Lasciamo l'auto in un parcheggio che non è davvero tale, e ci addentriamo nel boschetto. Non c'è un vero sentiero che ci porti al suo interno: semplicemente mettiamo un passo dopo l'altro, stando attenti al fango per terra e ai rami in faccia. Siamo poco fuori Ferrara, poco più in là scorre il Po, placido, quasi riservato.
Facciamo ancora qualche metro, e finalmente siamo in vista del grande fiume. Dal suo argine, il Po appare in forma: dopo periodi di straordinaria, inquietante, siccità ha riacquisito almeno in parte la sua portata. Non siamo di certo, però, in un momento di piena: in tal caso il posto in cui ci troviamo sarebbe completamente sommerso dall'acqua. Il sottobosco è profumato e luminoso, non fa freddo qua lungo l'argine.
Vasco Brondi – che a Ferrara è nato e cresciuto, e che tanto a fondo ha indagato il proprio rapporto con questa terra soprattutto ai tempi del suo dirompente esordio sotto il moniker Le luci della Centrale Elettrica (qua la puntata di Venticinque dedicata a lui) – appare perfettamente a suo agio in questo ambiente. Qualcosa di più, un tutt'uno. È lui il nuovo protagonista di Naturae (qua le "puntate" precedenti), il nostro format che porta un artista a suonare immerso nella natura, i cui suoni fanno da arrangiamento a un suo brano.
"Qui la colonna sonora è rappresentata dagli uccelli: ce n'è di tantissime varietà, alcune le puoi sentire solo qua e da nessun'altra parte", dice Vasco, che fino a quel momento era stato seduto su un tronco, a suonare con la sua "proverbiale" chitarra nera mentre montavamo le camere e preparavamo tutto il necessario.
"Partendo dal centro città, è il primo punto in cui puoi trovarti completamente immerso nella natura", ci spiega, dopo aver sorseggiato da una borraccia la sua bevanda allo zenzero. "Non c'è traccia di vita umana, anche da Ferrara qua non viene nessuno. A me invece questo posto ha sempre attirato. Da ragazzino ci venivo in bici oppure scooter: smontavo dalla sella e stavo lì per ore, spesso senza fare nulla. Venire qua per me è sempre stato un piccolo rito, un appuntamento che a volte diventava quotidiano".
Anche quando ha iniziato a fare questo lavoro, attorno ai vent'anni o poco più. "Dopo ore passate in studio venivo qua e mi ripulivo la mente. Per anni arrivare qua per me è stato una specie di movimento inconsapevole, tipo respirare. Ai tempi mi sentivo ripetere continuamente che il Po è inquinato, che fa schifo. Ora ne vedo la bellezza e la grandiosità".
Si percepisce tutta la tenerezza che ha nei confronti di questo luogo, e il coinvolgimento emotivo. Anche il brano che ci sta per suonare, e che trovate nel video diretto da Imeji Films, ha un legame fortissimo con l'argine del Po. È uno dei pezzi più rappresentativi del suo ultimo disco, il primo con il suo nome "vero", Paesaggio dopo la battaglia: Il sentiero degli Dei.
"L'ho scritta nei primi momenti del lockdown. Mentre ero rinchiuso tra quattro mura, mi veniva in mente la vita che in questo punto dell'argine scorreva indisturbata. Probabilmente per questo anche allegra. Appena è stato possibile uscire di nuovo di casa, questo è il primo posto in cui sono andato: ho passato un intero pomeriggio qua seduto, immerso tra i canti degli uccelli che qui formano una vera orchestra".
Il senso del brano sta in un verso: Siamo solo due forme di vita sul terzo pianeta del Sistema Solare. "La canzone parla di quello. Questo è un punto in cui è facile accorgersi delle proporzioni, rimette un pochino le cose a suo posto e attribuisce i giusti valori. Per me è un'emozione portare questo pezzo proprio qui, nel posto che avevo in mente mentre la creavo".
Ora è proprio il momento di suonare.
---
L'articolo NATURAE - vol.9: Vasco Brondi, il silenzio tutto intorno a noi di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-11-30 22:22:00
COMMENTI (1)
...emozionante, mi riporta alle sensazioni che provavo in gioventù sulle stradine di campagna, immerse nei campi delimitati da tanti filari di pioppi e cespugli di rovi, ... Bravo Vasco Brondi, e' necessario rendersi consapevoli della vera ricchezza vitale, dobbiamo recuperare ciò che è stato rovinato dalla stupidità e ingordigia umana.