Incute sempre un certo timore parlare di look. Oddio, si fa per dire. In rapporto a quello che si sente in giro tutti i giorni possiamo considerarci in una botte di ferro. Nessuno di sicuro si farà saltare la mosca al naso per una innocua analisi su un importante elemento della storia del rock: le magliette delle band. Almeno spero – quello che state leggendo è infatti frutto di un'idea che si è protratta per diversi mesi, interrotta più volte da un muro di silenzio, no-comment, incontri fissati, poi rimandati e infine paccati come mai avrei creduto possibile, dato appunto l'argomento. Per quanto mi riguarda invece, di indugi, se ce ne sono stati, sono scaturiti dal rischio di apparire frivoli, promuovendo con il merchandise un aspetto (vogliamo sperare) secondario nella scelta di questa o quella formazione. Altresì, forse peggio, dal rischio di finir per fare la figura della Rosanna Cancellieri di turno, intenta a enfatizzare pieghe, tagli, cromie e fantasie per dare valore aggiunto a quelli che, in fin dei conti, sono soltanto capi d’abbigliamento per coprire le nostre vergogne.
Per questo nella mia analisi sullo stato di salute dell'universo delle t-shirt, mi sono fatto aiutare da Adriano, Federico e Lucia di Vitagrama, storico laboratorio laziale DIY di serigrafia e tipografia, e da Christian Pappenberg e Simone Bertozzi, ossia il responsabile marketing ed eventi e l'assistente marketing locale e responsabile per l'Italia di Impericon, nome che sicuro conoscerete se nei vostri armadi conservate magliette ufficiali di quasi tutte le principali realtà uscite negli ultimi vent'anni. A loro si sono aggiunti in rapidi botta e risposta i ragazzi di Abisso Serigrafia, Scrape Screenprinting, Kings Road ed Evil Greed - che hanno contribuito, a vario titolo e in vario modo, ai miei pensieri e alla stesura di quanto state leggendo. Donando linfa di serietà/professionalità alla trattazione di un argomento sempre amato dai fan ma, altresì, minimizzato da tutta una moltitudine di persone che va dagli insegnanti agli amici griffati, ai datori di lavoro, e probabilmente tua madre quando vede già i futuri stracci per spolverare nel momento stesso in cui le piega per riporle nei cassetti.
Eppure, per voi e me, sono molto più che un dettaglio nel look. Sarà per il lavoro che faccio, sarà perché dove ho vissuto per una vita ci sono quattro licei sulla stessa strada. Sarà quel che sarà, ma ogni giorno mi è impossibile non notarne qualcuna degna di nota. Da sempre il merchandising che sostiene l'industria discografica si basa sul coprirsi il petto di morbido cotone inneggiante a una o l'altra band capace di far sognare i giovani e non solo. Sono molti i gruppi che dichiarano ormai che sono le magliette a fare l'80% dei loro introiti insieme all'attività live (qua ne avevamo parlato con un protagonista). “Secondo noi è ancora così - mi conferma Adriano -. I gruppi che ci contattano richiedono del merch 'alla vecchia': t shirt e felpe per la maggiore. Forse perché perché la percezione del ricordo di una band attraverso una shirt sarà sempre migliore che, non so, di una paperella!”. Già, perché da un punto di vista produttivo odierno non è poi così scontata l'unicità delle magliette laddove il mercato oramai propone mille altri gadget (cfr. pupazzi, tazze, accendini...) che prima non c'erano o erano relegati al solo ultra-mainstream. I ragazzi di Impericon confermano: “Questi articoli non sono solo un must nel guardaroba di ogni fan, ma rappresentano anche un legame concreto con le proprie band del cuore, perché sono perfetti sia per la vita di tutti i giorni sia nel pit dei festival. Così, anche se il nostro store propone sempre più opzioni di gadget, le t-shirt, le felpe e longsleeve sono senza dubbio le preferite dei fan per la loro qualità che unisce comodità e versatilità”.
Arriviamo così a un concetto base: la qualità. Vi sarà capitato sicuramente di non resistere al fascino della maglietta musicale e ve ne sarete comprata una. E come molti, in fase adolescenziale, vi sarete basati più sul prezzo che sulla qualità del tessuto. Già quando l'adolescente ero io i prezzi delle shirt ufficiali sembrano proibitivi. Già allora i rimedi erano però almeno un paio. Il primo: mercatini alle prime luci dell'alba, quando (con un po' di fortuna) si possono trovare, a modiche cifre, magari non proprio quelle del nostro idolo, ma di qualcuno che ci si avvicinava. Non proprio gli Obituary ecco, ma i Metallica magari sì. Il secondo: le sempiterne “falsucci” che riuscivano, allora come adesso, a farci risparmiare almeno 1/3 del prezzo. “Purtroppo la pandemia - sospirano i ragazzi di Vitagrama - ha dato un aumento delle materie prime che direi esponenziale e che purtroppo non sembra ancora fermarsi. Giorno dopo giorno una realtà DIY come la nostra si scontra con aumenti continui sempre maggiori dei prezzi di acquisto dei materiali e per forza l’aumento ricade poi sull’acquirente finale”.
Chi le colleziona ma anche l'acquirente occasionale si è accorto di un aumento dei costi, prima ai concerti e poi nella vendita per corrispondenza, dove ormai una maglietta arriva a costare 29.90€ di contro alle 20.99€ di appena qualche anno fa. Viene persino da chiedersi se c'entrino le guerre in corso o semplicemente si scarichi sulle magliette l'invenduto discografico (CD, vinili..,) sempre più clamoroso. Christian sa il fatto suo e si prende tutto il tempo per spiegarmi: “L'aumento dei prezzi può essere attribuito a quattro fattori: 1) Le fluttuazioni dei costi dei materiali, come i prezzi del cotone, che poi influenzano direttamente i costi di produzione. 2) Le interruzioni nella catena di approvvigionamento e i ritardi nei trasporti possono fare aumentare i costi generali che vengono riflessi sui prezzi al consumatore. 3) Le decisioni sui prezzi possono essere influenzate dal valore percepito degli articoli e dalla domanda dei consumatori per i prodotti associati a band più famose. Proprio come per qualsiasi brand. 4) L’aumento dei prezzi può essere una risposta strategica al calo di altre entrate, come dalle vendite di musica fisica, fornendo alle band fonti di reddito alternative”.
Del resto Impericon, come Vitagrama, collabora con le band per produrre e distribuire il merchandising, ma le decisioni finali sui prezzi spettano alle band stesse. “Noi offriamo consigli e raccomandazioni in base alle tendenze del mercato e ai costi di produzione – mi dice anche Sonja di Evil Greed -, ma le band hanno sempre l'ultima parola, nella piena consapevolezza anche di un altro mercato musicale estremamente competitivo pieno di facsimili a un prezzo più contenuto”.
In questi casi borderline, è appurato quanto si faccia oltremodo attenzione al logo stampato, senza però mai badare alla composizione della stessa t-shirt. Accade così che, dopo i primi quindici venti giorni di goduria iniziale, si noti come il tessuto si adagi in modo del tutto innaturale sui corpicini. Bancarellari senza scrupoli, reali o virtuali, intascato il conquibus, non si preoccuperanno mai di avvisarvi degli effetti collaterali di quegli euro spesi in meno. Le effigi delle band vengono applicati su magliette dalla grammatura ignobile, in gran parte sintetica, stampate da individui che tirano a campare e ai quali non frega un bel nulla di chi siano poi i Nirvana o Noyz Narcos. Piccoli geni del Male, bisogna ammetterlo; specie quando tirano fuori dal loro cilindro capi difficilmente reperibili (conservo con gelosia feticista i miei falsi dei Negazione e dei Raw Power); ma quando al primo lavaggio l'adorata shirt di Salmo (o chiunque altro per lui), come per magia, da M diventa S o si deforma in una XL la voglia di buttarsi a destra viene un po' a tutti, ammettiamolo.
Questo lo si nota soprattutto la mattina all'entrata e all'uscita dalle scuole, quando tra le mandrie di studenti spicca sempre qualcuno con una maglietta aderente come il body di un mimo o bracalona come il costume di scena del vecchio Gandalf. Qualcuno che, con stoico spirito di sopportazione (anche rispetto alle figure di merda), pensa che sia più importante fare sapere al mondo il suo amore per il 2PAC di turno che fare credere alla morettina delle II C che non è un perfetto idiota con quella roba addosso. Oppure qualcuno che, pur essendosi reso conto che in controluce i raggi filtrano dalle maglie dell'immondo capo, continua a indossar tremebonde maglie tanto slabbrate da apparire come sai monacali. Tollerabili pure pure quando sono di matrice hip-hop (che dell'over-size ha fatto una cultura), ma che diventano bruttissime per gruppi metal. Poi, certo, qualcuno scintilla nel mucchio con preziosissime t-shirt del Truceklan o dei Cripple Bastards sottratta a qualche fratello maggiore ma, come direbbe GG Morandi, uno su mille ce la fa.
Ma, badate bene, anche nel merchandising ufficiale non è tutto oro quello che luccica. Perché non è solo la taglia o il cotone, ovviamente, fattore determinate. Non secondaria è anche la stampa. Avevo una maglia dei Bad Brains, maglia gialla con stampa sopra a usarne il colore di fondo. Per superati limiti di età (quasi 20 anni!) ho dovuto ricomprarla: stesso posto, stessa maglia, quadrato di plastica attaccato sopra, allo stesso prezzo o forse più. Chiedo quindi ai miei interlocutori se finirà mai la truffa della stampa rettangolare di plastica. “Certo che non finirà!”, mi dicono all'unisono Adriano, Federico e Lucia trattenendo la risata. “Dal lato del venditore - prosegue Federico - a oggi forse il digitale è la soluzione più economica che si trovi sul mercato se si vogliono contenere i costi legati al magazzino. In digitale riesci a stampare un singolo pezzo di quella maglia e della taglia che ti richiedono in 10 minuti, in serigrafia ne devi fare almeno 20/30/40 pezzi e devi partire con la lotteria delle taglie. L’unica speranza per gli acquirenti è che con il passare degli anni si evolverà in una stampa digitale qualitativamente migliore... e quando questa cosa succederà addio serigrafie!”.
Più possibilista è invece Simome, quando mi dice. “Le stampe rettangolari plastificate potrebbero non scomparire in toto nel prossimo futuro. Anche se c'è un crescente apprezzamento per il merch autentico e di alta qualità tra i consumatori, l'uso di materiale plasticoso, come dici tu, per le stampe persiste per diversi motivi: sono spesso più convenienti da produrre e durano nel tempo, resistendo a lavaggi multipli e a un uso prolungato. Inoltre, nonostante critiche al loro aspetto, possono ancora attrarre alcuni consumatori per la loro finitura lucida e la texture tattile. Tuttavia, con l'evolversi delle preferenze dei fan, ci aspettiamo un graduale orientamento verso metodi di stampa sempre più sostenibili e esteticamente gradevoli”.
Io che poi faccio parte della vecchia (per qualcuno vecchissima: la mia prima t-shirt l'ho comprata nel 1989) guardia, sto notando un cambiamento del concetto di grafica che mi pare andare verso il baratro. Salvo alcuni casi, è come se il concetto stesso di “grafica” avesse smesso di volere essere iconico - o anche solo di provarci. Un tempo una maglia di un gruppo la riconoscevi da chilometri di distanza (e non penso solo agli Iron Maiden ma pure degli ZU, per dire), oggi molto spesso non la capisci nemmeno sotto al naso e molto spesso non la distingui da quella di ventisette altri gruppi di generi anche diversissimi tra loro.
Da qui la domanda che ha fatto triggerare (va là, detta come i giovani) e sparire gran parte dei miei interlocutori, ovvero: sono le vecchie grafiche a essere così ineguagliabili per bellezza e ingegno (motivo anche per cui oggi si fanno simpatici omaggi, come gli Stegosauro con gli Orchid, i Maladroit con i Jawbreaker, i Jaebreaker con i Joy Division e gli Incendiary con gli Offspring o i mille lookalike dei Black Flag!) o c'è una sorta di sminchiamento generale, dovuto anche al solito problema dei costi, che fa preferire grafiche farlocche e buttate lì?
I due superstiti hanno idee chiare in merito. Per il grande, Impericon: “Il settore del merchandising musicale è in continua evoluzione. Anche se può esserci la percezione di un calo di iconicità e di creatività nelle grafiche, è essenziale riconoscere che le preferenze artistiche e le tendenze cambiano nel tempo. Questo dipende dai gusti che si evolvono, dai costi, dalla domanda del mercato e dalle preferenze dei fan che non sono da sottovalutare. Alcune band puntano su creatività e originalità, altre su design semplici per piacere al maggior numero possibile di persone. Le magliette ripoff di band storiche sono un omaggio nostalgico ma anche un segno di questa trasformazione. Alla fine, i gusti sono soggettivi e noi di Impericon ci impegniamo a supportare la visione creativa delle band rimanendo al passo con le tendenze del mercato”. Per il piccolo, Vitagrama: “I tempi da mò che so cambiati Giorgio! Oramai si sconfina in stili grafici che non appartengono al genere di riferimento forse perché stiamo vivendo un momento di contaminazione totale. Non per fare i boomer, ma fino a qualche decennio fa, i punk stavano con i punk, i dark con i dark e ognuno si identificava con il proprio stile. Oggi basta pensare che si trovano le magliette dei Nirvana e dei Ramones da H&M a disponibilità letteralmente di chiunque... di cosa vogliamo parlare?”. A confermare queste analisi viene Karim, batterista dei Noverte e recentemente impegnato nel nuovo merch: “Nel nostro caso noi abbiamo fatto fare la grafica ad un grafico. In serigrafia ci hanno chiesto colori per le maglie e taglie. Dopo aver scelto il tipo di cotone, è iniziata la stampa. Quindi confermo, di norma fa tutto la band,. Poi, siccome alcune serigrafie sono ammanicate con mille persone, immagino ci sia anche chi possa chiedere il servizio completo, grafica compresa, ma di norma le band fanno tutto”.
Nel mentre, Adriano di Vitagrama mi scrive aggiungendo: “Di solito le band hanno le idee molto chiare per le grafiche. Noi se mai suggeriamo modiche laddove tecnicamente la realizzazione risulti complessa vanificando il risultato finale. Non entriamo quindi mai, se non richiesto, nel merito del gusto stilistico o grafico”. Insomma, se e quando vi troverete al concerto della vostra band preferita le magliette saranno qualcosa di inguardabile la colpa sarà assai probabilmente solo degli opinabili gusti dei vostri beniamini, e nessun altro. “Dopo tutto, è il loro brand e il nostro compito principale è aiutarli a concretizzare la loro visione senza modificarne il gusto”, conclude serafico Christian.
Eppure. Eppure se siete stati adolescenti, o se fate ancora finta, conoscete benissimo l'esaltazione di ricevere a casa i cataloghi del fu Carnaby St: vera Bibbia per il merchandising tarocco dove, tra un portacenere a forma di gargoyle e oggettistica per il consumo di oppiacei, tra vestitini che neanche Moira “La Tigre del Ribaltabile” e bracciali borchiati al rischio tetano, avrete mirato e rimirato la vasta gamma di stampe. Stampe coloratissime, stampe stupefacenti, con il logo a caso di un gruppo e una foto totalmente decontestualizzata da quello, stampe nella migliore delle ipotesi cancellabili al terzo lavaggio o trasferibili direttamente sulla pelle. Ma incautamente ne avrete acquistata (almeno) una, perché il sogno di andare in giro supportando chi vi ha regalato infinite emozioni piuttosto che il Sig. Nike e Mr. H&M è superiore a qualsiasi buonsenso.
Però avrete pure rimpianto di non esservi affidati ai canali ufficiali come Negative o Sound Cave, dei quali tutti i nomi qui trattati sono tra gli indiretti eredi. Gli unici a supportare sul serio la band e darvi un prodotto il più possibile di qualità. Anche perché, non giriamoci attorno: se avete tra i 14 e i 30 anni, una maglia rock, del gruppo rock, con il disegno rock, ha più o meno la stessa attrattiva di una puntata di Berlino per un ventenne, di The Bear per un trentenne o di Boris per un quarantenne, quindi no, non si scappa. Ne vuoi e poi ne vuoi ancora. Allora meglio affidarsi a esperti (o ai diretti interessati via Bandcamp). Piccoli o grossi che siano. E un occhio allo specchio prima di uscire.
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L'articolo Non esistono più le t-shirt delle band di una volta di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-06-26 09:32:00
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