Rimmel: compie 50 anni il "colpo di stato" di Francesco De Gregori nei confronti della musica italiana

Nel gennaio del 1975 usciva un disco che nasce con un "putsch" nei confronti della propria etichetta, la RCA, e che diventa presto un superclassido della musica italiana. Lo abbiamo riascoltato (per prepararci al tour celebrativo)

De Gregori, foto via Wikimedia Commons
De Gregori, foto via Wikimedia Commons

È il 1974, un anno come un altro. Anzi, no. L’Italia è in ginocchio:due stragi fasciste (il treno Italicus e Piazza della Loggia a Brescia), altrettanti tentativi di colpo di stato (a opera degli ex partigiani Carlo Fumagalli ed Edgardo Sogno), il terrorismo che alza il tiro. E poi l’inflazione, la crisi economica, tre governi che si succedono uno dopo l’altro. Ma è niente se confrontato a quel che sta succedendo a Roma, al km. 12 di via Tiburtina, dove si sta materializzando un ammutinamento. 

Francesco De Gregoriè poco più di un cantautore di culto. È stato messo sotto contratto dalla Rca Italia (o meglio, dalla succursale It, la Rca arriverà con l’uscita di Francesco De Gregori, meglio conosciuto come “disco della pecora”) e ha pubblicato tre album (il primo, Theorius Campus, in combutta con Antonello Venditti) che gli hanno regalato un minimo sindacale di notorietà, ma niente di più. Certo, alcune canzoni qualche segno lo lasciano (Alice, Niente da capire), ma alcuni suoi compagni di scuderia incassano molto di più al botteghino. Sarà per i testi non facili, forse un po’ pretenziosi, lontani dall’equazione cuore/amore ma anche da certe parole d’ordine di un cantautorato con vista a sinistra. Lui è uno a sé, e in pochi si sforzano di capirlo. Men che meno i discografici della Rca.

InMarianna al bivio, uno dei pezzi contenuti tra i solchi di Alice non lo sa, esce fuori il verso seguente: “Lilli Greco non capisce, ma che Dio lo benedica, ho un bicchiere e una bistecca e mi diverto”. Lilli Greco, al secolo Nicola Greco, è uno degli uomini più influenti della casa discografica di via Tiburtina: ha già messo le mani su Theorius Campus, tra l’insoddisfazione del poco più che ventenne romano. E non è che le cose vadano meglio con i lavori successivi:Alice non lo sa (ma Greco, questa volta, è in altre faccende affaccendato) e Francesco De Gregori sono prodotti da Edoardo De Angelis, ma l’ombra lunga di Greco arriva sin lì. Ricorda lo stesso De Gregori: “Lui ha un’idea molto accademica della musica, cosa che gli ha permesso di essere un grande produttore per tanti altri artisti ma che allora si conciliava male con la mia visione della musica e forse anche del mondo. (…) (Il disco della pecora) lo ricordo come un disco sofferto” (cit. in C’era una volta la Rca, Lilli Greco si racconta - Maurizio Becker, Coniglio Editore, 2007).

Bob Dylan chiama, Higway 61 Revisited e Blonde on Blonde si configurano come esempi da seguire. In vista del nuovo album, è necessario cambiare registro. Senza controlli. Senza Lilli Greco tra le calcagna. De Gregori chiama a sé i Cyan (conosciuti anche come Cyan Three), gruppo noto già ai tempi del beat: sono loro a suonare inPazza idea, stratosferico successo di Patty Pravo. Con il tempo, si trasformano in session-men in seno alla Rca ma non solo: la pecora ritratta sulla copertina di Francesco De Gregori è opera di Gordon Faghetter, bassista della band. Oltre ai Cyan, viene reclutato il giovane Renzo Zenobi, chitarrista più che eccellente, uno dei musicisti più sottovalutati nella storia della canzone italiana. 

Il putsch parte ricorrendo a un trucco: Francesco prenota dei provini alla sala A di via Tiburtina, solo provini, niente di che, insomma. In realtà, tra le mura di quello studio si stanno registrando le canzoni per un nuovo disco. Lilli Greco se ne accorge quando il lavoro è giunto oltre alla metà dell’opera. E si incazza come una pantera. De Gregori cerca di salvare il salvabile, bussa al piano più alto degli uffici Rca, ad aprire è il gran capo Ennio Melis. Un’apertura totale: i ragazzi possono continuare. De Gregori ha vinto, si fa come dice lui: sua la produzione, suoi gli arrangiamenti.

Rimmel nasce così,in un clima di guerriglia urbana, tra vendette trasversali e piani astuti da realizzare. Esce a fine gennaio 1975 – già, cinquant’anni fa – e sarà il disco più venduto dell’anno in Italia. Lo abbiamo riascoltato, canzone dopo canzone, non mancando di buttare giù qualche impressione a caldo (si fa per dire: chi scrive conosce l’album nota per nota). Partendo da una certezza: Rimmel, il suo mezzo secolo di vita, lo porta benissimo (e il prossimo autunno sarà celebrato con un tour nei palasport).           

RIMMEL

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Che quello sbarbatello di 23 anni di età non avesse tutti i torti a tenere lontano dalla sala di registrazione Lilli Greco e il suo entourage, lo si intuisce sin da subito. Sin dalle prime battute diRimmel, con quel suo arrangiamento pastoso, quel contrabbasso in aria di jazz, quel pianoforte dalla timbrica solenne. Tutta un’altra storia rispetto ai due album precedenti. Per non parlare di un testo immerso in una storia d’amore, ovviamente complicata, e di un verso ormai marchiato a fuoco nella storia della canzone italiana: “E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure”. La title-track del quarto album di Francesco De Gregori nasce a Milano, in una stanza d’albergo, per poi essere perfezionata in attesa di comparire in un programma televisivo condotto dal Mago Zurlì. Programma al quale il Principe darà buca, dandosela a gambe poco prima della messa in onda. Un altro sabotaggio!  

PEZZI DI VETRO

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Bello l’arpeggio, nato dalla testa, dalle mani e dalla chitarra di Francesco De Gregori, altrettanto bello il testo, anche se aperto a svariate interpretazioni. L’amore è di nuovo al centro del discorso, forse si parla di un semplice innamoramento, oppure di una storia tra due persone di diversa estrazione sociale. I pezzi di vetro del titolo sembrano riferirsi alle difficoltà della vita, se non agli amori passati, che il protagonista del brano sembra attraversare con parecchia nonchalance. La canzone nasce a Roma, in piazza Navona, quando De Gregori e la sua fidanzata di allora si imbattono in un artista di strada, un mangiafuoco abile nello slalom tra i cocci di bottiglia. Lei lo osserva e ne nota la bellezza, lui si ingelosisce un po’…   

IL SIGNOR HOOD (A M. CON AUTONOMIA)

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Nel 1975, Giacinto Pannella detto Marco non è ancora un parlamentare della Repubblica. Già. stiamo parlando di un extraparlamentare, ma, allo stesso tempo, di uno dei politici più influenti del nostro Paese, in special modo se si prende in considerazione il versante dei diritti civili. Un politico di strada che affascina tanti militanti di sinistra, anche Francesco De Gregori, che lo immortala nel testo di Il signor Hood. Pannella è visto come una sorta di bandito buono, un “galantuomo sempre ispirato dal sole”. Quel sottotitolo (“a M. con autonomia”) sta forse a indicare, al di là di una dedica piuttosto esplicita, la volontà dell’autore di prendere la giusta distanza dalla politica, se non da uno schieramento vero e proprio. La musica, parecchio brillante e godibile, va a parare dalle parti del folk-rock nordamericano, con la chitarra di Zenobi in evidenza e un bell’assolo nato dai tasti del pianoforte.  

PABLO

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Una delle canzoni più politiche del canzoniere di Francesco De Gregori, con l’immigrazione al centro del testo. Pablo è un ragazzo spagnolo, trasferitosi in Svizzera in cerca di lavoro, che divide la propria vita grama assieme a un italiano. Un giorno Pablo cade, probabilmente da un’impalcatura, muore, o forse no: Pablo è vivo. Lo hanno ammazzato solo da un punto di vista morale, costringendolo a bere latte invece che vino, condannandolo per il vizio di tradire la moglie con le prostitute. La canzone nasce nel 1974, poco prima di un concerto tenuto al Festival dell’Unità di Bari, perfezionata assieme a Lucio Dalla, che figura come uno degli autori. È uno dei pezzi più conosciuti di De Gregori, e quel “Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo” è quasi diventato un archetipo. Belli il suono della tastiera inserito nell’incipit nonché il suo serrato dialogo con il pianoforte e l’incalzare del basso elettrico.  

BUONANOTTE FIORELLINO

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Partiamo da una leggenda metropolitana, circolante da parecchio tempo, amplificata dalla nascita e dallo sviluppo della rete: De Gregori ha dedicato Buonanotte fiorellino a una ragazza morta in un incidente aereo, quella ragazza era sua moglie. Tutto inventato di sana pianta da qualche mente perfida. In realtà, la canzone nasce in Sardegna, quando il cantautore romano si reca a far visita al collega Fabrizio De Andrè. Da quell’incontro nascono brani che poi entreranno a far parte di Vol. 8, mentre Buonanotte fiorellino, De Gregori la tiene per sé. Si tratta di un piacevole valzerino in salsa acustica, di una delicata, e bucolica, dedica amorosa, anch’essa avvolta da un almeno mistero (“Buonanotte monetina”?). Secondo il suo autore, l’intento della canzone era quello di prendere in giro certe canzoni d’amore. Enrico Deregibus, biografo ufficiale del Principe, lo definisce un “pezzo anti-anticonformista”. (cit. in Francesco De Gregori, i testi, Enrico Deregibus, Giunti, 2020). Come dargli torto?

LE STORIE DI IERI

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Un altro pezzo politico, e questa volta il messaggio è chiaro: Le storie di ieri è un pezzo antifascista. La Rca aveva deciso di eliminarlo dalla tracklist dell’album della pecora ma, a distanza di un anno, esce addirittura in due 33 giri differenti, per giunta quasi in contemporanea: oltre a Rimmel, è Fabrizio De Andrè a racchiuderlo, sia pur con qualche piccola modifica al testo, in Vol. 8. De Gregori parla, con disprezzo di Salò, di Giorgio Almirante (“I nuovi capi hanno facce serene”), allora segretario del Movimento Sociale Italiano, partito nato dalle ceneri del fascismo, di una “mascella” che “al cortile parlava”. Le storie di ieri ha un andamento forse un po’ cupo, il suono è fortemente influenzato dal jazz. Il contrabbasso di Roberto Della Grotta si incarica della nervosa introduzione, il sax di Mario Schiano conclude con un bell’assolo, che, per De Gregori, “è una delle cose più belle di tutto il disco” (Francesco De Gregori, i testi, op. cit.).  

QUATTRO CANI

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Un’altra leggenda metropolitana da smentire (e non sarà l’ultima volta): i quattro cani dell’omonima canzone non sono Antonello Venditti, Lilli Greco, Patty Pravo e De Gregori stesso. Altra invenzione, non si sa quando e perché sia stata messa in circolazione. La verità è che De Gregori ama i cani, soprattutto quelli randagi, quelli che, quando si riuniscono in branco, ti accorgi subito che hanno un carattere diverso l’uno dall’altro. Quattro cani è senza dubbio il brano più spensierato di Rimmel (la versione di Banana Republic lo è ancora di più), impreziosito dagli arpeggi di chitarra di Renzo Zenobi e dai prepotenti vocalizzi di un Lucio Dalla particolarmente ispirato.   

PICCOLA MELA

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Canzone tascabile, poco più di due minuti e mezzo di durata, scelta come retro di Rimmel nel 45 giri di lancio. Ad ascoltarla a cinquant’anni di distanza si capisce perché De Gregori non sia mai stato particolarmente amato dai gruppi della sinistra più estrema: ma come si permette questo qui a parlare di sentimenti mentre noi stiamo preparando la rivoluzione? Si banalizza ovvio, ma scrivere canzoni d’amore è spesso stato un tabù per la generazione dei cantautori forgiatasi a inizio anni ’70 dello scorso secolo. Peccato, perché De Gregori sa essere leggero, anche sePiccola mela, come confessato a più riprese dal suo autore, attacca con un verso appartenuto al poeta sardo Peppino Marotto. Comunque sia, una canzone bella e delicata, con gli arpeggi di Zenobi ad abbellire un’atmosfera sognante. 

PIANO BAR

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Altro giro, altra boutade: il pianista raccontato inPiano bar non è Antonello Venditti. Leggenda metropolitana nata da un’interpretazione forzata di un botta e risposta tra i due cantautori. Una cosa tipo: “Francè, Rimmel fa schifo tranne Piano Bar”, “Ah sì? Ma lo sai che è dedicata a te?”. E giù risate. Tutto qui. In realtà, il testo è ispirato a un pessimo musicista intento a maltrattare un pianoforte presente in una sala dell’hotel Hilton di Roma: De Gregori ascolta soffrendo, poi ci ricama su ed esce questa cosa molto ben fatta, elegante, di classe, verrebbe da dire, peraltro rimasta nella memoria collettiva. Certo, Piano Bar un po’ ricorda certe atmosfere à la Elton John: amore e furto, avrebbe detto qualche anno più tardi il Principe.    

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L'articolo Rimmel: compie 50 anni il "colpo di stato" di Francesco De Gregori nei confronti della musica italiana di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2025-01-31 09:35:00

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