novagorica: "Siamo tutti dei confini, sta a noi decidere che significato dargli"

Una chiacchierata con la band romana, tornata da poco con il singolo "La prima volta". Per parlare di rock e live club, di profondo Nord Est e scena romana, di amore e passione infinita per la musica

Tutte le foto provengono dal backstage de 'La prima volta'
Tutte le foto provengono dal backstage de 'La prima volta'

La prima volta è sempre speciale, in ogni ambito. Lo sanno bene anche i novagorica - band romana composta da Giulio Ronzoni, Simone D’Andrea, Andrea Graziosi, Mario Romano, Giuseppe Taccini -, che alla prima volta che ci si innamora davvero hanno dedicato la loro ultima canzone, il cui video, girato da Stefano Poletti, abbiamo presentato in anteprima su Rockit. 

Uscito per l'etichetta Through The Void, "boutique label" italo-americana emergente, dedicata a promuovere il talento musicale italiano a livello internazionale, è un brano rock energico e tenero allo stesso tempo, cantautorale ma dall'impianto pop, che mette al centro di tutto lo sguardo, il veicolo per creare una connessione e tenerlo vivo. Una canzone che parla di gioia ma che non fugge dal dolore, che l'amore, quando è vero e totale, porta sempre con sè. 

Un invito a vivere le cose fino in fondo, "immergersi completamente nell'altro con la leggerezza e la passione del primo incontro". La prima volta anticipa il disco Altitudine, nuovo capitolo dopo l'album del 2023 Preghiera Violenta, che ottenne ottimi riscontri ed è stato portato in giro con oltre 40 date sui palchi di tutta Italia. In attesa di tutto quel che deve ancora venire, abbiamo fatto una chiacchiera con i novagorica. 

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Da cosa viene il vostro nome (molto stiloso)?

Abbiamo scelto il nome novagorica e abbiamo deciso di utilizzarlo tutto attaccato e pronunciato esattamente come scritto come abbattimento provocatorio dei confini, di queste linee artificiali che separano, anziché unire. La nostra è una ricerca di superamento dei limiti sia artistici che umani, la volontà è quella di non di non rimanere incastrati nella propria comfort zone ma di esperire anche ciò che ci spaventa e di accoglierlo, piuttosto che tenerlo fuori. Siamo tutti idealmente un confine, sta a noi decidere che significato dargli.

Ma avete un legame biografico con la città?

La risposta è più complicata di quanto possa sembrare. Nell’ormai lontano novembre 2018 il nostro cantante (cfr. Giulio) ha rischiato di essere fermato in caserma a Nova Gorica per aver cercato di oltrepassare il confine senza documenti. La storia in sé ha del tragicomico, non scendiamo nei particolari, ma dopo quell’esperienza folle quella stessa notte sull’autobus che si dirigeva a Lubiana ha scritto il testo della canzone con cui si apre il primo Lp dei novagorica, Nova Gorica per l’appunto. Al di là di quella notte nessuno di noi è ancora mai stato lì, nonostante ciò la città di confine ormai è divenuta una sorta di Mecca per noi, prima o poi ci andremo tutti insieme, abbiamo già stretto qualche contatto per andarci a suonare.

Come nasce La prima volta

La prima volta ha una storia tutta sua, che differisce dal nostro solito modus operandi. È stata una delle canzoni che sono arrivate a conclusione nel modo più veloce della storia novagorica. La musica è nata interamente durante una sessione di improvvisazione nella nostra sala prove nello scorso autunno. Quando abbiamo riascoltato la registrazione dell’improvvisazione ci siamo resi conto che la canzone era già pronta, praticamente quasi un buona la prima. Allo stesso modo è successo per il testo. Io solitamente ci metto mesi a completare una canzone, torno mille volte su ogni parola e prima di completare un testo mi prendo un sacco di tempo. La prima volta invece è nata quasi tutta di colpo, mi sono svegliato nel mezzo della notte e ho scritto il testo di getto nelle note del mio cellulare.

Dove è stato girato il video e come è stato concepito?

Il videoclip è stato ideato e girato dal regista Stefano Poletti. Abbiamo deciso di affidarci a lui in quanto innamorati del suo lavoro (si vedano i videoclip per Baustelle, Motta, Zen Circus). Usiamo le parole di Stefano per rispondere a questa domanda. “La canzone mi ha ispirato un video che parlasse di amicizia, di connessione con l’altro. La catarsi che si ha quando da un dolore profondo riusciamo a rinascere grazie all’aiuto di un’altra persona e tramutiamo quel dolore in forza salvifica. Il temporale finisce, il tramonto arriva, il giorno fugge via. Il futuro ci attende, le antenne su un terrazzo comunicano con l’etere dello spazio profondo". 

Siete nati nel 2019, cosa sognavate di diventare allora e chi sentite che siete diventati oggi?

Il 2019 è stato per noi un anno di grande lavoro e grandi aspettative. Abbiamo arato il terreno e piantato i semi della band che sarebbe diventata di lì a poco novagorica. È stato l’anno dell’esperienza con la televisione italiana, quando Mediaset ha preso la nostra Starò bene e ne ha fatto la colonna sonora della serie tv Oltre la soglia. Le aspettative e le energie erano enormi, ma quello che non potevamo immaginare è che ci fosse un leone affamato ad aspettarci dietro l’angolo. Quella fiera chiaramente si chiamava 2020. Un po’ grazie allo stallo mondiale del Covid, un po’ grazie agli incontri giusti (il produttore Mario Romano) abbiamo colto l’occasione per concentrarci molto di più sul nostro sound e sull’ottenere un prodotto che fosse davvero nostro. Sicuramente nel 2019 eravamo più legati alle aspettative, adesso siamo siamo molto più dentro la musica che facciamo, sono caduti i compromessi, siamo maturati e abbiamo una maggiore coscienza di ciò che vogliamo.

Avete un'intensa attività live. Da cosa capite che un live sta andando bene?

Suonare dal vivo è il motivo principe per cui abbiamo scelto di portare avanti questo progetto. Il tour di presentazione di Preghiera violenta ci ha portato a suonare in decine di posti diversi e abbiamo potuto conoscere realtà diversissime tra loro. Per noi il live è il motivo per cui si devono fare dischi, soprattutto adesso che la vendita del prodotto fisico è una roba più da collezionisti che da ascoltatori. Nell’ultimo anno ci sono stati concerti grandiosi, con gente che spinge per entrare e canta le canzoni, e altri in situazioni ai limiti della follia, ma ognuno di questi ci è servito a crescere. Ogni concerto fa storia a sé, ma forse il momento in cui ci siamo resi conto che qualcosa stava cambiando è quando anche fuori dai nostri territori abituali abbiamo trovato sconosciuti cantare le nostre canzoni. 

Come sta il circuito della musica live per le band come voi, che di live si nutrono?

Soffre, ma è ancora vivo. Per organizzare un tour ci vuole tanta fatica. Purtroppo la situazione in Italia è complessa. Molti dei piccoli live club che portavano avanti la musica indipendente italiana sono crollati dopo la parentesi Covid, allo stesso modo molte delle agenzie di booking che conoscevamo hanno smesso di accettare nuovi progetti perché nei pochi live club rimasti c’è la fila per suonare. Il problema è strutturale, per un locale fare musica dal vivo costa e le persone interessate a pagare per ascoltare musica indipendente non sono abbastanza da giustificare la spesa. Nonostante ciò non vogliamo dire che la situazione sia senza ritorno, anzi. L’esperienza del tour di presentazione di Preghiera violenta ci ha fatto conoscere realtà e persone innamorate di questo lavoro. Ci sono ancora live club baluardi dell’ambiente che non si arrendono (si vedano locali quali il Blue Dahlia di Gioiosa Ionica o il Circolo Al Bafo di Seriate per citarne alcuni) e soprattutto c’è ancora chi si fa il mazzo per portare avanti la cultura della musica in Italia, che ben diverge da quella dell’industria musicale. C’è tanta energia e voglia di cambiare radicalmente questo mondo che non è solo talent e Top Chart di Spotify.

E la scena rock italiana è ancora viva?

La scena rock italiana esiste e produce delizie. Sicuramente è cambiata, forse è meno maleducata rispetto a dieci anni fa. Noi siamo cresciuti a pane e Verdena, amando la scena alternative rock che spaziava dagli Afterhours ai Ministri. Ecco il pensiero che viene in mente oggi è che forse band giganti e coraggiose come Il Teatro degli Orrori sono più difficili da scovare. Questo forse è anche figlio del modo di ascoltare la musica, completamente cambiato a causa di Spotify che ha divorato l’ascolto lento del disco, con la sua legge dei primi 15 secondi per evitare lo skip. Nonostante ciò la scena è viva e vegeta e produce grandi cose (si veda Motta o i primi dischi dei Fast Animals and Slow Kids). Per quanto riguarda Roma la risposta è più complessa. Nonostante i vari tentativi che sono stati fatti negli anni per cercare di unire tutto il respiro artistico romano in una sola stanza (si veda Spaghetti Unplugged o Febbra Rock, etc.) non è mai esistita un’unica scena romana. Le scene sono tante e convivono, ma comunicano poco tra di loro. Roma è una città difficile da conquistare, un po’ perché ha nel suo DNA lo scontro, è una città nata nel sangue fraterno d’altronde e questo si respira tutt’oggi.  

Che obiettivi vi ponete ora?

I mesi finali di quest’anno saranno dedicati all’uscita di altri due singoli che anticiperanno l’uscita del nostro album prevista a gennaio. Presenteremo dal vivo Altitudine (il nostro secondo Lp) in un tour nei live club italiani. L’obiettivo è quello di arrivare a fine anno che avremo suonato in ogni regione d’Italia, a costo di andarci a piedi.

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L'articolo novagorica: "Siamo tutti dei confini, sta a noi decidere che significato dargli" di Redazione è apparso su Rockit.it il 2024-10-02 18:26:00

Tag: roma rock

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