Prima erano voci, ora è confermato. Spotify introdurrà alcuni importanti cambiamenti al suo modello di pagamento delle royalties, uno dei quali è probabilmente e il più significativo (ma anche controverso) nella storia della piattaforma.
Le modifiche fanno parte di un programma per riformare il modello economico delle piattaforme, tutto ciò come sempre quando si muove un player così grande avrà forti ripercussioni sul mercato discografico. Se va dato atto allo streaming e ai suoi attori principali di aver permesso all’industria di ritrovare un po' di salute dopo la tremenda crisi di inizio millennio a uscirne più danneggiati di tutti sono stati proprio gli artisti, che – nel caso in cui ve lo foste perso – dalla vendita di musica non hanno mai guadagnato così poco.
Si tratta di uno dei temi più discussi da quando lo streaming è entrato nelle nostre vite (ma non l'unico): numerosi artisti che si sono apertamente schierati contro le piattaforme per via del sistema di redistribuzione, che a detta loro non redistribuisce abbastanza. Da tempo si parla della necessità di rivedere profondamente i modelli di retribuzione e di renderli più equi nel rispetto dei musicisti e delle loro opere, e adesso sembra che qualcosa si stia concretamente muovendo. Ma chissà se nella direzione giusta.
Oggi infatti qualsiasi traccia riprodotta su Spotify per più di 30 secondi fa scattare la cosiddetta monetizzazione, genera cioè un micro pagamento in forma di royalty ai titolari dei diritti. Per intenderci si tratta di una frazione di centesimo di dollaro per ogni stream, e a meno che non maciniate milioni di stream coi vostri brani, di soldi ne vedrete pochi.
Dal 2024, nell’ottica di seguire la linea “artist centric” – una strada, almeno a parole, inaugurata in ottobre da Deezer insieme a Universal Music Group con lo scopo di rimettere gli artisti al centro dell’industria dandogli l’importanza che meritano – Spotify introdurrà alcune novità. Una tra queste riguarda proprio il limite fissato affinché un brano possa iniziare a generare ricavi, che sarà di 1000 stream all’anno.
L’azienda svedese sostiene che istituendo tale soglia andrà a de-monetizzare un’ampia popolazione di tracce che oggi generano meno di 5 centesimi al mese, il che permetterebbe di effettuare una veloce distinzione tra gli artisti “professionisti” e tutti gli amatori e hobbisti che invece pubblicano sulla piattaforma “per gioco”.
Stando ai dati, la de-monetizzazione riguarderà quasi due terzi di tutta la musica presente in catalogo, che sarebbe però equivalente al solo 0,5% dei ricavi totali generati dalla piattaforma. Il piano consiste insomma nella ridistribuzione di tutte le royalties ora destinate a questa grande quantità di tracce non produttive nelle tasche di tutti gli aventi diritto che invece riescono a superare la nuova soglia stabilita dei 1000 stream annui.
Se da una parte la riforma delle royalties parrebbe un primo passo verso un sistema di monetizzazione più strutturato e ottimizzato, allo stesso tempo istituisce un modello volto a preferire, premiare e incentivare dei contenuti affossandone altri, muovendosi in aperto contrasto con i principi di parità di cui Spotify si è sempre proclamata portavoce.
Come ci si poteva aspettare la questione ha sollevato subito un acceso dibattito e a tal proposito la United Musicians and Allied Workers Union, un gruppo che tutela gli interessi degli artisti, ha affermato che la piattaforma svedese “propone cambiamenti che arricchiranno ancora di più la cima della piramide e renderanno ancora più impossibile per i musicisti che lavorano beneficiare dello streaming”.
È infatti noto che la distribuzione dei pagamenti oggi è altamente concentrata tra gli artisti più popolari, con il 90% delle royalties che viene incassata dal 10% degli artisti più streammati. Se l’intento vuol essere quello di controbilanciare un sistema già tarato a beneficio di una piccola minoranza, la nuova regola pensata da Spotify non sembra esattamente l'opzione migliore. Il servizio di streaming assicura però che la modifica non andrà a interessare realmente gli artisti ma solo coloro che percepiscono meno di 5 centesimi l’anno, somme cioè talmente piccole che il più delle volte non vengono nemmeno riscattate dai titolari.
Il rischio concreto, in ogni caso, è che la novità introdotta da Spotify vada a beneficio quasi esclusivo delle etichette e degli artisti con grandi budget a disposizione, che non necessariamente però sono sinonimo di musica di qualità. Per contro, si andrebbe a danneggiare molti artisti emergenti, indipendenti e tutti coloro che magari all’inizio racimolano pochi stream per mancanza di mezzi e possibilità di promozione adeguati. Il che si può tradurre in perdita delle pari opportunità, ovvero un (ulteriore) passo indietro in una situazione già di per se sproporzionata tra i vari attori del mercato.
La Future of Music Coalition – no profit che si occupa di educazione e diritti degli artisti – precisa che questa novità segna “un serio cambiamento rispetto al modo in cui il servizio è stato presentato alla comunità dei musicisti al momento del lancio, come condizioni di parità che trattassero tutte le tracce allo stesso modo”. Aggiungendo poi che nel corso del tempo la piattaforma si è allontanata sempre più da tale impegno. In sostanza è come se Spotify indossasse una maschera: si mostra fin dalla sua nascita come un modello di sharing aperto a tutti, con a cuore gli artisti e la missione di offrire pari diritti, ma poi agisce secondo altre regole.
A partire dal prossimo anno però, e sempre sulla scia di quanto appena inaugurato da Deezer, Spotify introdurrà altre novità forse più a favore di chi fa musica. La prima riguarda un nuovo modello di sanzioni per i distributori ed etichette coinvolte in attività fraudolente di manipolazione degli stream. La seconda ha invece l’obiettivo di attribuire un diverso valore ai differenti contenuti presenti sulla piattaforma. Saranno cioè penalizzati tutti quei contenuti considerati “non musicali” e senza rilevanza artistica: i guadagni generati dell’enorme quantità di tracce contenenti white noise, rumori di pioggia, o qualsiasi altro suono d’ambiente presente in catalogo che usiamo per concentrarci, rilassarci o addormentarci, verranno così ridistribuiti ai contenuti considerati invece musicali. Staremo a vedere.
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L'articolo O fai tanti ascolti, o Spotify non ti paga di Dario Grande è apparso su Rockit.it il 2023-11-07 12:54:00
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