Il rap nasce da un movimento culturale, ma prima di ogni altra cosa il rap nasce da una necessità, dalle persone, dalle loro storie che non dovevano tacere. Arriva tutto dal jazz, dalla cultura afromericana, dal melting pot newyorkese, nel pieno degli anni '70 il rap è la disciplina che nel corso del tempo avrà più successo della cultura hip hop.
Cinquanta anni fa nasceva questa nuova forma di espressione, c'erano Afrika Bambaataa e DJ Kool Herc e il rap ha assunto nella sua storia colori, sfumature, beat, flow e contaminazioni sempre più diverse. E' diventato lo strumento di riscatto, la collana da appendere il collo, il "ce l'ho fatta e lo devono sapere tutti". Nel nostro Paese questa onda anomala arriva con qualche anno di ritardo, con più precisione alla fine degli anni ’80, dove la difficoltà maggiore era cercare di capire come tradurre quei testi, renderli unici anche nella lingua italiana (che ha una musicalità e delle regole metriche totalmente diverse dall'inglese); c'era curiosità, fermento non solo culturale ma anche politico, c'era la provincia vs. la grande città, si cercavano le barre, il sentimento, la rabbia.
I primi nomi che vengono in mente quando si tratta di Italia sono i Radical Stuff che per primi a paritre dall’inglese passarono poi alle prime barre in italiano e le “Posse” che usavano la musica per diffondere prima di tutto un messaggio.
Il cuore del rap italiano arriva però negli anni ’90 con la sua più prolifica e densa età, la sua golden age: personalità come i Sangue Misto, Kaos One, Joe Cassano, Sottotono, Articolo 31, Bassi Maestro dettavano le prime regole, per poi premere sull'accerellatore a fine secoolo con Neffa e I Messaggeri della Dopa ed entrare nel duemila consacrando artisti come Fabri Fibra (fresco di Uomini di Mare), le Sacre Scuole da cui sarebbero usciti Jake La Furia, Guè Pequeno e Dargen D’Amico; gli anni dieci non sono da meno e segnano l'inizio di nuove sottoculture, nuovi modi di intendere il rap, arrivano Marracash, Gemitaiz, Clementino, Salmo si affermano nomi come Noyz Narcos e l'universo rap prolifica di tanti nomi diversi.
C’è qualcosa di tremendamente ciclico all’interno della storia del rap, sopratutto negli ultimi tempi con l'arrivo di una nuova scuola. Oltre ad essere uno dei generi musicali che è sopravissuto sempre ai suoi momenti di crisi, si percepisce anche un ritorno alle origini, alla strada, alla realtà cruda che si taglia a fettine, all’abbandono totale dei mezzi termini. Se ad un certo punto è sembrato che il rap fosse diventato più un costume da indossare che un’esigenza di comunicare, negli ultimi tempi il vento sembra stia tornando a soffiare nella direzione iniziale.
C’è chi le barre nude e crude le ha sempre fatte, sin da quando ha iniziato: è il caso di Nitro, voce arrabbiata, cristallino, potente nella voce e negli intenti continua imperterrito dopo anni a portare la sua musica senza girarci troppo intorno. Un passo ancora indietro ed arriviamo ad Ensi, classe 1985 e il freestyle sotto pelle, il suo marchio,tanto da farlo diventare una figura fondamentale all’interno del rap italiano; lo spessore artistico ruvido, solido, rientra perfettamente nella categoria di quei rapper che della forma se ne sbattono il cazzo, l’importante è il contenuto. C'è la Machete gang che dopo quasi cinque anni è tornata a far vedere come le origini non muoiono mai e tornano più forti di prima.
La nuova scena rap italiana sembra stia tornando indietro a come tutto nacque agli inizi degli anni ’90, con l’unica differenza che c’è molto meno funk ma molti più beat arrabbiati, merito anche dei producer, una figura sempre più fonamentale all'interno del mondo delle barre. Da un lato la trap che assume sempre più forme diverse e complesse, dall’altro nuove leve deliberatamente rap che si tatuano addosso sin da subito il loro marchio di fabbrica, dove i testi tornano ad essere l’essenza, la spina dorsale, il messaggio esplicito, un linguaggio comunicativo diretto. E’ iniziato una nuovo tempo che va di pari passo con una società che avanza piano piano verso una direzione che sembra decisamente sbagliata; in un mondo musicale dove i generi quasi non esistono più, dove tutto si mischia con tutto, c'è un fil rouge che tiene legati questi artisti, ispirandone anche degli altri.
Speranza e Massimo Pericolo hanno sfondato ogni barriera incerta andando dritti al soldo con brani che colpiscono allo sterno appena li senti, lo hanno fatto velocemente, si sono presi tutto in poco tempo.
Speranza è riuscito a portare il casertano e la sua periferia lungo tutta l'Italia da Nord a Sud e per ricordare le sue origini ci ha messo dentro pure qualche barra in francese; Speranza è un emigrato al contrario che è tornato nello stivale per trovare una situazione migliore da quella in cui era cresciuto. Dentro i suoi testi c'è tutto, in lingue diverse, ma il suo modo di esprimerle rende il messaggio immediatemente comprensibile a tutti.
"sono cresciuto nel mio rione in Francia tra gente straniera, disagiata; che tu sia arabo, albanese o zingaro sei comunque mio compagno"
Massimo Pericolo in una delle sue prime interviste ha detto "vorrei essere il nuovo Eminem” e già questo è il riferimento esplicito ad una forma d’espressione che si attacca al passato; esattamente come il suo idolo ha iniziato a fare rap perché ha un’urgenza comunicativa fortissima, dove racconta se stesso, il carcere, la famiglia, gli amici, la giovinezza spezzata in funzione di un futuro che vuole sia diverso. 7 miliardi è il videoclip più sovversivo degli utlimi anni.
"Fibra è il motivo se rappo"
Al loro fianco un’altra promessa del rap vecchio stile è Avex: Avalon Tsegaye è un rapper nato in Italia ma cresciuto ad Addis Abeba, in Etiopia, si trasferisce a Bologna dopo vent’anni passati nella calda Africa, uno stregone delle parole, dove mischia l’italiano alla sua lunga di origine, a creare uno slang a metà strada tra l'italiano e l'inglese; la chiave di lettura è la metafora, dove racconta molti più di quel che sembra. Quando rappa in inglese viene subito in mente Kendrick Lamar.
"Ma dopo non chieder perdono, sputo solo barre d'oro"
La lista dei nomi potrebbe dilungarsi ancora per molto, ma tra tutti questi nuovi nomi non si può non citare lui. Sempre negli ultimi anni, dopo una gavetta partita dalle gabbie di Spit e le sue battle di freestyle, tra i più apprezzati e più crudi c'è anche Nerone: voce sporca, collaborazioni con alcuni dei nomi più importanti dello scenario, non chiede il permesso ma te lo dice in faccia senza pensarci due volte, anche in questo caso l'abito è l'ultimo dei pensieri infatti:
"potrei avere il caviale e champagne, preferisco ancora birra e kebab"
C'era una volta il rap cruditè, e pare proprio che stia tornando.
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L'articolo Il rap è tornato quello di una volta? di Chiara Lauretani è apparso su Rockit.it il 2019-07-16 16:29:00
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