Paolo Baldini DubFiles: "Il mio reggae crepuscolare nasce da queste montagne"

"Dolomites Rockers" è l'ultimo disco del dubmaster pordenonese insieme all'amico Dan I e un atto d'amore per le Dolomiti, terra in cui il legame tra l'uomo e la natura è assoluto. Proprio come in Giamaica

Paolo Baldini e Dan I (ph. Il Marza).
Paolo Baldini e Dan I (ph. Il Marza).

Quando si parla di musica reggae pensiamo subito alla Giamaica, al caldo, alle spiagge. Basta spostarsi in Italia, però, per scoprire che questa musica così solare può sposare anche un luogo molto distante dalle afose spiagge caraibiche: il Nordest. Da queste parti il grigio del cielo è una tinta con cui si impara a convivere. Paolo Baldini, uno tra i massimi esponenti della musica reggae in Italia, vive in un paesino sperduto nella provincia di Pordenone e conosce bene questo cielo, per lui come un "grigio rancore nichilista che cova nel cuore pietroso e dolomitico di noi friulani".

Con il suo progetto solista Paolo Baldini DubFiles e in collaborazione con il suo amico Dan I, Paolo ha da poco pubblicato il suo ultimo disco, Dolomites Rockers per la sua Imperial Sound Army. Il disco vede 22 tracce, di cui nove dalla doppia faccia: una versione normale e una dub.

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Dolomites Rockers: come mai questo titolo?

Io e Dan I ci conosciamo da circa venticinque anni e una delle cose che ci accomuna di più è che siamo molto legati alle nostre Dolomiti. Io sono sempre andato in montagna da ragazzo, ho fatto lo speleologo e lavorato in un rifugio. Dan I vive a Feltre ed è un "montanaro" a tutti gli effetti. Nel reggae e nella cultura rasta si tende alla natura e al giusnaturalismo e il nostro afflato è per le Dolomiti.

Come si lega il reggae a questo ambiente montano?

Non è neanche detto che si debba legare (ride, ndr)! La cultura giamaicana ci ha condizionato da quando avevamo circa vent’anni. Anche se viviamo in un contesto molto distante dall'immaginario giamaicano, riusciamo a declinare lo stesso amore per la natura. È un fatto di necessità, ma anche di sincerità: non sono proprio un amante di quella musica in maggiore, le palme, il sole e tutta quella esoticità raccolta nel "classico" reggae: tra le sonorità che questo genere ha offerto, mi muovo meglio in quelle più scure e più crepuscolari perchè mi sento più in linea con il background e con il mio paesaggio.

Il disco?

È concepito come una collana di singoli: su 22 tracce ci sono intro, cappello e coda che non sono pensati per la stampa in vinile, quindi hanno un’unica versione. Lo stesso vale per Selassie I Great con Fikir Amlak, mentre per tutti gli altri c’è la b-side dub, oltre alla versione vetrina o showcase, tanto per usare l’accezione giamaicana. Dan I è un cantante mentre io sono un dubmaster, per cui in studio ci è parso fisiologico che per ogni singolo ci fosse anche la dub version. Tre li abbiamo già pubblicati, prossimamente ne avremo altri.

Cosa ci dite dei featuring?

Gli artisti che hanno partecipato a questo disco sono tutti nuovi per me, una novità rispetto ai contatti che di solito gravitano intorno a La Tempesta Dub. È stato davvero bello misurarmi con questa nuova modalità di collaborazioni: non ci sono le automatiche declinazioni delle mie produzioni con i Mellow Mood, per esempio.

Le Dolomiti si vedono in maniera caleidoscopica nel video di Banton, come nasce l'idea per queste riprese?

Quello lo considererei un lyrics video, mi piaceva utilizzare delle immagini didascaliche in una prospettiva psichedelica per fare una sorta di dub version e di remix dell’immagine stessa. Noi dell’arco alpino diamo anche abbastanza per scontato la presenza delle nostre Dolimiti, ma sono una formazione geologica unica nel suo genere. Probabilmente sono più apprezzate dagli alpinisti e dai paesaggisti di tutto il mondo più che da noi: sono scorci che non avrebbero neanche bisogno di commenti. Nulla più delle montagne testimonia la potenza di un creatore. Nulla forse no, ma sicuramente più dei luoghi eretti dall'uomo, come i luoghi di culto e di consumo dalla funzione religiosa. Mi sembrava doveroso usare le montagne in questa maniera un po’ creativa e criptata, per sprigionare tutta la loro spiritualità.

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Come si è evoluta negli ultimi anni la comunità reggae?

Se vogliamo immaginarci l'evoluzione della comunità reggae come una sinusoide, direi che ci aggiriamo intorno allo zero: non siamo in un punto di picco, ma neanche negativo. Nella decade precedente abbiamo vissuto un momento molto fortunato che permetteva anche all'underground di avere un certo indotto. Fino agli anni '10, chi suonava in una band rock difficilmente si trovava a fare un concerto con un cachet decente, almeno finché non aveva raggiunto un certo grado di notorietà. Il reggae, invece, permetteva anche questo, di creare una situazione di concerto godibile anche per chi andava nel locale di turno solo per bersi un paio di birre. Poi, i concerti duravano tranquillamente anche due ore e mezza. Un gruppo rock a un certo punto deve mettersi a fare cover per durare così tanto. Questa realtà aveva incoraggiato molto lo sviluppo del genere, ma ora non è più così perché l’economia ha subito una grossa flessione.

Il reggae è ancora un genere attuale?

Dipende da cosa intendi: rispetto alla salute sopravvive, rispetto al suo potenziale potrebbe sicuramente tornare a dare qualcosa di più. L’offerta negli ultimi dieci anni si è ridimensionata e questa cosa mi dispiace. Ci sono meno proposte nuove, ma confido nel futuro.

Hai registrato l’ultimo disco a Kingston. Sei più tornato in Giamaica?

Durante quell’operazione abbiamo passato due anni avanti e indietro tra Giamaica e Italia, ma dopo quel periodo non ho più avuto l’occasione di tornarci. Quest'anno avevo dei progetti che mi avrebbero riportato in Giamaica, ma per forza di cose è stato rimandato tutto.

Come procede la situazione sanitaria in Giamaica?

Recuperare le mascherine è difficile, ma quello è il meno: per quel che mi riguarda la mascherina è un segno di civiltà, identifica la persona che presta attenzione, lì invece il problema va oltre. È molto difficile limitare i momenti di aggregazione: la rete civile è un po’ abbandonata a se stessa, soprattutto a Kingston che è la città meno turistica e quindi meno strutturata per misurarsi con un certo tipo di occidente. C’è chi se la vive con abitudini che non sono cambiate molto, ma adesso iniziano a esserci i primi morti. Purtroppo c’è anche molto pressappochismo, ad esempio Juba Lion, che era uno dei cantanti con cui avevamo un rapporto più continuativo, è morto due anni fa per una setticemia a seguito di un intervento molto semplice di ernia. Da noi è difficile che succeda qualcosa del genere.

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Come mai hai pubblicato Dolomites Rockers nonostante il lockdown?

Il nostro disco sarebbe comunque dovuto uscire due mesi fa. Noi eravamo pronti e quindi siamo usciti, al di là del fatto che non si può ancora andare a suonare e neanche programmare dei futuri live, credo sia stata una buona idea.

Vivi in un luogo già di per sé isolato, ma stavolta era diverso: come l'hai vissuta?

Abito in uno dei quei paesini che se quando ci passi non tiri il freno a mano manco ti accorgi di averli attraversati, per cui già da prima avevo pochi contatti umani e la mia vita non è cambiata così tanto. La mia famiglia per fortuna era protetta ma in Piemonte, io mi sono trovato da solo, ma tutto sommato me la sono anche goduta. Ho fatto un paio di dirette sui social perché era giusto farle per Rototom e International Dub Gathering, due festival in cui avrei dovuto suonare, le due vetrine più importanti del panorama europeo. Ho passato due mesi in studio, ho lavorato molto: molto tempo l’ho dedicato proprio a questo disco, ma poi ho messo mano anche a nuove cose dei Mellow Mood e Forelock, ho collaborato con l’etichetta inglese Pressure Sounds, con Godblesscomputers, Almamegretta. Insomma, ho lavorato molto più di quanto lavorassi prima. Con la fortuna di non aver avuto casi in famiglia o tra persone a me vicine, per me paradossalmente è stata una bella esperienza. Ero molto concentrato e tranquillo su quello che stavo facendo, e so che è stato un privilegio.

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L'articolo Paolo Baldini DubFiles: "Il mio reggae crepuscolare nasce da queste montagne" di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-06-04 11:00:00

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