A MI AMI c'era stata da giovanissima, per "premiare" uno degli esordi più interessanti e originali dei tempi recenti del rap femminile. In un genere dove i cliché sono ancora molti, Alda ha sin da subito provare a essere differente e avrà l'occasione di dimostrarlo su quello stesso palco venerdì 24 maggio, nella serata inaugurale della diciottesima edizione del Festival.
Da poco è uscito il suo primo vero disco, Nel margine (Asian Fake), una sorta di concept album che ruota attorno al tema dell'emarginazione, della vita "al margine" appunto che a moltissime persone e categorie nella società attuale è garantita per il solo motivo di essere sé stessi. Un disco in cui Alda porta avanti il proprio percorso, ma lo fa a partire da un cambiamento di suono importante, con le produzioni del bravissimo Francesco Fantini che portano le canzoni in un'altra dimensione, quando più pestona e quando uggiosa come queste giornate.
Alda è nata nel 1999 in Albania, poi è cresciuta a Pesaro. In attesa di vederla sul palco di MI AMI, le abbiamo chiesto cosa ci sia esattamente "nel margine" e perchè sia importante esplorare cosa accade lì. Ecco cosa ha scritto per noi.
Vivere nei margini vuol dire essere nati o essersi ritrovati in una posizione di pericolo. Una posizione in cui se non ci si muove con cautela, si rischia di cadere. Bisogna essere molto bravi a mantenere l’equilibrio quando si cammina lungo i confini. Quelle che a volte percepiamo come linee di chiusura, possono essere linee di contatto. Ho associato questo disco all’elemento del ponte, perché il ponte è il contrario del muro: anziché dividere, unisce. È un luogo di flusso in cui non si può sostare; un luogo che collega ciò che è separato.
NEL MARGINE è un disco sospeso, come un ponte che viene attraversato. Il concetto del luogo di transizione, è legato ad uno dei temi che ho molto a cuore e che ho trattato durante la scrittura del disco, ovvero quello dell’immigrazione. Emigrare non è stato facile per nessuno della mia famiglia. Quando ci siamo trasferiti dall’Albania all’Italia io avevo tre anni, e credevo stessimo andando in gita. Non so precisamente quando ho capito che non saremmo più tornati. “Ora soffro di abbandono, mentre lasciavo casa credevo fosse un gioco”. Questa è la frase che racchiude il sentimento che mi ha lasciato questo viaggio; così lungo che dopo più di vent’anni ho ancora la sensazione di non avere raggiunto nessuna meta.
Il primo amico che ricordo di avere conosciuto una volta trasferita in Italia, si chiamava Luciano. Eravamo capitati nella stessa classe dell’asilo delle suore. Lui si presentava all’asilo solo di venerdì, ma di questo non sono sicura. I ricordi a volte storpiano la descrizione degli eventi, ma per me non è mai stato importante sapere se quello che è successo sia successo veramente. Mi interessa solo sapere che i ricordi mi abbiano condizionata.
All’asilo trascorrevo il tempo a piangere sotto la porta d’ingresso della classe. Ogni tanto pregavamo in cerchio, e mi sentivo molto a disagio nel farlo, perché non capendo il significato delle preghiere non riuscivo a memorizzarle e quindi a pregare. Inoltre quello della preghiera era uno dei pochi momenti in cui emettevo pubblicamente dei suoni dalla bocca.
A parte questa strana parentesi delle preghiere, e a qualche brutto momento trascorso con i miei compagni di asilo, ricordo che entravo in classe solamente se c’era Luciano, ovvero di venerdì. Luciano era un bambino nero, che come me non parlava bene l’italiano. In sua compagnia non mi sentivo giudicata. A differenza mia, lui era molto estroverso e amava interagire con gli altri bambini. Un giorno Luciano chiese ad un altro bambino di giocare insieme a lui, e questo gli rispose “Vorrei, ma la mia mamma mi ha detto che non posso giocare con i bambini neri”.
Non ricordo la reazione di Luciano, ma questa frase mi ferì molto e non la dimenticherò mai. Dinamiche di questo tipo si sono verificate tante volte nel corso delle nostre vite. Si verificano spesso anche quando nasci donna. Mi avvicino al tema in STAI ZITTA, il brano del disco in cui parlo di abusi fisici e psicologici. Quello della violenza è un tema molto delicato e non è facile parlarne, specialmente quando dall’altra parte hai davanti qualcuno che invece che ascoltare quello che hai da dire, lo sottovaluta.
Trovo molto grave che a oggi tante persone non si rendano conto dell’esistenza delle disparità di genere. È grave perché ne abbiamo le prove, per cui negare l’evidenza – anche se probabilmente si tratta di un atteggiamento inconsapevole – è ingiusto e discriminatorio. Le diseguaglianze sociali, economiche e politiche, sono motivi per cui gli episodi di violenza domestica e stupro sono così frequenti. La probabilità che gli uomini abusino delle donne, diminuirà solo quando raggiungeremo parità e uguaglianza.
Ma finché una donna che ha subito delle violenze continuerà a sentirsi dire che deve smettere di fare la vittima, le cose non miglioreranno. Io sinceramente non sono ottimista, ma penso sia estremamente importante iniziare a parlare di più di queste problematiche. Ci sono persone che non capiranno mai, ma STAI ZITTA è soprattutto per chi non ha le forze per ricercare la propria voce, e non per chi la sua voce la usa male.
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L'articolo "Non so quando ho capito che non sarei più tornata": Alda ci racconta la sua vita "nel margine" di Alda è apparso su Rockit.it il 2024-04-22 14:50:00
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