche, granelli di sabbia che incepparono gli ingranaggi del regime. Lunga vita alla classe operaia italiana che ci restitui la libertà.

  • lonelyisaneyesore 14 mesi fa Rispondi

    La Storia si ripete: calzante l'esempio del Nano Bagonghi che ai suoi inizi era soprannominato,non casualmente, "L'uomo della Provvidenza". La Storia si ripete: chiunque faccia i propri interessi al potere, " lo fa per noi".