Anche quest’anno è stato organizzato in quasi tutto il mondo il Record Store Day, la giornata internazionale istituita nel 2007 con l’intento di celebrare i negozi di dischi e tutto quello che gira loro attorno: dai negozianti ai clienti, ai distributori, ai dischi sugli scaffali, fino ovviamente agli artisti che quei dischi li scrivono.
Ad essere più precisi, quel che veramente si intende celebrare durante il Record Store Day è quel tipo di cultura che vede il negozio di dischi come un luogo con un’importanza particolare nella comunità che lo ospita: risorsa culturale, punto d’incontro, fonte e baluardo di ascolti indipendenti che non si scoverebbero altrimenti.
Vi risparmio ulteriori introduzioni e arriverò al punto: è abbastanza evidente che il Record Store Day sia una manifestazione nata proprio perché quest’importanza comunitaria del negozio di dischi, da un po’ di decenni a questa parte, è stata quantomeno messa in discussione.
Il primo ascolto di un disco avviene praticamente sempre online, la maggior parte degli acquisti si fanno su internet perché gli album costano meno e arrivano direttamente a casa (ammesso che si arrivi alla fase dell'acquisto), e in quanto ai consigli dell’esperto negoziante, basta leggere un buon sito aggiornato con le ultime novità o dare un’occhiata a cosa stanno ascoltando amici e conoscenti per scoprire nuovi dischi interessanti e affini ai propri gusti.
Insomma, il RSD è una festa nata perché si spera in fondo che le cose tornino ad essere esattamente come prima, almeno per un giorno: si cerca di incentivare le persone a recarsi fisicamente in un negozio in cui possono trovare dei prodotti molto rari e non disponibili su internet, un po’ di sconto sui dischi (10-20% in meno, di media), e qualche presentazione o concerto instore, anche se in Italia sono sempre meno. Danilo Durante, coordinatore stampa del Record Store Day italiano, conferma le stime: “su circa 140 negozi di dischi italiani che partecipano all’iniziativa, solo una ventina hanno organizzato dei concerti, anche piccoli, instore. Gli altri si limitano ad applicare un leggero sconto sui dischi per quella giornata, a volte nemmeno quello."
I negozianti, dal canto loro, sono felici dell'iniziativa, ma con qualche riserva: "è una bella festa che ci aiuta ad andare avanti, quindi è benvenuta", raccontano i proprietari del Discomane di Milano, "però molto spesso si fa fatica a reperire i dischi, oppure non arrivano in tempo per la giornata." Gli fa eco Data Records 93 (ex Contempo), negozio di dischi di Firenze: "ne siamo contenti, si riesce a vendere qualcosa in più, ma è difficile accontentare i clienti, i dischi sono pochi e cari." "Per quest'edizione non abbiamo organizzato concerti instore perché abbiamo puntato sull'offerta: abbiamo recuperato circa 300 uscite esclusive, ed è stato estremamente faticoso" raccontano dal Disco D'Oro di Bologna.
Il vero problema del RSD per i negozianti però è un altro, e molto più serio: nata come manifestazione per supportare i negozi indipendenti, pian piano la giornata internazionale sta perdendo la sua vocazione a causa delle interferenze delle grandi catene, e di internet. Il proprietario di Soul Food, storico negozio di dischi romano, ci ha spiegato cosa sta accadendo negli ultimi anni: "il Record Store Day è senza dubbio utile per le nostre tasche, ma come festa ha perso il suo significato iniziale perché ultimamente le multinazionali hanno cercato di inserirsi in una celebrazione che non è destinata a loro. Senza contare che molto spesso i dischi usciti in esclusiva per il RSD li ritrovi su Amazon".
È notizia di ieri che dozzine di release destinate al RSD sono già su Ebay, a prezzi gonfiati ovviamente.
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Facciamo un passo indietro. Che l’industria del disco abbia passato una crisi profonda non è certo una novità, basti pensare che la Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana) ha quest’anno rivisto ancora una volta al ribasso le cifre di vendita necessarie per ottenere il riconoscimento del disco d’oro e di platino: basta vendere 25mila copie di un disco per il primo, e 50 per il secondo. Con l’avvento dei servizi musicali di streaming legale (e a pagamento) e la rinnovata popolarità dei vinili, il mercato discografico sembra però dare qualche timido segnale di ripresa.
Nel frattempo, come hanno affrontato i negozi di dischi italiani la crisi del loro settore?
Da fuori, sembrerebbe che non abbiano fatto granché. Non si è notata nessuna strategia commerciale particolare per recuperare clienti e avvicinarne di nuovi, se non quella di tenersi ben saldi al formato vinile aspettando passivamente che ritornasse in voga (come poi è puntualmente accaduto), e cercare di offrire una scelta quanto più possibile ampia agli habituée che sciamano da sempre tra gli scaffali. Intendiamoci: la maniera in cui i negozi di dischi in Italia sono stati in grado di rimanere a galla è ammirevole, ha richiesto passione, pazienza e tenacia, ma purtroppo non basta.
Uno dei motivi di questa mancanza di iniziativa potrebbe risalire ai concetti di nicchia e di purezza, che da sempre accompagnano l'orizzonte culturale degli appassionati di musica. Il negozio di dischi è considerato il rifugio di una nicchia, e se per questioni di mercato quella nicchia negli anni si fa sempre più esigua, pazienza, si vede che doveva andare così.
Nella maggior parte dei casi, i negozi di dischi in italia hanno siti web che risalgono al paleozoico di internet, non sono presenti sui social network (almeno non in maniera attiva), e anzi molti negozianti si vantano di non saperne assolutamente niente di queste cose. Gli stessi negozi riflettono questo conservatorismo: molti sono letteralmente rimasti a 30 anni fa, insegne, polvere e scatoloni inclusi. E qui arriviamo al concetto di purezza. Tra i collezionisti e gli appassionati si è fatta strada l'idea che i negozi di dischi siano luoghi incontaminati nello spazio-tempo, degli animali rari da preservare così come sono (forse perché ricordano una giovinezza che non c'è più?). Il rischio degli animali rari, quelli che non sono in grado di adattarsi al clima che cambia, è la totale estinzione.
Cosa succederà quando i quarantenni e i cinquantenni di oggi, quelli che costituiscono la clientela più affezionata, saranno troppo anziani per avere voglia di comprare l'ennesimo vinile? E quando i negozianti loro coetanei saranno troppo anziani per venderli?
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Immaginare nuove forme e soluzioni per i negozi di dischi non è una questione di sporco marketing, ma una questione di sostenibilità per un progetto culturale importante per la comunità, che merita di esistere ancora per gli anni a venire. Per restituire al negozio di dischi la funzione sociale e culturale che aveva un tempo è evidente che non basta una giornata di festa, o uno sconto del 10%: sarebbe bello se anche in Italia fossero dei veri luoghi di incontro e aggregazione dove poter discutere di musica, presentare libri e album, ascoltare dei piccoli concerti acustici e, perché no, bere un caffé o una birra (il caso di Rough Trade, che ha aperto da poco anche una sede a New York, è la prova che questa è una formula che funziona bene).
I ventenni di oggi sono letteralmente nati con internet sotto le dita, e la pratica dell'acquistare un disco in un luogo fisico per poi ascoltarlo a casa in uno stereo gli è totalmente aliena. Il piacere di condividere una passione, imparare, sentirsi rappresentati e parte di qualcosa, non lo sarà mai.
Visita il sito del Record Store Day per scoprire tutte le uscite discografiche internazionali e italiane, leggere la lista di tutti gli eventi organizzati nella giornata di sabato e individuare il negozio di dischi più vicino a casa tua.
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L'articolo Record Store Day 2014: perché i negozi di dischi sembrano destinati all'estinzione? di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2014-04-17 00:00:00
COMMENTI (1)
L'anno scorso, in occasione del RSD, Deejay Tv mandò in onda (con i sottotitoli) il bellissimo film-documentario intitolato "Last shop standing": terminata la visione avevo gli occhi lucidi e un magone inenarrabile. In rete cmq si reperisce facilmente ed è l'ideale chiosa per questo articolo.