La profezia di Diesagiowave: un giorno rinascerà l'underground

Negli anni '10 il gruppo Facebook ha contribuito a creare una scena musicale, che oggi cachet folli e playlist a pagamento stanno facendo collassare. Con la speranza che la burrasca in corso corregga qualche stortura, e anzi non ci faccia diventare ancora più nostalgici

Se seguite la musica underground italiana, conoscete certamente Diesagiowave. Lo storico gruppo di Facebook nato dall'incontro tra Davide Pisa e Matteo Mirenda, un ciociaro e un toscano amanti della musica indipendente, che hanno contribuito a creare l'immaginario grafico, musicale e concettuale che è la cosa più simile al "punk comodamente da casa" che gli anni '10 avrebbero potuto concepire. Nei giorni d'oro dell'indie italiano prima e dell'itpop dopo, il gruppo ha raggiunto una grande influenza nella scena.

Diesagiowave ha più di 20mila utenti e, dopo qualche tempo di inattività, nei giorni del Covid ha ripreso vita con post che guardano soprattutto al passato. Un fatto piuttosto curioso, per un gruppo che ha sempre spinto in avanti, e che mi ha fatto salire la voglia di saperne di più. Ho fatto qualche domanda a Davide e Matteo, che sono sempre belli carichi.

 

Diesagiowave, il gruppo che un tempo è stato definito “la massoneria dell’indie italiano”, sembra stia vivendo una sorta di revival. Siete vittime della nostalgia canaglia tipica dei boomer?

Una premessa è d’obbligo: tutto ciò che diremo sulla musica italiana farà riferimento all’epoca ante pandemia. Crediamo sia utile sottolineare come l’attuale momento storico rappresenti una cesura fondamentale, impossibile da ignorare, che pone tutti noi dinanzi a sfide ancora sconosciute. In un momento simile, in cui i social sono rimasti i soli spazi a promuovere il valore della socialità, il significato del gruppo è tornato a galla: Diesagiowave è stato ed è un luogo di incontro e aggregazione. Essendo formato da membri che sono diventati in poco tempo amici - oddio, una grande cerchia di amici visto che siamo un bel po’ - c’è stato uno di quei momenti in cui si dice “Ma ti ricordi quella volta?”. E da lì poi parte tutto a cascata e a rilancio. È incredibile: se a qualcuno lì dentro chiedi di parlarti della musica italiana, ti risponderà quasi sicuramente “2016”. E per un gruppo goliardico come il nostro, in quell’anno ci siamo divertiti molto. Forse è solo l’ennesimo crogiolarsi nella nostalgia del futuro perduto, ma ora come ora, mentre il mondo è sempre più unheimlich, crediamo che la ricerca di un senso di familiarità nelle cose sia tutto: che appaia boomer o meno. 

 

In un post di qualche tempo fa avevate scritto di essere delusi dal fatto che siete partiti come gruppo per far conoscere musica underground e siete finiti a parlare dei fenomeni del nuovo pop. Cosa è successo alla musica italiana degli ultimi 5 anni? 

Mai detto di essere delusi dal vedere artisti che abbiamo sempre supportato, visto crescere e diventare i nuovi fenomeni pop. Anzi - senza modestia - ci sentiamo in parte complici di questo successo meritatissimo. A deluderci è stato il fenomeno stesso dell’ITPOP, termine nato da un membro della community nel luglio 2017, con in mente quanto uscito fino ad allora: i Cani, Cosmo, Thegiornalisti, Calcutta, Pop X, Gazzelle, Canova, Carl Brave x Franco126, Giorgio Poi, ma anche Sfera Ebbasta, per citare i più notabili. Il significato di ITPOP tuttavia era in primis quello di emancipare gli artisti dal brand “indie”, rendendo giustizia ai loro numeri, far tacere finalmente le polemiche sull’uso scorretto del termine da parte dei più intransigenti e avere una categoria estetica in cui sistemare una parte del nuovo pop italiano. Tutto questo senza tenere conto delle differenze individuali tra progetti musicali: non avevamo pretese filologiche, ma meramente pratiche. Ciò che ci ha fatto più dispiacere è stato vedere come sia stato strumentalizzato in un secondo momento da coloro che potevano essere definiti “wannabe” o emuli e industry plant. Penso sia ben impresso nella mente il periodo in cui tutti erano cloni di Calcutta.

 

Male, eh.

Noi questo fenomeno l’abbiamo un po’ combattuto anche da “dietro le quinte”. Ad esempio ci fu il periodo in cui avevamo la chat tempestata di richieste per inserire un tale brano in playlist. Tanti chiedevano pure di pagarci: pratica a quanto pare diffusa tra le playlist non ufficiali di Spotify. Prendendoli in giro, rispondevamo di pagarci in V-buck, per comprare le skin di Fortnite. Ovviamente era più divertente quando non capivano cosa chiedessimo. Questo articolo sarà letto da tanti nella stessa situazione. 

 

Quindi niente Audi nuova per voi...

Cogliamo l’occasione per dire: ragazze e ragazzi, mai pagare per suonare o per qualsiasi altro servizio che sia booking, management, ufficio stampa, recensioni, ascolti o playlist. Mai. Tanto vale pagare sponsorizzate su Facebook e Instagram oppure qualche esperto in grado di strutturarle al meglio. Nella nostra playlist, prima chiamata Musica pe’ scopa’, poi Indie 2 e ora in disuso da più di un anno - nonostante le interazioni di social e gruppo - ci mettevamo quello che volevamo, meglio se sconosciuto. A volte, se non conoscevamo direttamente l’artista di un determinato pezzo, lo contattavamo per dirgli che era finito nella nostra playlist. Cercavamo di mantenere quel clima puro che è stato poi la base fondante del panorama attuale. Quando è venuta meno una certa “purezza” d’animo negli emergenti, sostituita dalla foga di arrivare, è finito tutto. Nel momento stesso in cui l’orientamento al cliente diventa la tua ragione di vita, fai impresa: non fai musica, non fai arte. Se arrivano i soldi, allora va bene, è giusto iniziare a pensare in maniera imprenditoriale. Stai calmo, fai il tuo con un occhio a quello che succede intorno a te e divertiti. Abbiamo chiuso i rubinetti. Non promuoviamo più nessuno, tranne chi conosciamo bene e di persona: è successo solo due o tre volte nell’ultimo anno e mezzo.

 

Dunque quali sono i canali migliori con cui promuoversi da indipendente oggi?

Come detto, basta fare il proprio, senza mettere in primo piano l’ascoltatore. Leopardi racconta che, quando venne chiesto al predicatore Jean-Baptiste Marsillon come facesse a conoscere così bene gli usi e i costumi degli uomini, lui rispose che in realtà, quando preparava le sue omelie, pensava a se stesso. Ecco, bisogna pensare a sé, per arrivare agli altri. Forse questa è la chiave di lettura più adatta. E non c’è canale che tenga, per la giusta promozione, a meno che non intervengano i soldi: allora sì, va bene anche scrivere roba che altrimenti nessuno avrebbe mai considerato e diventare gli artisti di chi non ascolta musica, proprio come i libri degli youtuber sono per chi in realtà non legge.

 

Chi ci rimette?

Abbiamo ben visto che fine sta facendo sotto certi punti di vista il mercato musicale a livello qualitativo, e questo è, secondo noi, soprattutto perché viene fatta musica solo per assecondare i gusti degli ascoltatori, spesso con il tutto studiato a tavolino da gruppi di decine di persone. Un sistema che condanniamo in toto se utilizzato per progetti praticamente inesistenti, che nascono già famosi, ma che poi in realtà, alla resa dei conti, al computo dei biglietti per quei benedetti live, dimostrano d’esserlo solo su Instagram. L’ex-indie invece era più fatto di pancia, era audace e cercava di portare qualcosa di nuovo in un panorama già saturo. E questo è stato il segreto del successo. Venivi supportato perché eri uguale a noi. In un certo senso si cresceva insieme. Quindi il vero consiglio è che non esistono consigli, guide, trucchi, scappatoie o quant’altro. E per l’amor del cielo smettete di comprare le visualizzazioni su YouTube, che si vede. E se siete in cerca di un manager, diffidate di chi vi parla di numeri.

 

Diesagiowave è nato come gruppo privato di una pagina social più seria, ma ha avuto molto più successo: come ve lo spiegate?

Una pagina Facebook è un admin che parla al pubblico, che ne fruisce i contenuti. Un gruppo Facebook è diverso. È più un luogo di ritrovo, in cui i rapporti sono più diretti. Da lì abbiamo iniziato a conoscersi e frequentarci, il resto è storia. Come abbiamo detto tempo fa, la chiave del successo dell’ITPOP è stata il sodalizio di intenti tra ascoltatore e autore. Lo stesso fenomeno si può ritrovare nel gruppo. Noi admin abbiamo fatto in modo che tutti si incontrassero a metà strada di un bisogno: condividere estetica e interessi che, quattro anni fa, erano difficili da esternare senza passare per tipi strani.

 

Qual è il legame tra meme e musica, ma soprattutto: da questo legame, chi ne ha beneficiato?

In un’intervista avveniristica fattaci da Alessandro Lolli nel 2016, ci capitò di dire che quello dei meme è un ambiente indiscutibilmente elitario. Negli anni 2015-2016, il meme era più sconosciuto ai più, se non nella forma delle vecchie rage comics, come Fuuuuuu e Trollface. Prendendo come spunto le creazioni americane, abbiamo da sempre cercato di riadattarle con successo al nostro panorama musicale. La viralità dei contenuti creati ha fatto sì che molti artisti dell’ex-indie abbiano avuto un boost promozionale che, a nostro parere, è irreplicabile per ogni nuovo artista, o almeno non oggi. Forse in quel periodo ne abbiamo beneficiato entrambi, volenti o nolenti. Noi potevamo produrre contenuti per via dell’artista e quest’ultimo magari ne riceveva qualche fan in più.

 

Chi ci ha guardagnato di più?

Non sappiamo quantificare le centinaia di persone abbiano conosciuto Pop X attraverso Diesagiowave: ci sono anche altri casi, ma questo è il più eclatante. Attualmente tuttavia fare i meme è abbastanza ridondante e fuori luogo. Forse anche per questo abbiamo un smesso, tranne in casi eccezionali. Se richiamiamo inoltre l’etimologia della parola, il greco mimesis, il meme di oggi, in quanto imitazione della realtà, è perturbante, non deve far ridere: deve stordire o suscitare la risata amara. Se ridi per un meme, ciò che hai visto non lo è propriamente, ma, come disse uno dei king della memetica italiana contemporanea, è “un’immagine buffa, un contenuto divertente”. Lasciamo però la teoria a chi ha voglia di farla. Ovviamente si continua a ridere, ma non so quanto abbia senso dire ancora che facciamo meme. Per ogni pagina Facebook, se prima venivano create pietre miliari dell’internet, adesso si mema alla giornata, dove il centro del post è basato sull’argomento del giorno. Che noia.

 

Chi se l’è presa di più per i meme che avete creato?

Una volta fu fatto un video a Cosmo dove gli fu chiesto di salutare Diesagiowave. Lui rispose con “Che cazzo è Diesagiowave” e da lì la risposta immediata, subito glorificata della patina dorata del meme, fu “Chi cazzo è Cosmo”. Durante i suoi concerti c’era sempre qualcuno che da qualche parte urlava chi cazzo fosse, facendo ancora più ridere: cioè sei al suo concerto e gli chiedi chi cazzo sia. Sicuramente non l’ha presa bene. Se invece vogliamo parlare di chi l’ha presa più a cuore, Francesco Sarsano, bassista dei Vanilla Sky e di Calcutta, aka “Er bassista de Calcutta”, ci ha fatto fare tante risate grazie a questo meme. Persona squisita: gli vogliamo tanto bene, anche se non ci vediamo praticamente da anni. Un altro ad averla presa bene è stato Niccolò Contessa, che nel lontano 2015 condivise sulla (ormai scomparsa) pagina de I Cani uno dei nostri primi meme. Non crediamo sia mai accaduto né prima né dopo. La foga di essere notati dal senpai fu così potente da darci la forza di continuare fino a oggi.

 

Facebook è morto davvero?

Facebook non è morto, i morti siete voi. L’azienda di Zuckerberg ha creato tanti piccoli contenitori in una specie di divide et impera, quindi nessuno dei suoi “prodotti” è morto, o almeno non per ora. Facebook raccoglie maggiormente la fascia d’età 20-30, che si ritrova appunto nei gruppi. Diciamo che l’affermazione sulla morte di Facebook può essere valida se osserviamo solo l’appiattimento dei profili privati e la generale mancanza delle cose da dire. I gruppi, di contro, sono super fervidi. Forse ci siamo accorti tutti che è inutile cercare dialogo e dibattito sui propri profili: meglio rifugiarsi in spazi che in teoria rispecchiano un sentire. Con la pandemia crediamo che Instagram abbia perso colpi, con un nuovo rilancio di Facebook, che favorisce maggiormente la socialità.

 

E l’indie, è morto anche lui? Chi l’ha ucciso?

Chi l’ha creato, giustamente. Poi ci ha pensato anche il flusso della storia a fare il resto. 

 

La trap che fine ha fatto? 

L’anno scorso è uscito un disco in esclusiva su SoundCloud - la piattaforma che in Italia tra il 2018 e il 2019, con ritardo di almeno un lustro rispetto agli USA, ha incubato alcuni dei progetti musicali più interessanti degli ultimi anni - con all’interno un pezzo chiamato Ghigliottina, il cui testo a un certo punto fa “Questi coglioni che dicono 'la trap è morta' perché gli manca la cultura/Chi ascolta musica ironicamente in testa c’ha la segatura/Artisti con le views pompate su Spotify/Cazzo ci fai con lo scudetto se non stacchi più di mezzo biglietto appena esci dalle Mura?”. Ecco la trap esiste ancora, esattamente come l’indie. E ha conosciuto stranamente la stessa parabola, con numeri e pubblico di gran lunga maggiori. I campioni della trap del 2016 lo sono ancora. Lo stesso dell’indie. Possiamo dire che il pop si sia “indiezzato” e “trappizzato”, assorbendo giustamente quanto più era redditizio nell’underground. Il problema è venuto dopo, quando chi aveva nemmeno un quarto del talento, ma il triplo del capitale e delle conoscenze, ha iniziato a emulare, trasformando tutto in un gigantesco circo, in cui il migliore imitatore rimane comunque un pagliaccio. Abbiamo un po’ allentato l’attenzione alle uscite nell’ultimo anno e mezzo, tornando ad essere semplici ascoltatori. L’hip-hop vivrà benissimo sui social, complice anche l’exploit di Tik Tok. Bisogna aspettarsi molta musica orientata al social. Per quanto riguarda il pop, senza live, solo chi ha saputo davvero comunicare qualcosa sopravvivrà

 

Dove dobbiamo cercare musica nuova ai tempi del Covid? 

A nostro parere, se qualcuno ha nuova musica in cantiere, tutto ciò che risale fino a prima di marzo è già probabilmente già obsoleto. In questo periodo abbiamo visto di tutto. Purtroppo. Scene a cui mai avremmo pensato di assistere e vite che forse mai avremmo voluto condurre. Poi a livello pratico possiamo trovare musica ovunque, specialmente oggi. Magari avere più tempo libero ci può dare la facoltà di cercare la musica che ci piace, quella non appioppata dalle playlist, che è merce ben più rara. Un po’ come andare al supermercato e poi nella piccola bottega: ovvio nei supermercati ci sono le marche più prestigiose e rinomate, ma le botteghe sanno stupire a volte.

 

Piccolo è meglio?

Quando sarà possibile, la musica live non potrà di certo ripartire dai grandi spazi, ma dai locali più contenuti. Noi abbiamo sempre avuto come punto di riferimento l’8Bit di Montelupo Fiorentino: uno dei centri della musica underground in Toscana. Questo genere di locali sono rimasti piegati dall’arrivo dell’ITPOP, trovandosi in non poche difficoltà nel continuare a garantire un’alta qualità di offerta musicale visto il “vuoto generazionale” creato dagli artisti ex-inde ormai ascesi e l’esplosione dei cachet degli emergenti. Magari un mondo post-pandemia ci porterà alla riscoperta dei piccoli locali, più intimi e quindi con meno persone al loro interno, e il Rinascimento dell’underground, in quella che sarà la Nuova Onda. 

 

Qualche nome che vale la pena seguire?

Come sempre noi spingiamo gli artisti che più ci piacciono, che ci scuotono dentro. Da tempo seguiamo un collettivo di ragazzi di Montelupo Fiorentino non tanto come Indiesagio/Diesagiowave, ma proprio come fan, facendogli quasi da Virgilio in questo Inferno, mettendoli in guardia dalle insidie che il sottobosco può riservare. Questi ragazzi tuttavia sanno benissimo cosa vogliono fare e dove vogliono arrivare, in maniera completamente autoprodotta: sono liberi. Quindi il loro modo di prendere decisioni ci gasa. Se li volete ascoltare, vi consigliamo i ragazzi del bnkr44, che su SoundCloud stanno facendo faville. Siamo sempre super fan del MAGO, che sappiamo stanno lavorando a un disco. Proprio una loro frase potrebbe dare senso a questa nostra intervista “voglio sprecare il talento/ come forma di protesta”. Poi una nostra cara amica, Kleopatra, ha pubblicato il suo primo singolo qualche mese fa su Spotify - 3AM. Queste sono le eccezioni a cui abbiamo fatto riferimento nella seconda domanda. 

 

I concerti per ora sono proibiti.  Qual è il vostro pensiero in merito? 

Speriamo che si possa tornare sotto i palchi al più presto. Realisticamente “presto” è comunque molto tempo. Nel mentre crediamo non esista una soluzione, o meglio, un surrogato di fruizione della musica live che possa restituirne tutte implicazioni economiche e sociali. Personalmente non siamo fan delle dirette a pagamento - anche perché sono gli artisti stessi a farle gratis molto spesso - né dell’idea drive-in, che in Germania ha avuto risultati comici. Ogni soluzione che ci passa per la testa sembra troppo ingenua ed evitiamo di esporla, anche perché non ci va di sminuire chi in questo momento, oltre a soffrire per la mancanza di lavoro, patisce una delle più ignobili sottovalutazioni settoriali da parte delle istituzioni. Come sempre, sarà il pubblico a decidere a fronte di un’offerta decisa, quando questa sarà possibile. 

 

Come lo vedete il futuro della musica italiana?

Male, fino alla pandemia. Ora sembra che ci sia ancora tutto da scrivere, da inventare e da ritrovare. Però oltre a essere arte, la musica è pure intrattenimento. Una delle parole chiave di questo periodo è stata “reinventarsi”. Un imperativo che attraversa ogni settore commerciale, ripetuto fino alla nausea. E magari a ragione. Ignorando le soluzioni “comiche” di cui finora abbiamo sentito parlare, magari anche questo ambiente potrà essere in qualche maniera reinventato, per creare nuove forme di intrattenimento. 

 

Saluti finali?

Vogliamo cogliere l’occasione per dedicare questa intervista a Mirko Bertuccioli, sicuramente una delle perdite più grandi che questa pandemia ci ha causato. Negli “anni d’oro” dell’indie, la nostra strada si è incrociata più volte, e ogni volta, con il sorriso di uno che ha visto più cose di te, ci mostrava quale fosse la via pura, quella dei fratelli. E come l’ha fatto con noi, l’ha fatto pure con “i grandi” dell’ex-indie. Quindi niente, se siamo a scrivere queste righe in parte è merito pure suo. Grazie di tutto.

 

Biografie serie:

Davide Pisa, laureato in Dark Polo Gang. Apre Indiesagio nel 2014, l’anno successivo conosce Matteo Mirenda e, dopo pochi mesi, apre insieme a lui Diesagiowave. Un giorno vorrebbe insegnare italiano e latino. Non riesce ancora a capacitarsi del finale di How I Met Your Mother. Ascolta musica emo. 


Matteo Mirenda nasce e muore a Montelupo fiorentino. Per caso incontra Davide Pisa a un concerto dei Verdena e da lì nasce una profonda amicizia, che ha portato alla nascita di Diesagiowave. Artigiano di ceramiche artistiche nella vita vera, nel mondo virtuale si diverte a diffondere il verbo dei meritevoli e a cercare di comprendere l’antica arte del like. Come ruolo gioca un tank in top lane.

 

 

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L'articolo La profezia di Diesagiowave: un giorno rinascerà l'underground di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-05-12 11:08:00

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