Il primo disco di Elasi, Elasir(qua il nostro track by track), è a tutti gli effetti un viaggio di scoperta, fatto di grandi ricerche sonore, scambi fertili dovuti ai giusti incontri fatti nel corso degli anni da parte di un'artista che non smette ancora di stupirci. Il sogno è una questione prima di tutto estetica per Elasi, che usa il materiale onirico per creare i paesaggi musicali su cui imprimere i suoi testi, frutto di un labor limae degno del più certosino dei poeti ermetici.
La luce che emana Elasir è la somma di tutte le sfumature di colore che scaturiscono dai singoli brani, una sintesi perfetta delle diverse anime del lavoro. Ci sono parentesi lisergiche, grandi distensioni synth-pop, ritornelli giocosi e splendidi momenti tropicali. Tutto questo riesce a condensarsi sotto un unico nome, e soprattutto sotto un unico modo di concepire la creazione musicale. La piacevole sorpresa è stata proprio sentire un'artista che comincia ad avere molti elementi che caratterizzano il suo comporre, che si rende riconoscibile dopo pochi secondi di ascolto.
Elasi sta maturando quasi senza farcene accorgere, con l'eleganza e l'ironia che l'ha sempre caratterizzata. Canta di catastrofi ambientali senza farci pesare nemmeno una parola, inscena balli per infuocare qualsiasi pista del globo, riesce a emozionare senza prendersi mai troppo sul serio. Forse sta proprio in queste piccole cose, semplici ma davvero complesse da far combaciare tra di loro, il segreto per la sopravvivenza del pop. Ne abbiamo parlato con lei.
Come hai lavorato a Elasir? Raccontaci un po' il processo di creazione del disco.
È stato un processo come al solito. In questi ultimi anni ho scritto molto, senza avere un programma ben chiaro in mente. Con il mio team abbiamo provato diverse strade, buttato via anche molto materiale. Il lavoro della musicista per me è sempre un percorso di imprevisti, sia belli che brutti, ma anche sorprese. Come sempre c'è tanta ricerca, voglia di divertirsi con nuovi suoni, nuovi modi di scrittura e nuove persone. La cura della direzione artistica è sempre affidata in generale a Rocco Rampino, mio compagno di viaggio da anni ormai. Alcuni pezzi scritti in Umbria con Fresco, altri con Plastica, e uno con Peppe Petrelli, che ha curato anche quasi tutti i mix. Siamo una bella cerchia di amici.
Nel tempo abbiamo imparato a riconoscere gli elementi ricorrenti della tua scrittura. Quali sono per te gli ingredienti indispensabili che ti fanno essere soddisfatta di un pezzo?
Sono stupita di questa cosa, perché mi sembra sempre di cambiare tanto, nonostante questa mia tendenza ad alternare mood sognante e danzereccio. La fase di ricerca sui testi è per me un passaggio fondamentale. Da un lato sono convinta che il messaggio della musica possa arrivare a prescindere dalla lingua – così come spesso a noi arriva il messaggio di canzoni africane, sudamericane o di altre lingue di cui magari non capiamo una parola – e per questo nei miei pezzi ci sono ripetizioni, quasi mantra, rituali, un po' filastroccate, che trasmettono messaggi attraverso il ritmo. Allo stesso tempo non voglio dire stupidaggini, e quindi mi butto in una ricerca infinita delle parole. Forse è proprio questa estrema cura nei testi l'elemento da cui non posso prescindere.
Vista la struttura del testo di iceberg, pensi che il miglior modo di rendere politico il pop sia creare filastrocche apocalittiche ?
Non so se sia il modo migliore, sicuramente in questo caso è il mio. Non è la prima volta che affronto temi ecologisti nella mia musica, perché già Cocoricò parlava di catastrofe ambientale. Mentre ero in fase di scrittura pensavo a quel pezzo dei Jamiroquai, Virtual Insanity, che era a tutti gli effetti un pezzo da ballare, che però parlava di un grande disagio, in quel caso riguardante al mondo virtuale e alla sua alienazione. Non era ancora il 2000, internet stava arrivando ma già c'era chi cantava quello che avrebbe comportato la sua presenza nelle nostre vite.
Vista la tua vocazione per la musica dance, molto presente in Lorella, secondo te qual è il modo più sano per prendere ispirazione dagli anni '80 senza renderli una reliquia da museo da resuscitare?
Ti dirò, io sono molto disorganizzata, in tutto, dagli ascolti alla composizione. Di solito quando sento un nuovo pezzo che mi piace, cerco di prenderne il suono, per avere più spunti possibili. Pesco qua e là elementi, spunti diversi dagli stili di musica disparati che ascolto quotidianamente. Quindi forse è proprio la curiosità, un misto di casualità e divertimento, a poter rendere le ispirazioni che abbiamo per i nostri pezzi un qualcosa di rielaborato, e non di creato artificialmente in laboratorio. Lorella tra l'altro nasce proprio in questo modo, tra caso e gioco: mi aveva chiamato un* amic* drag, e aveva esordito al telefono dicendo "pronto chi parla, parlo con Lorella?". Il nome che mi aveva dato così dal nulla mi faceva ridere, e da lì ho immaginato una figura col kimono a farfalla che danza in un club. Lorella è un pezzo che serve a chiunque voglia lasciarsi andare su una pista.
L'altra faccia della tua musica è basata sul sogno. Ti ritrovi in questo?
Do molto importanza ai sogni, ma non ai "sogni son desideri" della Disney. I miei sogni sono labirintici, inquietanti, liberatori, a volte anche rivelatori. Siccome ho un sonno molto disturbato me li ricordo molto spesso. Rimango molto nel dormiveglia, e in questa fase del sonno trovo un sacco di immagini. Poi succede che, visto che ascolto tanta musica, c'è sempre un sottofondo, una colonna sonora a queste immagini.
Quale canzone del disco viene dal sogno più inquietante?
ForseAMÆMI, anche se non sembra. Ero in un sogno abbastanza brutto. Mi perdo spesso in un luogo enorme, un misto tra un centro commerciale, un aeroporto, e una città piena di luci al neon. Un ambiente in cui perdersi e sentirsi molto soli, con pochi scorci sul cielo. Nel sogno tutti i movimenti erano accelerati, come in Enter the void (film di Gaspar Noè, ndr). Il ritmo della canzone è nato da un'immagine del genere, poi nel lavoro fatto con Plastica è diventato tutto più colorato e meno dark.
Nella giocosità nevrotica di AMÆMI sembra esserci una certa influenza hyperpop. Che rapporto hai con questo genere?
Sebbene io ami molto tutta la produzione di Sophie e tutta la ricerca che ha fatto a livello di suoni, l'hyperpop non è mai stata al centro della mia ispirazione. Piuttosto ci sono dei pezzi che suono spesso nei dj set che hanno avuto grande ispirazione su di me. Roba inglese, che prende tanto dal garage, e lo mescola a ritmi veloci tipici dell'Uk House, una scuola di produttori che unisce l'inquietudine britannica - che è riscontrabile sicuramente anche nell'hyperpop - con accordi maggiori e voci quasi bambinesche.
Come hai pensato gli show del tuo nuovo tour?
Per il tour vorrei provare a sviluppare ulteriormente l'idea di live che sto sviluppando da qualche anno. Sarò ancora una one woman band, ma coi ballerini. Vorrei che un mio concerto fosse sempre di più la commistione armonica di diverse forme d'arte: ci sarà ovviamente la musica, la performance, la visual art, ma anche fashion design, per i costumi che indosseremo. Mi sto allenando un sacco, fisicamente e vocalmente, sono sicura che sarà un grande viaggio.
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L'articolo La realtà è un sogno: tutti i colori di Elasi al servizio del pop italiano di Gabriele Vollaro è apparso su Rockit.it il 2025-01-29 10:51:00
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