Se un festival arriva alla ventiduesima edizione, qualcosa di buono probabilmente ce l'ha. Basterebbe farsi un giro già dal pomeriggio al pool-party (welcome alcolismo delle due del pomeriggio a suon di surf rigorosamente suonato dal vivo), al tendone a mangiare i piacentinissimi pisarei e fasò prima del concerto, e dare un'occhiata ai gruppi che ci hanno suonato negli anni (vi bastano i nomi di Pretty Things, Sonics, Trashmen, Arthur Brown?) per capire che c'è un motivo se il Festival Beat è sopravissuto così a lungo, e continua a godere di buona, anzi, ottima salute. (E nel caso abbiate ancora qualche domanda, ci ha addirittura scritto un libro Luca Frazzi di Rumore, come dire uno di quelli di cui chi ama certe sonorità si fida quasi ciecamente).
Forse la formula integerrima potrà lasciare un po' interdetto qualche hipster (che infatti non ci viene e nessuno sente la sua mancanza), il Festival Beat tutto è fuorché una riserva indiana di nostalgici vestiti a festa: lo testimoniano le aperture degli ultimi anni del programma a formazioni non strettamente di sonorità sixties, italiane (i Leeches, i Cyborgs, i Mojomatics) o straniere (i mitici Undertones, per dirne una), senza che nessuno ne abbia mai fatto un problema, anzi. E proprio in questo senso trovare, nella stessa serata degli headliner Standells (immortalati 50 anni fa da Lenny Kaye nella leggendaria compilation "Nuggets"), una delle migliori punk rock band italiane, che con il disco "Leave it behind" è riuscita a contaminare in modo più intelligente un genere che sembrava alle corde, è piuttosto emblematico. Parlo ovviamente dei Peawees di Hervé Peroncini che attaccano puntualissimi alle 22, proprio con tre brani di quel fortunatissimo album, al momento in cui scrivo ultimo full-length della band nonostante risalga ormai a tre anni fa.
(Foto di Silvio Bernardi)
Dunque inizio a bomba con "Food for my soul", "Don't knock at my door" e "Memories are gone" e il pubblico che dalle bancarelle inizia ad assieparsi sotto il palco, raggiungendo gli aficionados della formazione spezzina che sono già ben incollati alle transenne. Parlano poco e suonano molto Hervé e compagni, con un'energia e una coesione che metà (e forse più) dei musicisti italiani gli invidia, forti anche del fatto che i brani che portano in giro sono ormai tutti ben rodati. Ce n'è uno nuovo, però, che sta per uscire su vinile in uno split con Lisa & The Lips: si chiama "When you walk on my pride" e coi suoi trascinanti coretti sembra proprio il pezzo giusto da presentare in una cornice come quella del Festival Beat.
Per il resto non mancano i cavalli di battaglia come "You don't know me" e "Road to rock'n'roll", e una versione al fulmicotone di "Shot down" dei Sonics funge anche da pretesto per ricordare che qualche giorno dopo i Peawees apriranno allo Spazio Boss di La Spezia il concerto della leggendaria garage-band di Tacoma. Non è l'unica cover in scaletta, c'è tempo per rispolverare (con una bella dose di fuzz) i Creedence Clearwater Revival di "Travelin' band" prima della chiusura col classico peaweesiano "Dead end city".
Poco meno di un'ora di concerto che si chiude con l'abbraccio sul palco tra Hervé e Gianni Fuso, storico organizzatore del Festival, che proseguirà in serata con i divertentissimi New Piccadillys dalla Scozia e la mezza delusione degli Standells, ma che annovererà quello dei Peawees tra i più caldi e apprezzati live act dell'edizione di quest'anno. E ora che sono a casa, non so veramente dire cosa aspetto di più tra il ventitreesimo Festival Beat e il nuovo album dei Peawees (diciamolo, è giunta l'ora!)...
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L'articolo Il live dei Peawees al Festival Beat di Salsomaggiore Terme di Silvio Bernardi è apparso su Rockit.it il 2014-07-05 00:00:00
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