"Mentre scrivevo questo disco la notte non riuscivo a dormire, ero convinto che sarebbe stato un flop e che nessuno l'avrebbe ascoltato". A queste parole fa eco un boato di un pubblico vastissimo, composto per lo più da giovanissimi, chiamati a raccolta dal guru del nuovo pop Simone Benussi, aka Mace, lo scorso 25 maggio in uno stracolmo Fabrique, a Milano. Visto il tempo passato tra il giorno del concerto e il momento in cui sto scrivendo – e pure con un MI AMI di mezzo – la percezione dovrebbe essere quella di un paio di ere geologiche trascorse. E invece è un ricordo vivissimo, ormai ben sedimentato e supportato dall'ascolto intenso del nuovo disco di Mace, Oltre.
Cosa può fare un producer dopo aver raggiunto il picco massimo del mainstream con un album corale, aver dato dignità all'operazione "mille feat" facendosi centro di un sistema cosmico attorno a cui ruotano corpi celesti sonori, ognuno capace di brillare a modo suo? Come riaffermarsi, dopo aver dettato le nuove regole del pop con coerenza e stile? Ci deve aver sbattuto parecchio la testa Mace, per poi prendere la decisione più estrema: andare dalla parte opposta di Obe, il disco che lo ha consacrato.
Se in quel caso la ricerca di un pop raffinato e universale al tempo stesso era il fulcro, coinvolgendo più o meno chiunque da Ketama a Colapesce, da Guè a Chiello, dall'immancabile partner in crime Venerus a Madame, senza dimenticare l'accoppiata spaccaclassifiche Salmo-Blanco con La canzone nostra, Oltre rinuncia alla voce, alla logica dei nomi grossi, al compiacere la classifiche. Oltre va – per un terribile gioco di parole – oltre, appunto, prosegue il viaggio di Mace che da staffetta dell'umanità diventa una traversata in solitaria – almeno all'apparenza – a vele spiegate verso una dimensione superiore, sia del corpo che dell'anima.
Basta guardare la durata del primo brano del disco, Breakthrough Suite, per rendersi conto di ciò: 19:26. Non proprio un minutaggio radiofonico, semmai viene più in mente un qualche svarione da jam infinita dei Grateful Dead o una epica cavalcata prog rock. Ma Mace non è né Jerry Garcia né Ian Anderson, quanto più un Terry Riley "nazional-popolare" e dalla treccia verde fluo, che ora si trova il compito di aprire le porte della percezione dei suoi fan per portarli in mondi musicali che forse mai si sarebbero trovati a esplorare se non con questo input. L'anno scorso avevamo parlato con lui di come stesse preparando il terreno per una sorte di Golpe alla musica italiana assieme a Venerus. Ora sembra sempre di più che questo piano si stia compiendo.
La magia di Oltre sta nel prendere le forme visionarie di Obe e lasciarle correre libere, farle confluire in un'elettronica tra sogni ambient, ritmiche su cui perdersi, avvicinandosi ai picchi di Floating Points, Jamie XX e Four Tet. In questa melassa sonica si alternano fiati sospesi, elementi esotici come arpeggi di sitar che squarciano il cosmo, arpe celestiali, synth spinti che non sfociano mai nella tamarraggine becera. Lo sguardo di Mace si allarga verso l'orizzonte, ha un guizzo lampeggiante negli occhi, che chiede solo di essere seguito verso le lande che partono dal mainstream più ampio, per sconfinare verso un qualcosa di Altro, mistico e ipersensoriale. E seguirlo significa partecipare con lui al rito collettivo del live.
Anche se il tour è quello di Obe, i tentacoli evanescenti di Oltre trovano il modo di insinuarsi nella performance, spezzando l'infilata pazzesca di ospiti che si avvicendano sul palco per dare sfogo a un istinto animale. Sul palco Mace, al centro, guida la cerimonia, accompagnato da una band d'eccezione: Fabio Rondanini, Enrico Gabrielli, Ricky Cardelli, Marco Castello e Danny Bronzini, a cui si aggiungono le coriste Tahnee Rodriguez e Sewit Jacob Villa. C'è un'aura di ascetismo che avvolge tutta la sala, a cominciare dal cappello da La montagna sacra di Jodorowsky che indossa Gabrielli.
Ciò che segue sono due ore abbondanti di un live intensissimo, dove lo stupore per i tantissimi ospiti – Joan Thiele, Colapesce, Venerus, Rkomi, Ernia, Izi, Darrn, Noyz Narcos, Salmo – viene ben rappresentato dai visual maestosi che prendono possesso del palco. Da geometrie lisergiche ai duetti impossibili con gli assenti, così si manifesta la componente multisensoriale del live, quella Out of Body Experience che fa dà motore al disco stesso e che, condivisa assieme, assume proporzioni macroscopiche. La grande festa di Obe è qualcosa di davvero collettivo, che riesce con eleganza ad amplificare il suo messaggio apertissimo. È come un castello regale in cui può entrare chiunque, costruito in perfetto equilibrio sulla sottilissima linea che divide i poli del mainstream e dell'underground, dove per ogni inno pop da cantare abbracciati c'è un momento di estasi, come l'assolo à la Maggot Brain dei Funkadelic che divampa dopo Buonanotte.
E poi si arriva a Lei. La hit finale, il momento di massima condivisione del concerto: La canzone nostra. "Sono sotto la pioggia, come la prima volta", e sembra che piova per davvero, perché sento delle gocce cadermi addosso. In realtà si tratta dell'impianto di aerazione sopra di me che ha una leggera perdita, ma sembra quasi che sia fatto apposta per dare tridimensionalità allo spettacolo di Mace. Tutto attorno il pubblico impazza, urla, si scatena, si sfoga con una fame che poche volte mi era capitato di vivere così intensamente. E per fortuna che questo disco non doveva ascoltarlo nessuno.
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L'articolo Oltre il Mace-stream di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2022-06-06 10:07:00
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