Le notizie degli ultimi giorni sono allarmanti. Prima l'aggressione, filmata con telefonini, a Milano del rapper Baby Touché. Tra i presunti aggressori un collega, Simba La Rue, che nelle scorse ore è stato a sua volta accoltellato nella bergamasca, rischiando grosso. Una vicenda di cui si è fin qui riuscito a ricostruire fin poco, ma di cui si è parlato moltissimo sui giornali e online, con tanti video, presunte "rivendicazioni", minacce e controminacce. Mischiate con promozioni di dischi e una serie di altri elementi che fanno pendere verso la farsa ciò che è invece molto più simile a una tragedia, e che rischia di innescare una serie di reazioni difficilmente controllabili. Vorremmo, su questi temi, provare a innescare un dibattito, consapevoli del rischio che si corre ad alimentare una canea mediatica che è indubbiamente parte del problema. Ma anche del fatto che senza il dialogo e il ragionamento non se ne esce, non nel modo che auspichiamo. Abbiamo chiesto un punto di vista a Kento, rapper calabrese 1976, che ha da poco pubblicato l'ep Neanche per sbaglio. Da sempre è impegnato con progetti nei quartieri difficili e nelle carceri, cercando di usare le rime come uno strumento di inclusione.
Ogni volta che un giovane trapper, magari ex detenuto, fa una bravata in cui in qualche modo spreca del denaro, o esce con videoclip pacchiani all’inverosimile, o si inventa roba assurda per fare promozione c’è sempre chi mi scrive scandalizzato: hai visto cosa combinano? Se devo essere sincero, le risposte che do non sono sempre soddisfacenti per chi ha posto la domanda.
Ma facciamo un passo indietro.
In tanti anni di laboratori rap all’interno delle carceri minorili, ho incontrato migliaia di ragazzi e una (piccolissima) parte di loro adesso ha una vera e propria carriera all’interno della scena musicale italiana. In effetti non mi focalizzo tanto sull’1% che poi fa il rapper di mestiere quanto sul 99% che non lo diventerà, perché l’obiettivo che mi pongo è costruire una coscienza espressiva e non fare agenzia di collocamento in un mondo già così inflazionato e imprevedibile come il nostro. Chi “ce la fa” è perché ha già qualcosa in più di suo, non perché ha incontrato me.
E oggi, quando vedo dei ragazzi di strada provare a guadagnarsi da vivere con la musica anziché con le rapine, sono contento. E oggi, quando vedo gli stessi ragazzi farsi finanziare da multinazionali (le major) cifre assurde per fare i videoclip più pacchiani del mondo, sorrido. Perché io faccio il tifo per quei ragazzi, e lo farò sempre. Anche quando non condivido quello che dicono nelle canzoni, anche quando non mi rispecchio nei valori che sembrano venire fuori dai loro testi. Anche quando dicono o fanno delle cazzate inaccettabili. Per come la vedo io, la soluzione non è censurare ma educare il pubblico, fin da giovanissimo, all’ascolto critico e al pensiero indipendente.
Devo poter guardare un film violento o giocare a un videogioco sparatutto senza poi scendere in strada ad uccidere i passanti. Devo poter ascoltare una canzone che magari dice stupidaggini senza far niente di stupido a mia volta. Oppure anche NON ascoltarla, e supportare un artista più in linea con i miei valori… ma questo sarebbe un altro discorso, e meriterebbe di essere approfondito a parte.
Il problema è il tritacarne in cui spesso questi ragazzi vanno a finire, un tritacarne le cui lame affilate sono i meccanismi economici delle stesse major, le dinamiche perverse di un certo pseudo-giornalismo e il salire – molto spesso – da zero a celebrità in poche settimane, per poi magari ritornare ad essere zero nello stesso lasso di tempo. Il mercato musicale non è buono, non è etico, non è fatto per dare stabilità all’artista. Assomiglia al fast fashion, in cui ogni 15 giorni si butta la collezione precedente e si fa spazio sugli scaffali a quella nuova. E il prodotto che qui viene buttato via, badate bene, non è la musica… sono ragazzi di 18 o 20 anni.
Giovani che hanno costruito il loro successo senza il supporto dell’informazione mainstream, ma con il passaparola e sui social, giovani di cui la stessa informazione mainstream sembra occuparsi soltanto quando sono coinvolti in casi di cronaca. Come se, in una società sana, l’esempio da seguire dovesse essere un ragazzo di strada con un microfono in mano e non gli adulti: gli insegnanti, i genitori, magari addirittura i politici che rappresentano il popolo…
Non prendiamoci in giro: nel rap e nei suoi sottogeneri c’è un problema di valori. Sarei stupido o cieco a negarlo. C’è un problema di sessismo, c’è un problema di violenza, c’è un problema di consumismo ed edonismo esasperato, ostentato. Ma saremmo stupidi o ciechi anche a non accorgerci che questi problemi non sono altro che il riflesso della nostra società, uno specchio preciso e spietato che il rap non fa altro che sollevare e metterci a un centimetro dalla faccia, in modo che non possiamo distogliere lo sguardo.
Ai ragazzi che oggi si trovano invischiati in brutti episodi di cronaca, direi invece quello che dico durante i miei incontri nelle aule musica dei penitenziari minorili: occhio che le gabbie più strette spesso sono quelle mentali, in cui ci mettiamo noi stessi o ci facciamo mettere dalla società. In questo gioco al massacro avete solo da perdere. Nel migliore dei casi, farete ancora una volta il gioco di chi vi vede solo come i cattivi, i violenti, gli scarti della società.
Nel peggiore, perderete la vita o la toglierete a un vostro coetaneo. In ogni scenario, la macchina che oggi vi mastica domani vi sputerà. Siete giovani e di certo non viviamo negli Stati Uniti, ma sapete cosa è successo a Tupac e Notorious BIG prima che voi nasceste: fermare oggi le lame è l’unico modo per far sì che, domani, non vengano fuori le pistole. Il nemico non è il ragazzo con la bandana di un altro colore, ma il sistema che guadagna soldi, views e potere dal vedervi contrapposti.
---
L'articolo Rap e violenza: stiamo mandando al massacro dei ragazzini di Kento è apparso su Rockit.it il 2022-06-20 11:22:00
COMMENTI