Sono le 2:00 di notte e sono in coda per prendere la pizza insensatamente buona che il Pedro, leggendario centro sociale occupato di Padova, ha da offrire. Accanto a me sento una voce calpestata dalla stanchezza dire: "Oggi è stato un delirio. Questo è perché lo facciamo". Michele Novak, una delle anime più genuine che possiate incrociare nella discografia, ha gli occhi chiari spalancati come sempre, i capelli arruffati tanto quanto la barba, dalla quale si intravede un mezzo sorriso, il sudore che gli incolla la maglia al corpo dopo essere sopravvissuto al pogo degli Halley DNA, band della vecchia guardia padovana con un tiro impressionante. Lui è una delle colonne portanti dell'etichetta padovana Dischi Sotterranei, nonché della Festa stessa, dove ci troviamo nel momento in cui butto giù questa nota: l’appuntamento che ogni novembre porta sui due palchi del Pedro tutto il roster – mezz'ora secca a testa – dell'etichetta. L'anno scorso un febbrone improvviso l'aveva lasciato a letto, questo giro sarebbe venuto anche con le gambe rotte.
Padova è stata casa per diversi anni della mia vita, quando ero ancora un riluttante studente di economia. Nel tornare qua, con tante piccole grandi cose che sono cambiate – a cominciare dal negozio di dischi vicino a casa che ha chiuso –, trovo la sicurezza del nido solo nella circostanza della festa, pur avendola scoperta solo una volta essermi trasferito via. È una delle poche occasioni in cui mi concedo di sbottonarmi un po' e gettarmi nella mischia del pogo, anche quando penso di non volerlo fare. È successo anche stavolta: il live di Visconti sul palco piccolo è stato una mitragliata senza un attimo per riprendere il respiro, con una quantità astronomica di stage diving, almeno un paio di occhiali da vista schiacciati dal pogo e numerosi ribaltamenti del pubblico contro il palco.
Ma tutto il contesto è qualcosa di incredibile, tanto che non sono in pochi a muoversi da fuori ogni anno per questo evento. C'è qualche musicista più o meno noto ben mescolato nella folla, chi prima è sul palco che poi sbircia i live altrui, facce vagamente familiari perché beccate gli anni prima, i volti di ragazzini gasati forse alla loro prima volta, pure un piccolo contingente friulano che mi riempie il cuore d'orgoglio quando dal nulla fa partire il coro "U-DI-NE". Il tutto in un’onda in continuo spostamento tra i due palchi di sano disagio del Pedro, in cui ognuno applica il proprio metodo nel capire quali concerti ascoltare, quando fare la pausa cibo/alcol, quando uscire fuori per prendere aria, quando ributtarsi in prima fila.
Gli show del venerdì sono abbastanza vari tra di loro: Ulisse Schiavo e Vipera sono la quota più teatrale, i Post Nebbia gli eroi di casa con qualche inedito dai forti richiami kraut rock, la follia di Vinnie Marakas, il talentino appena scoperto di Coca Puma, il power trio TA GA DA fresco di primo album che conclude il set con una cover dei Blink 182, solo per citarne alcuni. Sabato invece è più improntato alle chitarrone, che vanno dai trip dei C+C=Maxigross agli sfoghi del “debutto” di serata, i Gazebo Penguins freschi di ingresso nel roster, fino ai maestri del marciume Laguna Bollente, ed è qua che si consuma quello che i local definirebbero “degheio” puro. A questo si aggiungono i live/showcase di Casetta Zebrina, nello stesso quartiere dell’Arcella, che quest’anno hanno visto l’immancabile Jesse the Faccio, il debutto dei Puà e l’ospite a sorpresa della domenica Maria Antonietta. Qualche scatto dei live lo trovate qua sotto.
La chiacchiera con Novak in attesa della pizza succede di sabato, durante il set finale di technazza spinta a cannone dei Dead Cells Corporation. Appena qualche ora prima era avvenuto uno dei momenti di rabbia e cordoglio più potenti a cui mi sia mai capitato di partecipare: la Passeggiata Arrabbiata organizzata per il femminicidio della 22enne Giulia Cecchettin. La storia – con protagonisti diversi ed epiloghi resi ancor più tragici da quanto fossero scontati – l'abbiamo già letta, vista e sentita troppe volte per non sentirsi la testa più spaccata del cuore. La notizia del ritrovamento del suo corpo aveva lacerato la mattinata. Essere proprio a Padova, città dove la ragazza studiava, rende una tragedia già inaccettabile qualcosa di troppo grande per non parlarne. Se poi aggiungiamo lo sclero del motociclista verso alcune manifestanti, convinto di avere la strada sbarrata da un corteo contro la guerra in Palestina, ci si trova davanti a un'immagine di mondo che fa davvero salire il vomito.
L'idea che dopo questo momento ci sia una festa pone la legittima domanda su cosa cazzo ci sia da festeggiare. Uno spazio così è uno scoglio prezioso a cui aggrapparsi: molte delle facce sconvolte dal dolore che prima attraversavano il centro poi si ritrovano nel pieno del casino del Pedro. Più di qualche persona lì dentro sta anche elaborando un lutto, o almeno metabolizzando una tragedia che ci pone di fronte ancora una volta l'aridità umana che abbiamo interiorizzato dentro di noi.
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Per questo, al netto di tutta la musica, è più utile interpellare Federica Zenobio, del collettivo transfemminista sQUEERt, che dopo il concerto dei C+C fa un breve intervento sulla questione: “C’è una narrazione tossica e morbosa dei giornali che parlano di femminicidio romanzando la storia in cerca di dettagli particolari da vendere, invece di parlare di come questo sia un problema strutturale di una società patriarcale che legittima l’uomo al prevaricare e di conseguenza ad agire le diverse forme di violenza: psicologica, economica, fisica. C’è un’ ipocrisia nel prendere parola da parte del governo e quindi delle testate giornalistiche che ne dipendono, perché poi nella materialità si perpetrano gli stessi meccanismi che non consentono un’educazione al consenso e all’affettività vera; libera da forze dell’ordine, libera in quanto pratica femminista di amore e cura”.
Sono parole che in qualche modo si riflettono in quel "Questo è perché lo facciamo", una frase che a distanza di giorni continua a suonare nella testa. Dentro c’è un senso più ampio di appartenenza e di restituzione a una comunità, che proprio in questi giorni si trova a piangere una ragazza uccisa. La festa in questo senso svolge un compito sociale di raccogliere anche quella rabbia e quel dolore, offre un’alternativa alla frammentazione, crea un momento collettivo e solidale nella maniera più ampia possibile. E magari non cambierà il mondo, ma almeno lo rende un po’ più tollerabile quando tutto attorno diventa nero.
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L'articolo Rifugio Sotterranei di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-11-19 14:10:00
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