Il recappone #8: le migliori uscite punk (e dintorni) delle ultime settimane

Anche novembre, il mese più goth dell’anno, volge al termine. Se negli ultimi tempi eravate impegnati oppure se avete ascoltato K-pop, presso la ditta Rockit & Soci trovate alcuni dei migliori dischi e pezzi “rumorosi” pubblicati in Italia negli ultimi tempi

Dopo l'orgia pro nobis degli ultimi recapponi, è tempo di re-instaurare il clima di austerity che a suo tempo li aveva contraddistinti. Onde evitare dispersioni musicali di contenuti, e magari augurarsi un maggiore risparmio energetico nel seguire l'ingarbugliato filo logico che contraddistingue i pensieri miei. Il modesto ricambio generazionale delle sottoculture è da tanto tempo oramai oggetto di discussione tra  ascoltatori e addetti ai lavori, nonché tra le persone che ne fanno parte. Mentre alcuni sembrano rassegnati ben oltre qualsivoglia positivismo davanti alla possibile scomparsa delle sottoculture, altri si interrogano sul da farsi senza però arrivare a conclusioni degne di nota e altri ancora si infognano nella infinità di  fuck-simili di controcultura che sguazzano in ogni ambito. Perché chi s'accontenta gode e poi, alla fine, stiqaatsi: finché il bluff non viene svelato, si può fare finta che tutto sia contro e non conforme. Anche Fedez.

Noi dal canto nostro facciamo come Marco Pecorari di cui sto campionando un vecchio articolo di tot anni fa, e mettiamo avanti tre esponenti di altrettante sottoculture per quanti coi (ampiamente detti) generi (musicali) di superficie ci fa ben poco e invece arriva a coprire quel campo che va dagli output delle passioni formative di chi era in giro tra gli '80 e i '90 ai collettivi transfemministi e altre espressioni della socialità alternativa condivisa.

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Uno. Veleno è il debutto de Le Cose Importanti da Latina. Nove tracce di ciò che un tempo si sarebbe detto indie (rock) che però si lascia immischiare piacevolmente dal punk (rock) muscolare di propulsione mainstream codificato nella seconda metà del decennio scorso sotto l'egida del famigerato produttore Butch Vig. Senza, però, rullo di tamburi, scopiazzare i tre di Seattle per cui il nostro è conosciuto da tutti. Invece, viene da collegarlo più al passaggio di stile avvenuto dieci anni fa dagli americani  Against Me!, ma con una maggior poetica e un maggior pudore, come palesato dai titoli: entrambi autobiografici, ma Transgender Dysphoria Blues da un lato, Veleno da questo.

Ugualmente strutturato come una sorta di concept album su un tema tanto delicato e personale come quello della disforia, Veleno racconta, senza alcuna viziosità pornografica, attraverso le liriche affascinanti (e a tratti illuminanti) oltre che di grande sensibilità di Giada, il lungo travaglio verso l’accettazione della propria vera identità non solo sessuale. Da parte a parte, attraverso il senso di alienazione, carenza, sofferenza, depressione. “In questo album sono racchiuse tutte le cose che mi hanno sempre fatta star male", dice Giada. "Il logorio parte da lontano, come un veleno che può ucciderti lentamente”. In un momento in cui parliamo di temi complessi sempre più ad minchiam, Veleno, come in un libro di Leslie Feinberg, se non una rinuncia, è un invito a rimandare il suicidio indotto dall’inchiodante terrore del non essere accettati, neanche dalle persone amate. Che è un enorme tema sociale, ancora prima che sessuale.

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Due. In un anno di inimmaginabile pantomima punk e post-punk, i faentini Mondaze trainano il gruppo degli shoegazer grazie a un secondo album (escludendo il demo su cassetta Healing Dreams) che li vede allargare un altro po' i confini del loro modernariato albionico, senza perdere per strada nulla della melodia e della spontaneità del debutto. Ma c'è anche una bella vena noisey (not affiliated with Vice Magazine) della band romagnola che è un torrente in piena impossibile da arginare, al di là di ogni paraculismo di genere. Il songwriting è una cosa che i Mondaze hanno nel sangue, non ci piove, ma qualunque genere musicale propongano, non lasciano mai che la vena del luogo comune diventi la preponderante.

Seguo i Mondaze da 7 anni ormai, dal loro meraviglioso esordio musicale intitolato Late Bloom, anzi, da quando doveva essere ancora stampato fisicamente e ai concerti si scusavano col pubblico, e li ho sempre ritenuti un'autentica perla del nugaze che (s)fortunatamente conosciamo in pochi. Nel corso degli anni la loro proposta sta subendo una lenta meravigliosa evoluzione verso l'unico stile concepibile per una band con queste caratteriste: un nuovo intendere del rock sofisticato e adulto, sempre malinconico e, al tempo stesso, sempre pronto a scardinare le coordinate di tutto il modo di intenderlo. Come un tempo è stato per i primissimi The Verve e Catherine Wheel. Ascoltate Linger e mi ringrazierete.

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Tre. Arianna Puccio, alias CASX, è quel tipo di artista con cui entri subito  in confidenza. O almeno così può sembrare. Non per colpa sua: è che la disegnano così. Dalia Nera meneghina dai fiori appassiti, trincerata dietro quel fascino etereo un po' algido che emana qualsiasi frame la veda protagonista. Eppure il nuovo disco, Isobel, è un filo più complesso dell'immaginario da Gothic Night di provincia. Racconta la storia di Isobel Gowdie, una giovane donna scozzese del 1600 oppressa dai potenti del suo tempo. CASX diventa così un atto psicomagico che fa sposare, in un certo senso, la tradizione e l'avanguardia. Nel quale, il costrutto sonoro fatto, in soldoni, di indie rock, post punk e accenni slowcore e witch-pop, è soltanto un modo per rappresentare i capricci, la testardaggine e l'ostinazione che infondono profondamente lo spirito di Isobel e di chi l'ha creato, con mentalità estranea ai più battuti sentieri della musica (comunemente detta) “dark” della nostra penisola: il tutto si traduce in una narrazione contestatrice in uno scenario culturale profondamente patriarcale e machista.

Nei suoi testi, Isobel/CASX si proclama Strega e descrive il suo legame col diavolo, l'unico a darle ascolto. Ma anche qui, l'occulto, l'esoterico, il satanico... non hanno nulla di che spartire col carrozzone all'italiana di culti proibiti che da decenni ingolfano molte scene e quella metal in testa a tutte. Quanto più il mezzo per differire sostanzialmente da quelle che sono le norme e i valori della società dominante Brindando con i demoni, come diceva Federico Fiumani. Tutti e tre sono voci di un modo d'interrogare se stessi e intendere la musica che parte dal autoproduzione, e mette in cima alla propria scala quei concetti come l'onestà intellettuale, l’uguaglianza sociale, la libertà di espressione, l'accrescimento umano e culturale della collettività e forse, dopo persino una propria idea di lotta di classe, anche un tornaconto personale. Ovviamente partendo da un personale vissuto e un diverso background che ne contraddistingue la specificità di ciascuno, ma con questo “imprinting” comune. Dote di tutti altri musicisti da cui hanno appreso qualcosa: Neil Young, Laura Jane Grace, Steve Albini, Jason Pierce, David Roback, Mimi Parker, Mike Kinsella, Mark Kozelek, Rachel Goswell, Michael Gira, Robert Smith, Oliver Ackermann, Romy Croft, Emma R. Rundle, e chissà chi altro: perlopiù gente contro, dannati anarchici idealisti, proprio come me e come voi.

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IL RESTO: per la serie Certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano, alla faccia di JLO e Ben Harper, a distanza di dieci anni esatti dal primo omonimo disco tornano le piacentine Dendrophilia di Valentina Baldrighi, batterista troppo poco citata in giro da una vita anche con Krasue e DOLPO. I primi due singoli, Ljubav e Il grafico delle suore, sanno di Eyeategod, teste rotanti, punk per come potrebbero intendere il punk i Dark Throne e i Melvins perché c'entrano sempre i Melvins. I torinesi Plastic Palms tirano fuori un interessante singolo alla Brian Jonestown Massacre, ma essendo più stronzi di così per gridare al miracolo, attendiamo. Gli Aurevoir Sofia li teniamo d'occhio da così tanto tempo che tra un po' il disco glielo facciamo noi. Copiedicopie e un'altra mina dei milanesi poliglotti che riscrive l'idea di crossover mischiando i Life Of Agony del periodo Keith Caputo con i Gallows del periodo Frank Carter.

Split del mese per certo: Seflore/Brina con Particelle/Valanga fan qualcosa di enorme senza che nessuno se ne accorga. Meglio così, perché lontano dai riflettori sanno rinvigorire le proprie caratteristiche più genuine, quelle riscontrabili nei dischi targati Joyce Manor o nella sinergia con l'ultima ondata midwest-emo, in alcuni brani dei Cloud Nothings o dei primi dischi di The World is a Beautiful Place & I am No Longer Afraid to Die e Turnover. Bellini anche i lavori dei riminesi Honey (Text, Rugs, & Rock 'n' Roll) e il singolo dei torinesi LEM (For all, take care) se la vostra idea del genere si è fatta le ossa leggendo Punk di Rock Sound.

E infine, per tutti coloro con la shirt “I Prefer The Drummer” nell'armadio, i forlivesi Teenage Bubblegums, dopo aver assoldato Fra (al secolo Francesco Zoli) alla batteria, perdono quell'ultimo scampolo di “gioia di vive” di In Limbo e creano l'EP migliore della loro carriera: Infamia. Cinque canzoni dal ritmo lento ed esasperante, con un deliquio d'atmosfera, rimandi ossianici ai Black Sabbath e canto vampiresco. I TB ridefiniscono l'idea drammatica e gotica del genere (punk?) ferma (da una vita) a gruppi tipo Misfits, AFI, Alkaline Trio, eccetera. Unendoli, a loro modo, a Lleroy e Melvins perché, come dicevo prima, c'entrano sempre i Melvins.

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L'articolo Il recappone #8: le migliori uscite punk (e dintorni) delle ultime settimane di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-11-29 16:11:00

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