Il recappone #9: le migliori uscite punk (e dintorni) delle ultime settimane

Se Sanremo ha lasciato su di voi strascichi pesanti, è al caso di tuffarsi nei nostri ascolti tra screamo, hardcore e affini. Una selecta perfetta per chi voleva essere un duro, ma si accontenta del pogo

Gli Irma
Gli Irma

La sad consciousness di non essere più quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo, questo mese, ce la danno i konoha 木ノ葉, per gli amici anche solo konoha. Autori appena sei mesi fa di una piccola bomba chiamata komorebi, alla quale arrivo soltanto in questi giorni con un senso di colpa che metà basta.

Il primo EP dei modenesi macchia lo screamo di Cowboy Bebop ma anche di un quid lyrico che latitava e apre di nuovo il dibattito su quell'epic fail collettivo che non riusciamo ad arginare manco per finta, ossia: un tempo tu avevi i tuoi amici, che erano trenta se li consideravi tutti, e poi c'erano quelli più addentro ai libri, quelli fissati con la musica, altri con il cinema, quelli che pensavano solo all'amore, e tutti ti davano i loro input; poi avevi le riviste, con due o tre nomi dei quali ti fidavi, assieme facevano un'altra manciata di nomi con i quali ti creavi una spennellata verosimile di ciò che accadeva là fuori. Adesso entrando su un social qualsiasi hai mille persone che ti suggeriscono ogni giorno cose e poi finisci per bucare un gruppo così, derivativo quanto vi pare, eppure capace di scuotere più dei mille mila con cui vi hanno solo ingolfano le giornate.

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Questo lo dobbiamo anche - se non soprattutto - alle vagonate di rece/reel del club dei Morelli che, da brava generazione cattolica che si tatua satanassi, caldeggia chiunque a suon di tellurico, post-apocalittico, lamenti funerei e altre stronzate che non vogliono dire niente ma fanno la loro (s)porca figura nella promozione random, dal gruppo metal di Foggia a St. Vincent, qualsiasi cosa questa cosa significhi. Tutto questo ai danni di chi un posticino nella memoria mensile un po' se lo meriterebbe sul serio e, invece, come avete modo di vedere, spira tra i tanti già pronti alla fiera del vaffanculo che vengono nominati, e tra l'altro spesso senza che raggiungano la benché minima notorietà diffusa.

E allora che fare? Specie in questo inutile oscurarsi a vicenda, unica brexit, oltre l'allettante strategia della pensione, in questi anni di acqua pestata come non ci fosse un mortaio, è la sempre valida scena I - Atto III - del caro Guglielmo Shakespeare: un lieto salpare per “la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore”. Prima fermata: Inferno, dalle parti di Portalbera, provincia di Pavia: Soak Up The Sun è un disco che mi ha piacevolmente migliorato il natale e il capodanno, quindi secoli fa. Era completamente inatteso, perché le Dendrophilia non battevano ciglio da dieci anni, ma tutt'altro che insperato.

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I toni cupi e nebbiosi dello sludge dell'omonimo debutto, addensati da una massiccia dose di grunge che dava una connotazione ancora più pastosa, oggi sforano in uno sludge metal dalle tinte noise, corroborato dalla produzione di Alessandro “Otto” Galli, meglio noto come Arottenbit. Inutile girarci attorno, Valentina (Baldrighi) suona la batteria in almeno altri tre progetti de cristo tra i quali citerei almeno i Dolpo e fa parte della scena che chiacchiera poco e suona tanto: non stupisce allora che questo disco potrebbe giocarsela nella percezione comune con gli Electric Wizard periodo Dopethrone, o magari con qualcosa più recente di The Body. Poco male: in questi anni le Dendrophilia si erano abbondantemente rotte il quasi di essere prese e fatte sguazzare in quella definizione di “stoner” ad alto rischio di essere avvicinata ai gusti di un Zeb Horsemann a caso, e pure un po' a cazzo, qualunque essi siano. Lontane da qualsiasi unpopular opinion, almeno qui su questa paginetta, le tre danno l'impressione di (you)tubare piuttosto con Eyehategod e Issei Sagawa, rendendocele ancora più affascinanti.

Tempo di farsela prendere male con le premesse del prossimo LP degli Scowl che, dalla sesta dimensione, in una non meglio precisata periferia della Lombardia, per Time to Kill Records arriva l'atteso EP di debutto dei Rescüe Cat. Flesh & Weapon si direbbe una piccola mina trasversale. La summa di una exploitation di strumenti rabbiosi, testi sia feroci che emotivi e punk HC tirato attraverso cui sondare la liaison con il metal tendente tanto al breakbeat quanto alla doppia cassa.

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Come se non bastasse, quest'ultima ha una precisione tesa al buon gusto che quasi turba - più vicina a Gene Hoglan che a Mick Harris, per intenderci. A vederli suonare sembrano i Jivebomb se i Jivebomb fossero belli a vedersi, ma nemmeno questo fa di loro quattro poser, almeno quanto la tipa che in Calling Card dei Gel dice “Hardcore these days is kinda fuking cool!” perché, piaccia o no, i Rescüe Cat (e non solo) fanno parte del modo di intendere l'HC in questo momento storico. Vicky, al secolo Vittoria Brandoni, frontwoman del gruppo, è una forza della natura su e giù dal palco, quando collabora, provoca, scrive e promuove la scena o co-conduce il podcast Scena Muta. E scusate se è poco. Siamo all'inizio, il meglio dovrà arrivare: soprattutto se questa è la costanza.

Piccola sosta in quota azzurra con Irma e Casademoni la facciamo volentieri. I primi, mala tempora currunt, sono in quattro e vengono da Lodi. Del nostro scontento porta l'idea di fare hardcore italiano di nuovo su un piano un filo più (politicamente) strutturato che non è mai un male. Il nome riporta a Irma Bandiera, partigiana medaglia d'oro per la resistenza, e le coordinate parlano di La Quiete e Raein, con qualche svolazzo FBYC che sa di casa  fino a quel punto che vi porterà a sentire la vostra traccia “prefe” (Un centinaio di infelicità, nel mio caso) mezzo milione di volte senza timore d'essere giudicati. Esce per Imbecillity Kills e tutto torna.

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L'altro, è il progetto di Alberto Casadei (non quello della Deutsche Grammophon), ovvero un quarto dei cesanesi Solaris. I nove brani di 64 somigliano parecchio all'idea che le riviste hanno di artisti come Elliott Smith o, al minimo della fantasia, Eddie Vedder. Sia nel suono che nell'attitudine, invece, Casademoni è un non so che estenso degli Opal, di Fog Lake, Red House Painters, Sparklehorse, tutt'al più Vic Chesnutt e comunque altra roba lunare e incantata che solitamente avvicina la gente allo slowcore e al sadcore. La curiosità ora è tutta su come e se riuscirà a portare dal vivo un disco così minimo ma completo.

Universo a parte Elli de Mon. Elisa De Munari, vicentina che (per questa volta) canta in vicentino, della quale avrete già letto probabilmente ai piani alti e probabilmente ne avrete cerchiato il nome dopo averla vista paragonare a mostri come Led Zeppelin, Townes Van Zandt, Big Mama Thornton e Robert Johnson: ecco, visto che qui siamo tutti walking class hero sul serio e ci piace andare piano e lontano, piuttosto che eccedere nei voli pindarici, segnaliamo Raise per come suona e per quel che è, ossia un ottimo album con un'ottima idea. Accompagnato da un librino illustrato che reinterpreta la leggenda di Sant'Orso, suo paese, si pone in analisi sul senso di colpa e perdono, trasformazione e alienazione, in un ponte tra mito e presente. Minuta e aggressiva, audace e introversa, amplia quello che ha creato nella sua carriera oramai decennale, confermando una personalità di complessa e di difficile collocazione.

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Elli De Mon, che potrete chiamarla anche Elli quando il rapporto con Raise sarà oramai profondamente confidenziale, è forse l'ultima eroina del panorama del cantautorato rock femminile italiano, quindi intimamente “punk”, almeno nella misura in cui lo sono state considerate in principio Emma Ruth Rundle, Scout Niblett e anche Nina Nastasia. Spiritual, blues, folk, rock, americana goth, lo-fi la rete degli scambi musicali è la stessa che potrebbe essere per Lili Refrain o Jarboe e, in decisa e onesta contrapposizione rispetto alle manipolazioni commerciali del suono e del canto, la sua musica vive e cresce sempre con sostantivi come autenticità, carattere e qualità.

Per le soste brevi, concedetevi un caffè in compagnia di: AUT/Takes, il side-project di sé stesso del mantovano Aut! che colma il vuoto lasciato dai ragazzi della P38 ma con un post-punk a militanza durissima, così come le linee basso. L'influenza manifesta è La notte della Repubblica di Zavoli ma dentro ci sono almeno Cigno, Offlaga Disco Pax, Iosonouncane e Disciplinatha. Medaglia al valore. Gestalt, singolo che anticipa Temporale, disco dei Gazebo Penguins in uscita tra un mesetto e non credo che ci sia molto altro da aggiungere: se vi piace la band di Correggio, è assai probabile che vi piaccia anche Gestalt. Se vi sono un po' venuti a noia vi tocca sperare che il disco si scosti un po' da loro stessi.

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At Races è il nuovo dei Messa, capace di unire l'ennesimo pezzo superlativo all'ottima presentazione video da Marco Zanin: il gruppo di Treviso, in uscita in aprile con The Spin, mette a segno un pezzo in crescendo carico di  pathos e intensità, mosso dalla lodevole volontà di non venir mai a compromessi col mondo terrificante della musica italiana, metal compreso.

Limits è l'assurdo singolo del nuovo disco dei Six Feet Tall da Perugia in uscita a fine marzo. Facce note della scena trovano un'ospite d'eccezione in Vespertina che ne arricchisce il risultato con il suo canto. Ne viene una scrittura forte, un arrangiamento pastoso, grezzo, sentito, senza bisogno di passatismo post-HC talvolta addirittura pernicioso che ti fa venir voglia di prendere la gente a pizze. Un macigno.

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Titolo che dà il bentornato ai SVNTH, nuovo nome dei furono Seventh Genocide e titolo già del disco del 2018, è Cinnamon Moon. Tolti tutti i giri, resta un post black metal e black-gaze dalle tinte proggy accurate che potrebbe piacere a chi è già del giro Bedsore e Deafheaven, ma non solo.

Sempre sia lodato, infine, il collettivo We Were Never Being Boring che, da che ho memoria, tira fuori sempre qualche perla per riposare le orecchie in modo sublime e intelligente: What Is Real? e Always sono i singoli di Simmcat, al secolo Simona Catalani. Semplicità ed eleganza fuori dal comune sono gli assi al centro dello stesso essere della romana per la quale è persino sciocco fare dei paragoni. Del collettivo da tenere d'occhio anche Danxgerous che con Venom conferma un'ottima scrittura malinconica e umbratile come piace a noi da questi lidi.

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L'articolo Il recappone #9: le migliori uscite punk (e dintorni) delle ultime settimane di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2025-02-27 11:00:00

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