Il 16 agosto mi apprestavo a lasciare quella terra di portenti che è la Maremma direzione Umbria, prima di farlo ero stato pressoché obbligato dagli autoctoni a concedermi una tappa a Pitigliano. Costruita interamente sul tufo e soprannominata "Piccola Gerusalemme" per via dell'antichissima comunità ebraica che qui ha trovato rifugio, come testimoniano numerose ricette e attività commerciali, è un borgo di una bellezza abbagliante.
Quel giorno tra i suoi budelli, pieni di turisti (tipo noi) attratti come mosconi dalle vetrine che mettono in mostra la fierezza della tradizione locale, ebbi una strana sensazione. Era come se un agente esogeno stesse tentando di "infiltrarsi" in quel corpo secolare. Sin dal momento in cui avevo parcheggiato l'auto avevo visto un gruppo di tre ragazzi camminare verso di me, lei aveva dei lunghi dreadlocks rossi, un viso molto bello e una bottiglia di amaro del capo in mano (erano tipo le 10 di mattina). Loro due erano rasati a zero, uno dei due con la faccia super sveglia e l'altra, invece, un po' annebbiata. Avranno avuto vent'anni. Entrato nel paese, di ragazzi "così" ce n'erano a decine, stranieri e italiani assieme, uno (simpaticissimo) si faceva i selfie con tutti i vecchini che trovava e diceva che era la città più bella del mondo (e lui veniva da Roma!).
Il mio sguardo su di loro, che fino a pochi anni fa sarebbe stato quello di un "raga", ora era quello di un papà boomer, afflitto da un misto di tenerezza e impossibilità di comprendere. Ma, soprattutto, ero ossessionato dal cercare di capire che cosa stesse succedendo, perché si stesse preparando un rave tra negozi di selle da butteri, finocchione e cibi kosher. Avrei trovato la risposta poche ore dopo: perché un rave (la definizione è scorretta, quella migliore dovrebbe essere Teknival) c'era sul serio, non distante da lì sul lago di Mezzano. Se ne sarebbe parlato parecchio nei giorni successivi, per via della morte di un partecipante, del rischio focolai e di varie cazzate giornalistiche inventate di sana pianta dalla stampa e dalla tv per criminalizzare l'accaduto.
Nei giorni successi, mentre inserivo alert di ogni tipo sulle cronache della Tuscia, ho continuato a pensare a quei ragazzi – sempre con il piglio del vecchio patriarca scorreggione preoccupato per i suoi pargoli smarriti –, a quello che hanno passato nell'ultimo anno e mezzo (magari non loro, ma molti loro coetanei) e a quale disperato bisogno di libertà e condivisione dovesse muoverli.
Ci ho ripensato anche l'altro giorno, quando è arrivata la notizia che a Sud di Roma, in un'area verde all'esterno del Grande raccordo anulare all'altezza di Spinaceto, si stava formando un nuovo possibile "rave", questa volta fermato prima che raggiungesse, come nel caso dei precedenti, le migliaia di partecipanti e l'intervento delle autorità divenisse molto complesso. Questi due appuntamenti, curiosamente entrambi nel Lazio, hanno richiamato molte attenzioni e raggiunto, loro malgrado, le cronache e pure la polizia. Ma in quest'ultimo anno e mezzo, ve lo possiamo assicurare, di eventi illegali in Italia se ne sono tenuti a centinaia. Ogni giorno.
E in ogni luogo, in ogni contesto. Dalle feste (pure durante il lockdown più stretto) nei loft di Milano o delle altre città ai block party, e poi feste nei boschi, concertini nei locali chiusi. Grave? Boh, forse inevitabile. Lo dico a posteriori, da persona (sempre e solo per quella questione dell'anzianità d'animo) che di queste cose non ne ha fatte e portando la voce di un gruppo che ha organizzato numerosi eventi seguendo tutte le regole – tante e in continua mutazione – in maniera parecchio ligia.
E però bisogna fare i conti con la moltitudine e con la realtà e la sua complessità: la politica fa questo, altrimenti si chiama utopia o (molto peggio) dittatura. Dopo un periodo sfibrante e dopo aver fatto tanti sacrifici, oggi quello di stare assieme e condividere momenti è per tantissima gente un bisogno non più comprimibile. La musica, i concerti, di questo sono la colonna sonora. Quando tanta gente – e noi per primi – dice "non ce la faccio più senza concerti" (sostituite pure con "andare a ballare" o quello che volete voi, ciascuno ha i propri riti e le proprie modalità di esprimersi) in realtà dice questo: non ce la faccio più senza stare in mezzo alle persone, sentirmi vivo e dare spazio alle passioni, che è ciò che ci tiene su.
Questa cosa non si può più frenare, la richiesta di saltare un altro giro del CTS, su cui il governo deve a breve esprimersi, non è più "spiegabile" a molti ragazzi e ragazze. Anche perché incoerente con quello che è stato detto finora (la famosa immunità di gregge con l'80% dei vaccini) e con gli strumenti a disposizione. Sarebbe la mortificazione del senso di responsabilità (che rivendichiamo al 100% e di cui siamo orgogliosi) tenuto fin qua.
L'alternativa è intensificare ancora di più quell'illegalità che già negli ultimi mesi è divenuta di sistema. Quella delle feste private e dei locali che chiudono tutti e due gli occhi. Ce ne sono già stati moltissimi casi, ripetiamo, più di quanti abbiamo idea. Ce ne saranno sempre di più nei prossimi mesi. Queste sono situazioni che, per definizione, non si controllano. È la solita vecchia storia del proibizionismo e della sua ottusità: non capire quando le richieste che arrivano da fuori, dalla società, sono giuste oppure anche solo non più arginabili. Si sprecano energie, si aizzano scontri per contenere ciò che tanto troverà altre forme per manifestarsi.
Il parallelo con le sostanze è particolarmente utile, perché, come da monito della SIAE, una scelta di ulteriori chiusure (o non piene riaperture) dei locali sarà l'ennesimo favore alle mafie, che sulle situazioni border line o illegali fa affari da sempre e che già ha messo gli occhi e le mani su tante strutture in difficoltà. La prudenza, quella consigliata dal Comitato Tecnico Scientifico, non è sempre la migliore strategia, la sicurezza è un valore ma non è l'unico.
Così come non lo è il profitto, fin qui l'unico criterio secondo cui sono state prese le decisioni e per cui ci si è assunto dei "rischi" in materia di contagio. Di valori – che ci crediate o meno – anche i ragazzi e le ragazze che vanno ai concerti, e persino i "ravers", ne incarnano parecchi. Fondamentali, insopprimibili. Ben più di una legalità che, se perde contatto con le vite delle persone, diventa solo un vuoto e odioso giogo.
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L'articolo La politica sta costringendo la musica in Italia all'illegalità di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-10-05 10:57:00
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