Festival: cosa ha significato e cosa significa questo vocabolo nell’immaginario collettivo italiano? Kermesse canora rivierasca, manifestazione televisiva e itinerante, rassegna performativa o concerto in un prato fangoso? E ancora, rave, campeggio, sagra di paese, di partito politico, o cos’altro? L’archivio di sottoculture italiane Ragazzi di Strada se lo è domandato, tracciando un breve racconto storico e iconografico di come diverse generazioni di giovani hanno interpretato questo concetto. Su RockitMag, il magazine di Rockit che trovate (gratuito) al MI AMI (il 27, 28 e 29 maggio all'Idroscalo di Milano, qui i biglietti) trovate una versione cartacea di questo approfondimento, con numeroso altro materiale iconografico dell'epoca.
Festival. Nel Belpaese il termine affonda radici nel pop e nel Dopoguerra. Ovvero quando nel Gennaio 1951 il Festival della Canzone Italiana di Sanremo - pardon, il festivàl - debutta nelle case degli italiani attraverso le frequenze della RAI. Il festival come competizione canora domina per tutto il decennio successivo, tra un concorso Rapallo Davoli e un Cantagiro.
Se il primo - sponsorizzato dall’azienda leader di amplificatori nell’Italia dei ‘60, i cui tecnici in elegantissimi camici bianchi avevano allestito il palco per la tournée dei Beatles nel Belpaese - mostra la floridità del mercato discografico italiano, il secondo fa molto di più. Come il Giro d’Italia, il Cantagiro attraverso concerti itineranti e bagni di folla unisce un paese ancora culturalmente e linguisticamente polarizzato. Sotto il sole delle estati yè-yè si sprecano le leggende sulle carovane delle popstar, come Riki Maiocchi che in una data pugliese denuncerà il furto del capello che a sua volta aveva sottratto a John Lennon nel Backstage del Vigorelli.
È nella ‘perdita dell’innocenza’ del dopo Piazza Fontana che si afferma il festival come utopia socio-politica, teatro del magico e dell’irrazionale, ispirata da Woodstock, Glastonbury e dall’Isola di Wight. Festival che ribaltano il concetto di kermesse riappropriandosi di spazi naturali dimenticati dall’edilizia sfrenata del Boom, portando in prati, fori e anfiteatri la crema dell’underground che a inizio anni ‘70 prende semplicemente il nome di Pop.
A Villa Pamphili il Pop Festival del 1971 e 1972 è il trionfo del progressive onirico, mentre al I Festival di Avanguardia e Nuove Tendenze (1971) nel verde della pineta di Viareggio, Joe Vescovi, voce dei Trip, - in aperta polemica con un presunto accordo tra discografici e stampa sull’assegnazione dei premi - impugna il microfono per urlare “Io sono un hippy come voi e vi dico che siete stati ingannati da questi sporchi capitalisti!”.
L’anno seguente, trasferito a Roma, il festival saluta il debutto di Alan Sorrenti che circondato da un cordone di poliziotti baffuti presenta in anteprima il suo gioiello Aria all’ombra dei discoboli del Foro Italico. Fiorella Gentile, giornalista di Ciao 2001 e tra le prime donne a scrivere di musica in Italia, ricorda il legame con Sorrenti, primo ad introdurla ai dischi di Tim Buckley (non ancora stampati in Italia) e alle canne: “Scendevo le scale del Piper e sentivo questa voce… assurda... era il primo impatto con il suo modo di cantare della prima ora: originale, evocativo.” E ancora: “con Alan non ho foto, stranamente. Credo che l'erba fosse troppo buona per pensare a farne!”.
Il ‘72 è anche l'anno del Be In, primo evento musicale underground a ricevere un patrocinio istituzionale, da parte dell’oggi defunta Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo. Nato dalla visione creativa degli Osanna, il festival si svolge nel Parco Kennedy di Camaldoli, Napoli. Un nome, oltre che uno scenario evocativo, che riporta alla California e ai suoi festival. “In certi momenti si aveva l’impressione di stare ad Altamont; per sfortuna sono mancati i Rolling Stones, per fortuna sono mancate le coltellate”, annota Dario Salvatori sulle pagine di Ciao 2001.
A Milano il legame con la controcultura passa inevitabilmente per la stampa militante e indipendente. È la rivista Re Nudo a promuovere il Festival del Proletariato Giovanile (1971-1978) che nel 1974 arriva al Parco Lambro, alle spalle degli stabilimenti Lambretta con cui, dieci anni prima, il design modernista italiano aveva fecondato l’immaginario della ribellione mod di Londra. Al Parco Lambro c’è un giovane Battiato che passa la notte a fare lo sciamano piegato su di un sintetizzatore, mentre Alan Sorrenti obnubilato dagli psichedelici ha perduto ogni memoria dei fatti.
Ivan Cattaneo ne ricorda invece le controversie, riconoscendo nell’utopia di portare la controcultura alle masse i limiti degli ideali coltivati dalla sinistra extraparlamentare: “All’epoca facevo concerti underground per gente del movimento, ma al festival c’erano 100.00 persone, vi confluivano quelli di Avanguardia Operaia e i comunisti sfegatati che ritenevano che l’omosessualità fosse un vizio piccolo borghese. Io sono uscito con la chitarra, da solo, e ho detto ‘questa canzone è dedicata al mio ragazzo, si chiama Darling, è scritta da Mario Mieli’. Lì è crollato il Parco Lambro. Hanno cominciato a urlare ‘finocchio’, ’brutto schifoso’. Nanni Ricordi è salito sul palco e mi ha portato via, avevano paura che mi menassero, ero scioccato. Ho fatto giusto due canzoni...”.
Tempo un anno e il festival implode su se stesso. Tra frustrazione e violenza, il celebre assalto al furgone dei polli surgelati Motta, poi usati come palloni da football sul prato trasformatosi in un tappeto di immondizia, sotto un cielo in cui i gradienti arcobaleno delle copertine del Re Nudo erano stati annebbiati dalla coltre di fumo dei lacrimogeni sparati dalla polizia. “Noi siamo venuti per scopare, ma qui non si scopa”, protestano alcuni ragazzi ai microfoni dell’emittente radio indipendente Canale 96.
Mentre il sogno hippy vive i suoi lunghi titoli di coda, da un lato troviamo le utopie neo-celtiche del Campo Hobbit, avamposto della controcultura di destra, dall’altro quelle agresti del festival L'orso, nel sacco a pelo, con la chitarra al Parco di Villavallelonga in Abruzzo. Qui il jazz dei Napoli Centrale incontra le performance del Living Theatre, mentre giovani in costumi pagani e van Volkswagen verniciati con visioni astrali si muovono sotto gli occhi sornioni delle mucche al pascolo.
Intanto, sulla Costa dell’Emilia Romagna la nascente scena dei Baiosi, i seguaci della Afro e Cosmic Disco - loro sì, figli delle stelle - si radunano dentro e, soprattutto, fuori le discoteche, occupando spiazzi di cemento in un carnevale allucinato di percussioni afro sparate dalle loro Citroen DS novelle soundsystem rastafari.
C’è però anche un’Emilia paranoica, in cui il nichilismo che già impregnava l’aria dell’ultimo Re Nudo deflagra con il Bologna Rock del 1981. Il punk nella sua forma più pura: l’atto situazionista. Ne sono protagonisti gli Skiantos con la loro celebre Spaghetti Performance. Perché mortificare il punk quando si può cucinare sul palco, con scolapasta trasformati in provvidenziali elmetti per il lancio di ortaggi?!
Oltre alle uova, nell’irrazionalità della tensione sottoculturale volavano anche cazzotti. Specialmente quando a inizio ‘80 Rimini e Riccione diventavano la Brighton italiana per i primi raduni dei mod tricolori, “un inno alla spontaneità, all’urgenza e all’approssimazione,” come racconta il musicista e autore Antonio ‘Tony Face’ Bacciocchi. Raduni e festival erano soprattutto “un modo per contarsi e conoscersi, in tempi in cui il concetto di appartenenza sottoculturale non era così definito e chiaro.”
Se, come spiega Tony Face, le realtà provinciali riunivano senza particolari divisioni tutti coloro che si riconoscevano in una sottocultura antagonista, in quelle metropolitane, più numerose e complesse, le differenze erano più marcate e talvolta conflittuali. “I raduni divennero in breve tempo pertinenza di mod e skinhead, escludendo radicalmente gli ‘altri’, per poi subire un ulteriore irrigidimento quando parte della scena skin virò verso posizioni di destra o, in certe realtà, inasprì la conflittualità con il mondo mod. Ne seguirono scontri e risse, anche sanguinose, fino alla necessaria introduzione dello smart dress code che consentiva l'ingresso solo a chi fosse esteticamente affine alle serate mod.”
La violenza, dopotutto, era vista come una condizione necessaria di chi faceva dell’opposizione alla cultura dominante la propria vita. Ecco allora le risse con le forze dell’ordine, ma anche con i promoter stessi rei di un approccio tanto spontaneo quanto naif all’organizzazione. Come al Festival dei Movimenti di Cuneo, 1987, che vedeva in cartellone la crema del punk del tempo, tra cui Rats, CCCP Fedeli alla Linea e Not Moving.
Parallelamente ai centri sociali, avamposto punk e hardcore, per il resto del decennio e l’inizio dei ‘90, l’edonismo ruggente della Milano da Bere e la successiva ascesa del Berlusconismo riportavano in auge il festival come carrozzone televisivo, Festivalbar in testa.
Il reclamo di un’identità sottoculturale porta inevitabilmente all’occupazione di spazi condivisi, come gli striscioni da ultras granata degli Statuto affissi ai balconi del loro albergo Sanremese nel 1992, ma soprattutto l’escapismo offerto dai rave. Save the Planet, proprio ai margini della patria del festivàl, è l’evento in cui il tribalismo ecologista che aveva mosso i primi festival hippy italiani dei ‘70 si allaccia alla progressive house.
Non è fino al 2008 che il concetto di festival si riappropria di una dimensione contemporanea e underground che, pur guardando come ispirazione all’estero, fa della musica emergente italiana la sua forza. È il MI AMI, nel cui futuro c’è tutta l’eredità spirituale e concettuale dei festival - questi si, all’aperto - che hanno segnato la storia dell’Italia ribelle. Con esso molteplici realtà, che nell’ultimo decennio, hanno restituito alla musica italiana festival di cui andare orgogliosi.
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L'articolo Ma in fondo che cos'è davvero un Festival? di Lorenzo Ottone - Ragazzi di Strada è apparso su Rockit.it il 2022-05-26 09:55:00
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