Rimescolarsi nella Genova elettronica di Lowtopic

L'esordio solista del chitarrista degli Ex-Otago Francesco Bacci restituisce in musica la caotica vita nel quartiere della Maddalena, tra gioia, intimismo e un velo di malinconia. Come in un romanzo di Mario Desiati

Lowtopic
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Se il Genoa di queste ultime stagioni di serie A non sta esattamente ottenendo dei risultati brillanti, questo ultimo campionato sembra ancora più sciagurato. In particolare, l'ultima partita giocata in casa della Fiorentina e persa 6 a 0 sa più di catastrofe che di sconfitta. Eppure, quasi in un moto pavloviano, dopo questa partita mi è venuta voglia di immergermi nella Genova di Maddalena, l’esordio da solista di Francesco Bacci, chitarrista degli Ex-Otago, qui con il nome d'arte di Lowtopic.

Maddalena è un disco intimo e gioioso, con qualche nota di malinconia che più genovese non si può, anzi che respira dei muri, dei vicoli, dei carruggi proprio del quartiere da cui prende il nome. Un disco di musica elettronica che esce per un’etichetta raffinata e attenta ai suoni contemporanei come LUKINS e dalla mente di un musicista che, per sua stessa ammissione, fino a pochi anni fa neppure sapeva bene cosa fosse la musica elettronica. Già perché Bacci, prima di calcare con gli Otaghi il palco di Sanremo, ha avuto una lunga militanza nella scena hardcore ligure, con i mai dimenticati 1000 Degrees. Eppure oggi, dopo anni, lo vediamo non soltanto neopapà di Maria, “bimba curiosa e con la frangetta”, ma addirittura intento a registrare un intero disco senza neanche lo straccio di una chitarra.

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Un cambio di registro in cui però non c’è rinnegamento delle proprie origini, anzi, in cui le varie vite di Bacci musicista si incrociano tra loro. Lo insegna proprio il trovarsi nella schizofrenia di un quartiere multietnico come quello della Maddalena, dove una grande banca è a fianco di un umido e oscuro vicoletto dove si aggirano spacciatori e prostitute in pieno giorno: mescolarsi è d’obbligo. Un obbligo che ho ritrovato in un libro: Spatriati di Mario Desiati, pubblicato da Einaudi. Desiati, che è un ottimo narratore, ha fatto un’operazione molto simile a quella di Bacci: nel raccontare i suoi personaggi cresciuti raminghi e randagi come le erbe selvatiche, in perenne fuga da loro stessi ma mai dimentichi delle loro origini è riuscito, senza un grammo di retorica ma con un quintale di dolorosa esistenza, di raccontare la biografia di molti nostri amici, un paio di nostre fidanzate e perfino di noi stessi.

Ecco allora che diventa logico e naturale unire e ribaltare queste due opere, leggere Maddalena mentre si ascolta Spatriati, associando per ogni pezzo del disco di Bacci con una frase o un pensiero di Desiati. Se alla fine di questo articolo vi è venuta voglia di scendere al mercato e comprare un po’ di borragine sarò molto contento: i pansoti alla borragine, piatto tipico genovese, sono una delle poche cose che, a volte, mi fa credere all’esistenza di una qualche divinità, assolutamente benevola, che ci guarda lassù dal cielo.

Blu

"I ciclamini erano i fiori della dea dell'Oltretomba, Ecate, divinità che praticava la magia e trasmetteva la conoscenza. Ma ricordarlo senza poterlo condividere con Claudia mi riempì di malinconia".

Questo primo pezzo di Maddalena pare provenire da “un mondo lontanissimo, ma dietro l’angolo” che poi è quello che capita nel centro storico di Genova. Uno vuole andare al porto a prendersi un caffè, sbaglia una via e si ritrova catapultano in Nocturne Alley. Detto questo la traccia è molto bella, suadente, un po’ malinconica ma davvero elegante, come del resto chi ama indossare il blu. Per questo motivo, fin dal primissimo ascolto, mi è venuta in mente questa frase di Spatiatri, che parla di fiori. Perché le rose blu sono orrende ma i fiori sono cose meravigliose.

Otago

Eravamo solitudini perfette, due monadi. Ero cortese e sapevo masticare, chiacchiere essenziali con chiunque, ma dentro di me il fuoco era spento. 

La seconda traccia è quella che, tutti noi, sappiamo essere biografica per Francesco Bacci. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: Bacci è il chitarrista degli Ex-Otago e, per un gruppo che passato, in pochi anni, da una notorietà per così dire “skinny” a una “extra-large”, lo scotto da pagare è evidente. Le pressioni sono enormemente maggiori, in un mondo che, rispetto a cinque o sei anni fa, è cambiato in modo radicale. Ecco allora che Otago si presenta come una canzone “in minore”, con un mood iper-rilassato come si sta tra vecchi amici. Magari i compagni di una vita hanno preso scelte sbagliate, qualcuno ha pure votato per un partito terrificante ma, alla fine, gli si vuole bene, si finisce di discutere e si beve l’ultimo bicchiere di vino prima di rientrare a casa. Quindi il passaggio di Spatriati da citare può essere solo e soltanto questo.

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Mate

Era come sprofondare in un tempo che precedeva tutto, un tempo in cui gli uomini disegnavano sui muri delle caverne e ascoltavano il fuoco bruciare le ramaglie, il ritmo, bastava quello a tenerla in pace.

Mate è una canzone molto strana, quasi proveniente da un universo diverso rispetto alle altre del disco e, per questo motivo, a me particolarmente cara. È ellittica rispetto alla parabola del disco, non tanto per i sentimenti che suscita – anche qui la galassia di appartenenza è quella di una dolce, domestica, malinconia – quanto per la sua costruzione, che pare sempre contratta, sempre sul punto di esplodere,  senza farlo mai. E questo non è un difetto perché quando si abita in tre, con una bambina piccola, in un appartamento del centro storico, fare troppo casino è una cosa brutta, meglio riempire i muri di vita più che di rumore no? Ecco che Desiati si accoda a questo pensiero con un’accordatura praticamente perfetta.

Maddalena

Temo il momento in cui dovremmo di nuovo separarci – ammisi. Ti stai perdendo il meglio della tua vita per questo? – Temere la fine di un piacere era superiore a qualunque desiderio, per me.

La title-track, neppure a farlo apposta, è baricentrica in questo disco: attorno a lei, infatti, tutto ruota e, in una certa misura si genera. Tanto è vero che, leggendo anche il modus operandi di Bacci nel comporre l’intero album questa canzone assume un’importanza ancora maggiore. Bacci infatti ha composto questo album in un piccolo studio di Genova, che come egli stesso racconta, “è pieno di strumenti acustici, sintetizzatori, un pianoforte, piccole percussioni, statuette raccolte qua e là, due posaceneri, una macchina del caffè e un telefono fisso SIP del 1989 che usa come microfono”. Questo megaminimondo, che è stata anche un po’ il dojo iniziatico al comporre musica elettronica per Bacci, mi ha fatto tornare alla memoria un passaggio di Spatriati che da bestia di Satana quale sono, ho pure sottolineato in penna, una penna verde petrolio, una macchia indelebile sulla mia fedina penale da buon lettore.

Emi

Io ero come l’issopo o la borragine, cresciuto con semi casuali: documenti provvisori, nessuna registrazione, lavori in nero; ero un’erbaccia selvatica, ferrigna e cocciuta, ma estirpabile senza proteste, da un momento all’altro. Eravamo decine di migliaia così, anelavamo alla casualità dell’umido e della pioggia, con la gioia di chi si trova per tutto nell’unica patria possibile, quella in cui non rispondiamo a nessuno di ciò che siamo.

La traccia numero cinque è invece quella che, a mio avviso, dimostra come Bacci ormai si sia perfettamente impratichito a essere anche un produttore di musica elettronica. A livello compositivo è quella più stratificata, più ricca di suoni ricercati e di svolazzi artistici. Molto bella, non semplice al primo ascolto ma è la traccia che più di tutte fa venire voglia di ascoltarla in un bel club. Per questo motivo ho dovuto trovare una grande frase di Spatriati. Altrimenti cadeva tutto il gioco.

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Garcia e Neve

Mi affezionai ai versi delle capinere che arrivavano dai tigli. Avevano creste arruffate, occhi spiratati, ma sapevano cantare nel freddo. Le invidiavo in quelle mattine in cui i geloni segavano le mani e camminare per strada era un supplizio.

Almeno per me queste due tracce costituiscono un dittico difficile da districare. Un po’ perché entrambe sono costruite da una sessione ritmica in netta prevalenza rispetto alle altre e poi perché entrambe, pur non raggiungendo la pulizia compositiva della già citata Emi, danno l’idea di essere state composte per essere suonate dal vivo, in qualche club, soprattutto Garcia. Neve è un po’ più, diciamo così, buffa e intima, ma è comunque un pezzo che funzionerebbe in qualche serata giusta, quindi Mario Desiati lo posso evocare citandovi questo passaggio di Spatriati.

Paoli

Cantiamo canzoni e recitiamo versi più vecchi di noi, siamo fuori dal tempo e abbiamo l’illusione di essere salvi.

La giusta conclusione di un album piccino ma dal cuore grande, bisognerebbe dire. Paoli è, in fondo, proprio questo: una porta che si apre nella stanza d’artista che ci mostra Bacci alle prese con la composizione. È una traccia magmatica e enigmatica, sembra che l’abbia finita, letteralmente, da pochi minuti, tanto che se appoggi la mano sul fuoco rischi ancora di scottarti. Ecco allora che la nota bruciante finale lascia un bel ricordo, almeno per me. Un ricordo trasognato, casalingo e, appunto, caldo. Proprio come questa frase di Mario Desiati.

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L'articolo Rimescolarsi nella Genova elettronica di Lowtopic di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2022-01-20 10:30:00

Tag: album libro

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