Un'estate musicale quella del 2021, con live sparsi in tutta Italia, mille volte più musicale di quella del 2020, o almeno così pare. Le città e i luoghi del turismo sono pieni di concerti, ma non sono poi tanti quelli che hanno visto molti live, perché con l'entrata contingentata, mascherinata, la seduta obbligatoria, la misura della temperatura e, dal 6 agosto, la presentazione del Green Pass, ha portato l'utente medio dei concerti a non avere poi tutta quella voglia di prendere il biglietto in prevendita.
A vederla in questi termini, sembra di fare la visita militare invece che andare a divertirsi una sera. Sarebbe auspicabile che la formula a entrata col Green Pass apra alla possibilità della seduta non obbligatoria, ma al momento (a parte per il concerto di Cosmo a ottobre) non sembra che andrà così. C'è anche un altro fattore che incide nella singolarità dell'estate dei live 2021: la sensazione che suonino sempre gli stessi.
Una sensazione che ha grande attinenza con la realtà dei fatti: suona chi ha già un pubblico e può permettersi di fare un tour con capienza ridotta. Suonano nelle serate jazz, nei piccoli festival metal o punk nonostante la seduta, suonano quelli che stanno da 10 e passa anni nel giro dell'indie (chiamatelo come vi pare), suonano quelli che hanno hype nei festival giusti, tutti gli altri stanno fermi un turno. Se per Vasco Rossi, Ligabue o Laura Pausini stare senza fare tour per un paio d'anni potrebbe non essere un dramma – anche se a lungo andare la cosa avrà delle ripercussioni anche sui big –, le band veramente indipendenti stanno sparendo.
Come ben sappiamo, la prassi per la band che parte dal garage alla conquista del mondo è quella di suonare il più possibile, ovunque, dagli scantinati puzzoni alle feste di piazza, ai locali, ai festival, alle pizzerie, ai bar accanto al frigo dei gelati, nelle piste del liscio, nelle feste private che finiscono male, nelle vecchie discoteche nuova gestione, negli skate park di cemento sotto il sole alle 16, al mare con gli amplificatori pieni di sabbia, da buttare una volta tornati a casa. Tutta esperienza, serve per capire se davvero il progetto è valido o funzionava solo nelle serate in garage a fare le prove dopo cento birre. Eppure, da poco meno di un paio d'anni, questo iter per le nuove band non è più possibile.
I locali non possono più far suonare, quelli rimasti aperti perché molti sono chiusi, le sagre di paese sono contingentate e preferiscono la cover band che almeno fa divertire tutti, i festival puntano sui nomi che garantiscano il sold out del 500 posti a sedere, per vedere di rientrarci un minimo con le spese. Tutti gli altri luoghi più o meno legali in cui si poteva suonare sono spariti e pure se sei una band con uno o due dischi su Spotify, fatichi a trovare uno straccio di data e ti tocca stare ferma. Cosa che non tutti possono permettersi, e allora può capitare che da una passione semi professionistica si passi in poco tempo a un hobby, una cosa da fare tipo il calcetto, o si decida di fare quella riunione drammatica in cui si scioglie la band, a cui molti quarantenni pensano sempre con nostalgia. "Potevamo essere più grandi dei Måneskin" e non ci dormono la notte.
Già con la zona rossa o arancione, tantissime band di provincia i cui membri abitano in Comuni diversi non hanno potuto provare per tutto l'inverno, già che i loro membri che hanno un daily job, cioè tutti, si sono ritrovati di colpo con la paura di perderlo e di lavorare meno e hanno dovuto cambiare le proprie priorità, una volta che l'estate sembrava quella della vera ripartenza, si sono presto resi conto che per suonare dal vivo servono spazi e che quei pochi spazi sono già tutti presi. Non è certo un'accusa nei confronti di chi suona, per fortuna c'è chi sta avendo la possibilità di fare un vero e proprio tour con musicisti, palco, tecnici, personale, pubblico (pure se seduto) e tutto il resto. Una prova di resistenza e orgoglio di chi aiuta a portare il fuoco, senza il quale il business e la passione starebbero spegnendosi. Ciò non toglie che l'estate della ripartenza segna il decesso di tanti progetti che negli anni scorsi riuscivano a trovare i propri spazi.
Bastava poco: provare, comporre le canzoni, registrarle in studio o in home studio con qualità interessante (dopotutto Sufjan Stevens ha registrato metà Carrie & Lowell con l'iPhone), pubblicarlo grazie a una label o un aggregatore su Spotify e poi cercare un'agenzia di booking per fare il giro d'Italia sul furgone, con pratiche date tipo Bari Milano in due giorni. Poche comodità, pochi soldi, tanto bagaglio di esperienza e un sodalizio di tipo cameratesco che quando tornavi a casa sapevi di aver fatto una roba straordinaria, e avevi ancora più fame. Oggi questo iter nella pratica non esiste più, perché manca l'anello che giustifica gli sforzi per pagarsi strumenti, studio e tutto il resto: riscuotere consensi dal vivo, suonare per un pubblico vero, farsi conoscere, sperare nella botta di culo che dall'indipendente ti porti ad accasarti a un'etichetta di quelle con la distro mainstream, che possa in qualche modo lanciarti verso il sogno di fare il musicista di professione.
Molti musicisti di progetti indipendenti si sono reinventati turnisti per progetti con maggiore esposizione mediatica, sfruttando l'estate per suonare in giro e imparare stili e attitudini diverse. Altri stanno lentamente facendo spegnere il fuoco, vendendo strumenti o aspettando che finisca la pandemia, che però non sembra troppo propensa a scomparire di botto.
Non è un problema circoscritto all'Italia, come facilmente intuibile. Negli Stati Uniti, progetti DIY come i Ganser, dopo aver ottenuto un buon riscontro da pubblico e critica, si sono trovati con le gambe tagliate dal Covid e ad annaspare di fronte a band ben più note e "sicure" per le agenzie di booking e per i club, come viene raccontato qua. Si tratta di una situazione che rischia di cancellare buona parte del fermento underground musicale, senza che venga tesa una mano per dare una possibilità a chi il pubblico se lo deve ancora costruire col sudore della fronte. E che non fa altro che affossare ancora di più le realtà più piccole e spontanee, costrette a soccombere di fronte a chi è nel giro giusto o è già emerso ormai da tempo.
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L'articolo Che fine faranno i gruppi indipendenti dopo la pandemia? di Redazione è apparso su Rockit.it il 2021-07-27 10:37:00
COMMENTI (1)
Il nulla ha vinto.