Ecco un caso trasversale e a tratti controverso che esiste da quando esiste la musica e nel corso degli anni ha assunto ruoli, funzioni e attenzioni diverse. Vergognose o geniali, sublimi o ruffiane, utili al percorso dell'arte tutta o stupidamente inutili, quasi fiabesche (con tanto di morale) o meramente di comodo, la storia di tutte le amicizie tra artisti è così tortuosa e sfaccettata che ancora desta curiosità e interesse. Tanto che è proprio di questi giorni la pubblicazione di un saggio, dal palese titoloNice To Rock You, a cura di Ezio Guaitamacchi, Leonardo Follieri e Jessica Testa (con una prefazione di Manuel Agnelli) che indaga proprio sulla scintilla che ha stravolto da sempre il mondo della musica in modo fortunato (e a volte fortuito), ovvero quella dell'amicizia.
Se infatti la vita, come diceva un vecchio album di Vinícius de Moraes, Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo, è l'arte dell'incontro, le interazioni che portano alla creazione artistica, beh, dovrebbero valer doppio. Prima della diffusione dei supporti fonografici, ossia dei dischi, la quasi totalità della musica campava di “inimicizia”. Se non c'è la possibilità di incidere, e quindi di crearsi da soli un pubblico, tutto si gioca sul singolo: ci sono le famiglie che pagano e i musicisti che cercano di farsi ospitare a suonare le partiture, proprie o altrui. E non è detto che ciò avvenga in modo cortese e cavalleresco, anzi: la classica è gonfia di aneddotica che narra di sgambetti, furberie e meschini stratagemmi anche da parte di nomi celebri e celebrati (da Tarnini a Mozart, Wagner non ne parliamo) per aggiungere una data a quelli che erano tour ante litteram e che spesso erano finalizzati alla commissione per un altro disc... ehm, spartito.
Nella musica pop, invece, gli artisti, compositori e musicisti, noti e sconosciuti, sono (quasi) sempre stati propensi alla unione e alla comunione dei talenti e, ancora prima, dei “beni”. Ovviamente, per beni, mi riferisco allo spinoso e fluido universo delle “cover”: basti vedere come assai difficilmente una qualsiasi x-factorata sia causa d'ira o semplice sdegno da parte del creatore originale del brano. Si parlerà piuttosto di estro, di creatività, al massimo di mera provocazione. In questa fase, però, se non soprattutto, e specie di questi tempi, convivono motivi estremamente vari ed eventuali perché ci sia un'intesa. Soprattutto economici, diciamolo. Legati ai diritti d'autore e alla pura pubblicità. Fino ai casi limite, in cui la sola appartenenza a un genere comune “avvicina” taluni alla ribalta di altri, senza che le carriere, vite o canzoni si siano mai incrociate: è quello che abbiamo visto accadere con i Maneskin e l'immotivato entusiasmo di taluni rocker per il loro successo. Mentre altri rimanevano con i piedi ben saldi per terra.
Ma con l'amicizia, intendo la vera amicizia, cambia tutto. Perché non c'è solo la comunione della stessa materia, ossia la musica, della stessa passione, sempre la musica, ma c'è quella fiducia bastevole per superare il “mestiere” ed entrare nello strabiliante mondo della creatività condivisa. Il 100% dei dischi che amiamo sono nati così. E poi si sono cementificati nelle vere e proprie formazioni che conosciamo. Ma vale anche per i singoli episodi. Le sessioni di Louis Armstrong con gli Hot Seven di Chicago nel 1927 e Supernaturals Records One degli Ufomammut con i Lento del 2007, ottant'anni dopo, sono due dei grandi esempi di cosa l'intimità e la complicità dell'amicizia riesca a fare: non solo produrre, sotto l'aura della “jam”, in cui il confine tra standard, tributo e musica originale si confonde, creando versioni originali pure in brani non originali in senso assoluto, secondo i rispettivi canoni/generi proposti; non solo aizzare altre persone a fare altrettanto; ma invitano tutti gli scettici a ricredersi fermamente.
Perché, sebbene gli (assai presunti) storiografi di quello o quell'altro sottogenere del rock (dal indie al metal, dal punk al glam) indicheranno tutte le pubblicazioni di questo tipo come il sottoprodotto di vecchie glorie che comunque devono tirare a campare per pagare il mutuo e segnare i pargoli a nuoto, sappiamo bene che gli altri, cioè quelli che i dischi se li ascolta per davvero e per intero, identificano in queste produzioni un suono a dir poco specifico, assolutamente riconoscibile dopo pochi secondi e che non si lascia sopraffare soprattutto dal passato. Prendete il sodalizio del 1995 tra Paul Chain (Death SS) e Lee Dorian (Cathedral) per l'album Alkahest, oppure quello tra Paolo Mongardi, Stefano Pilia (Massimo Volume) e il fondatore dei Minutemen Mike Watt, o quello più recente tra componenti del Teatro degli Orrori (Capovilla e Valente) e Afterhours (Xabier Iriondo) con Eugene S. Robinson (Oxbow): c'è da ammettere che il tratto distintivo di questi album resta proprio l'unicità dell'incontro tra mondi altri - perché in fondo ce la possiamo raccontare quanto ci pare e piace... ma siamo sempre nati in Italy - che, ad esempio, non si riscontrano nelle cronache da Motel di Clementi e Nuccini per quanto inevitabilmente bello, nel suo continuare vecchi discorsi già fatti da Tindersticks trent'anni fa.
Un po' come con i film. Vuoi vedere un bel film sui vampiri? Spostati, gira, conosci gente. Simbolicamente, si capisce. Vai in Persia (A Girl Walks Home Alone at Night), o vai in Svezia (Lasciami Entrare). Probabilmente lì scoprirai qualcosa di nuovo e magari di interessante. Tra i primi a capirlo, sicuramente c'è Mauro “Teho” Teardo che, nel corso della sua carriera, ha costruito legami con un numero impressionante di artisti che tutt'oggi non cessano di arricchire discografie domestiche di molti. Da Scott McCloud a Erik Friedlander, passando per Nick Harris, JG Thirlwell, Tod Ashley, Steven Stapleton e chi più ne ricorda più ne citi. In tempi odierni il più noto dei suoi legami amicali è quello con Blixa Bargeld degli Einsturzende Neubauten, giunto in questi giorni al loro terzo album, a otto anni da Nerissimo (“Ma il tempo si dilata ed espande come una fisarmonica”). Il nuovo disco, come a sottolineare ciò che si è detto fin'ora, si intitolaChristian & Mauro.
Ma, sebbene l'utilizzo dei nomi di battesimo ci suggerisca uno sguardo più intimo e personale, i due spiegano che “L'album contiene riflessioni che dall’universo tornano alle vicissitudini umane: dal viaggio nel passato con la secentesca passacaglia Bisogna Morire, una danza della morte che viene reinventata in una prospettiva contemporanea in cui elenchi di nuove professioni digitali trovano la rima con parole di secoli fa”. Ma visto che non è possibile scoprire nuovi territori senza perdere di vista la costa, in queste dieci canzoni Teho e Blixa si concedono, oltre a una larga selezione di strumenti che allargano la vasta gamma ai quali i due ci hanno già abbondantemente abituato, di indagare sulle considerazioni di un libro del fisico Carlo Rovelli, finendo inevitabilmente per guardare all’universo con occhi diversi. Questa musica, che ricongiunge nuovamente il cielo tra Roma e Berlino, come negli altri casi con San Francisco, San Pedro o Coventry, è frutto di un'amicizia oramai decennale tra due artisti che non sono “soltanto” il cantante/chitarrista degli Einsturzende Neubauten e quello dei Meathead, non solo il compagno di merende di Nick Cave nei suoi dischi migliori e il compositore di alcune delle colonne sonore più belle in Italia negli ultimi venticinque anni, ma (due) uomini in continua ricerca di nuovi stimoli artistici. Evitando preferibilmente di continuare in eterno a suonarsi addosso.
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L'articolo Quando un disco nasce da un'amicizia, si sente di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-11-27 16:28:00
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