Per la serie "Uomini sull'orlo di un conato di vomito", ultimamente vivo costanti travasi di bile verde con la lingua italiana e quella che dovrebbe essere la meglio gioventù nella promozione musicale. Nonostante infatti siano passati solo trent'anni da quando l'affezionatissimo Vostro iniziò a scrivere
di musica sulle italiche riviste, molto è cambiato del pressappochismo nello sponsorizzare la musica annunciatrice del cambiamento societario. C'è una versione giusta di fare o non fare questa cosa nella casa delle libertà del giornalismo musicale 20-24? Non credo.
C'è stato un "domino principle" che ha messo in guardia qualcuno su come approcciarsi alla scrittura musicale per poi non risultare "out", fuori moda? Non credo. Il fare critica musicale sulla base di proprie supposte capacità superiori è uno dei primi dogmi che dovrebbe cadere. Tuttavia, in tempi di pensiero critico debole, una grande narrazione è, per me che scrivo, doverosa e ben poco conta se a questa non corrisponda poi un vocabolario parallelo o corrispettivo adeguato - per limiti e varianti generazionali. Questi i miei 5 Cent. Chiedo venia se a qualcuno suoneranno troppo concettuali e un filo obsoleti come quel piccolo mondo antico di Fogazzaro. Ora. Per quelli che non si sono addormentati (quindi nessuno) passiamo a nominare il gruppo che per ragione sociale e © del mio scontento ha fatto breccia nel mio cuoricino un po' malandato: i romani Devasta.
Esco a Fare Errori conferma che sono ancora tante le band che di anno in anno si mettono insieme per suonare bene. Partiamo da coordinate punk/Oi! più classiche virate ora al rock, con un basso tondo e puntuale che a tratti ricorda perfino quello di John Entwistle degli Who, e ora allo 'o famo strano, qua nella sua unica accezione positiva, ovvero quella di chi non si fossilizza nei cliché di un qualsivoglia genere ma ama spaziare. Fil rouge: uno smaccato amore per il sing-along che aggiunge grosse pennellate di colore alla miscela volontariamente mai patinata e mai prodotta, in cui il cerebro guizza e torna a glorie dell'altra parte della Manica, con la loro cultura sleazy intrisa di nicotina, birra da pochi pence e fughe dalle finestre dopo qualche danno. Punk da periferia alla Klaxon e Rappresaglia ma con una consapevolezza attuale pur senza seguire l'hype.
Se il treno per la fine di Babilonia non fa fermate nemmeno per pisciare, passa comunque da Milano per gli Eucaristia. Pur rappresentando la West Coast dei Christian Death si collocano nello stesso field del post-punk come siamo oramai capaci di intenderlo; ovvero una miscellanea che, mantenendo le atmosfere oscure e malinconiche tipiche del genere, sfocia in tanta altra roba che non è post-punk, comprensiva di capricci shoegaze e di ammiccamenti garage dalle tinte horror come fu nei primi The Horrors o Neils Children. An Image Of Sins, EP su cassetta già (prevedibilmente) Sold-Out, e il singolo Myself In The Mirror sono troppo poco per saziare e gli Eucaristia sono un gruppo per il quale varrebbe la pena avere la macchina del tempo per metterli almeno sullo stesso palco de Le Vene di Lucrezia, oramai vent'anni fa. Solo per vedere l'effetto.
Impossibile e inutile recensire convenzionalmente l'EP dei Jorelia. Vi basti il titolo, Representing Northern Italy Hardcore, per capire il livello di faccia da sberle. In senso buono, ovviamente. Dal primissimo istante i cinque ragazzi di Pavia si sono presentati al pubblico come si palesavano SS Decontrol, A Chorus Of Disapproval e Gorilla Biscuits quando avevo la loro età. Con tutti gli annessi e connessi di crew e brotherhood e X pennarellate consapevolmente o per gag sulle mani e maglie oversize da hockey indossate assieme come gli Slapshot ma, colpo di scena, con un sound più alla Pain Of Truth, Alpha Wolf, Sunami e Within Destruction. L'impressione è che abbiano comunque una loro seria autocoscienza e, piaccia o meno, al netto di un pezzo come Poser di Zame e Mr Ugo che molto fa capire su alcune cose, con SlugGore e Rescue Cat, rappresentano il trattino d'unione tra adolescenti e pre-adolescenti e la scena (ampiamente detta) HC italiana. We're fighting a war we can't win / But it's a war we can't afford to lose, come cantavano quelli di Boston.
L'ultima volta che ho parlato di AntiSexy una pagina Facebook ad alta concentrazione di cagacazzi ha aperto un simposio sul mio uso della parola “mitici” per descriverli. Quindi: i mitici AntiSexy tornano con il quinto disco in quasi vent'anni. La Morte Non è Male Poi Rinasci, unisce tracce da vecchie volpi fastcores, dopo un altro paio di dischi più interlocutori e furbi. L'idea è quella di altri gruppi con “Anti” nel nome, che siano i romani Anti-You o gli svedesi Anti-Cimex, ma a fare qui la differenza sono i testi che, in un eterno ritorno proustiano, portano specularmente all'esistenzialismo cinico del debutto La Vita Fa Schifo... Poi Muori ma con una maggiore indole possibilista (Lo stato quantistico dell'esistenza di Dave Grohl) allo svacco. La lunghezza resta ancorata al minuto ma con velocità folli alternate a rallentamenti thrash.
Abbassando di molto il livello di tupa-tupa, i riminesi And So Your Life Is Ruined, oltre ad avere uno dei nomi più belli del creato, sono una delle tante band invisibili di ottimo emocore dalle tinte post come lo sono stati i veneti Winter Dust o i sardi Quercia e tanti altri. Sono lì, hanno chi gli vuole parecchio bene, appaiono e scompaiono senza un preciso senso logico e discografico, ma c'è sempre chi gli passa avanti e ottiene di più e non sempre a ragione. Da Dove Ci Eravamo Lasciati è il loro rientro dopo otto anni dal precedente Rivincite e questo dei quattro romagnoli è il frutto dell'ibridazione musicale di cui si nutrono i “provinciali” che si oppongono a una deriva reazionaria del ritorno in augé di un metalcore che può piacere o no ma resta comunque ingombrante come una grigliata di Free Willy o l'ideale di una Ibanez a 777 corde dopo Woodstock '99. Così, laddove il cammino dei And So Your Life Is Ruined poteva prendere scorciatoie come solitamente succede al giro di boa del terzo disco, spunta invece un lavoro denso e semplice, segnale di una personalità e chiarezza di pensiero non comune.
Chiudo scrivendo poche parole per i tre Miasmic Serum che, mentre sto scrivendo, ho ascoltato in sottofondo la prima volta e, quando voi leggerete questi tot-mila caratteri, probabilmente farò fatica a levare dallo stereo. Al debutto, Infected Seed continua la scia di malanni che da Symphonies of Sickness a Blessed are the Sick trasforma la claustrofobia in claustrofilia e la malattia beatitudine. Prendete e godetene tutti.
Tra i singoli recentemente usciti dovreste di sicuro sentire Dead Friends Still Alive, secondo estratto dall'esordio dei Feldspar, in uscita a settembre. Dopo il primo singolo, Cobblestones, ha il supporto collettivo hip-hop Thru Collected che fa paio col contributo del produttore Nick Terry, già al lavoro con Stone Roses e Turbonegro, per alzare l'hype alle stelle. Saprete tutti del nuovo Scherzo Eterno dei math-core Stegosauro e se non lo sapete dovreste rimediare perché è oramai palese che i quattro veneti non ne sbagliano una manco per finta. Ultima dritta non può che essere We Were Given Too Little Time, nuovo singolo degli Shonan o meglio, regalo che i tre hanno fatto a chi li segue prima di registrare il nuovo EP. Il che dimostra come i parmensi ci siano e non ci facciano, e come il punk melodico di Pup e Alkaline Trio lo respirino e non potrà che portarli a risultati sempre più cicciotti.
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L'articolo Il recappone #5: le migliori uscite punk (e dintorni) delle ultime settimane di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-07-26 11:52:00
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