Quando Marracash in televisione qualche tempo fa ha detto "l'avvento del rap e l'affermazione del rap è una delle poche cose meritocratiche e su richiesta popolare di questo Paese" aveva perfettamente ragione. La storia del rap è relativamente giovane rispetto ad altri generi musicali italiani, e più di ogni altro ha dovuto lottare per ritagliarsi un po' di credibilità e di successo con lo scorrere degli anni.
Un'altra cosa che chi fa rap sa è il rispetto e l'importanza delle roots, letteralmente le radici di chi ha inziato a trasformare una cultura che arrivava da oltreoceano in qualcosa che raccontava un paese alla soglia del nuovo millennio. Con il passare degli anni lo stile del rap italiano si è adattato come una specie di mutaforme al tempo che scorreva, con i suoi alti e i suoi bassi, arrivando addirittura a creare una cosa come la trap, ma senza mai perdere di vista il sound e il flow dei primi '90, che ciciclamente ritorna, in una barra, in un disco o anche in un solo brano. Ora la domanda: voi Pufuleti lo avete mai sentito?
Il suo nome è Giuseppe Licata, è nato in Sicilia, ad Agrigento, e si è trasferito a 4 anni con la sua famiglia nel Saarland, in Germania, e lì continua tutt'ora a vivere. Cresciuto con l'italiano che gli parla sua madre e quello della televisione generalista di Domenica In, Giuseppe canta in tedesco per più di una decade sotto il nome di Joe Space e fa uscire dischi come Nollywood e nachtalb (insieme a Lord Folter, ASCOLTATEVI QUALCOSA). Giuseppe si mangia il tedesco come uno scioglilingua e il beat scorre giù in gola come la migliore Weiss della vostra vita. Dopo averli ascoltati non pensavo il rap tedesco potesse piacermi tanto.
Tumbulata è stato il suo primo disco uscito lo scorso anno sotto il nome di Pufuleti, e nonostante abbia qualche sprazzo di tedesco qua e là, è ufficialmente il suo primo lavoro in italiano. Ed è folle. Sgangherato, distorto nel modo di rappare, semanticamente fuori da ogni schema logico, ha una cosa che gli viene naturale ed è lo stile (al di là della tecnica).
Con il tempo continua ad evolverlo e decostruirlo. Rap 2.0 costruito sui beat del lo fi hip hop è infatti Catarsi Aiwa Maxibon, il suo secondo disco, uscito pochi giorni fa per La Tempesta (dentro c'è il supporto artistico di Misto Mame e dei beatmaker della crew C.O.T.A.). In Super Play-Doh lo dice chiaramente: non sono barre, ma "street ciaks di strada" misti a skit, reference generaliste e una vagonata di flow.
L'aspetto sociale della sua musica è altrettanto interessante: figlio di emigrati all'estero, cresce in un nucleo famigliare saldo nelle sue origini. La Sicilia ritorna nelle sue canzoni (vedi Dux Tufo o BBC Cocau, con l'eruzione dell'Etna), ma soprattutto la cultura televisiva degli anni 2000, che ha aperto le porte alla cultura trash dei giorni nostri. In questo ricorda la seconda generazione del rap nata in Francia.
In ordine totalmente casuale, nello scorrere delle sue tracce (Tatzlwurm lo spiega bene) non è difficile sentir nominare Fabrizio Frizzi, Pantani, Umberto Smaila, Woityla, la pubblicità della Valsoia, i plasmon, un Maxibon, e poi c'è la voce di Paolo Bonolis distorta. Flussi di coscienza a volte indecifrabili, urla che stridono, ritorni anche alla cultura araba, una nuova forma di conscious rap condita di riferimenti schizofrenici: Pufuleti ti dà l'impressione di parlare a caso, ma è proprio nei suoi testi costruiti come una matrioska che riesce a creare dimensioni comuni a tutti, è un senso logico alla fine ce l'ha eccome.
L'hanno definito la cosa più fresca del rap italiano e di certo Pufuleti è una rivelazione, qualsiasi cosa stia facendo. Fuori di testa, fuori da ogni giro che conta, il successo sembra essere una cosa che gli interessa marginalmente eppure quanta weirdness. Quanto stile, quanta fotta.
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L'articolo Pufuleti sta distruggendo l'italiano in una maniera fantastica di Chiara Lauretani è apparso su Rockit.it il 2020-03-10 12:20:00
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