"Avrà più di quarant'anni e certi applausi, ormai, son dovuti per amore". Ma adesso che a quell'età sono arrivato io, e lui oggi ne compie ottanta, che cosa conviene dire? Quali parole buone potrei mai scegliere per mandare un biglietto d'auguri a Paolo Conte, dopo che tutte le parole le ho imparate proprio dalle sue canzoni? O, per meglio dire, le ho rubate, come tutti.
Si rubavano per le prime lettere d'amore, quando ancora non sapevamo che la felicità potesse passare anche per "quella stradina moderna sotto la pioggia". Si rubavano per i versi goffi scritti a mano nei caffè, quando volevamo fingere di essere a Parigi, sapevamo citare soltanto Hemingway, ordinavamo vini rossi senza capire, e a vent'anni si potrà perdonare anche quella pipa. Si rubavano parole per i nostri diari di giovani ingolfati, incerti sullo swing, nessuna giungla all'orizzonte, primi impermeabili.
Volevo essere un macaco, come chiunque, volevo poter dire "ho ballato di tutto", e il tempo si spalancava davanti a noi come la pista di un dancing. È stato dai suoi dischi che ho imparato il modo in cui esisteva tutta una poesia vicina, in questa stanza che si può riempire "di incantesimi, di spari e petardi". Poesia in un accappatoio azzurro e un camion giallo di Gondrand. Una poesia anche nell'ombra degli armadi, che guardavo a quel punto per la prima volta, pieni di lini e vecchie lavande. La poesia nella vita di un secolo che finiva, e i nostri nonni non erano più lì a spiegarcelo.
Non avevamo mai pensato fino a quel momento che anche loro fossero stati romantici, ladri di stelle del jazz sotto una luna di marmellata, che si fossero fermati anche loro con il naso per aria a guardare incantati il Novecento che prendeva il volo. Poesia di percalle, macadam e manganesio.
E poi all'improvviso, quando credevi di aver capito tutto, la provincia e la notte, e ti eri seduto comodo in cima al paracarro, ecco spuntare delle palme in fondo alla pianura, ecco che entravano di gran corsa ballerini turchi, scimitarre, Sudamerica, Chinatown, Zanzibar e Timbuctù, un'orchestra che precipita nel ventilatore al Grand Hotel. Mi sono ritrovato a leggere Kipling per un verso di Paolo Conte inteso male.
Noi che non sapevamo niente e pensavamo soltanto a buttarci "a spintoni nell'attualità", e invece imparavamo che ci volevano anni, anni, anni, ci va tutto il tempo che ci va, per capire il nostro cuore barbaro, per guardare in fondo all'acqua cupa dello specchio. Io cresciuto in mezzo alla nebbia, nebbia che da allora è diventata per sempre un bicchiere di acqua e anice, credevo di avere tutte le parole che mi servivano, "una musica che forse era per noi" e un gesto allegro e sornione che riusciva a essere elegante e sensuale al tempo stesso. La dolcezza senza rimpianti, me ne rendo conto, per quella ancora c'è da lavorare.
Quella, chissà, forse la può davvero solo chi ha la faccia in prestito di Paolo Conte quando mente con un sorriso dicendo "è uguale che io ci sia o non ci sia". Perché lui l'ha capito che il maestro è nell'anima, dentro all'anima per sempre resterà.
E allora, Buon Compleanno Maestro.
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L'articolo Paolo Conte - Ci va tutto il tempo che ci va di Enzo Baruffaldi è apparso su Rockit.it il 2017-01-06 16:28:00
COMMENTI (2)
Lunga vita ancora a Paolo Conte alle sue poesie alla sua musica e che le stelle del jazz possano sembre splendere nel suo animo di grande e immenso artista..Buon compleanno!!!
altri 80 di questi anni!!!