Rock Island - Bottanuco (BG)



Mercoledì 14 luglio
Partiamo il mercoledi pomeriggio con il gruppo - gli Heza - che farà da spalla a Paolo Benvegnù, per poi rimanere ospite dell’organizzazione sino alla domenica in veste di... ecco, io credevo di essere volgarmente in ferie, invece ho scoperto che Aurelio Pasini de “Il Mucchio Selvaggio” ed il sottoscritto partecipavano al RockIsland in veste di media-partners.

Tre ore d’auto, la Transpolesana, Verona, le uscite del Garda, Brescia, passi Bergamo ed eccoci a Bottanuco: la grandezza è quella di un campo di calcio, da un lato gli stand gastronomici, un bel bar lungo lungo con una sfilza di spine, la roulotte-cassa, i tavoli che ospiteranno la libreria ed i banchetti dei vari gruppi, un altro bar ed un bel palco.

Alto, con le luci, l’impiantone e le sue due spie per ogni musicista - capirete che dopo l’inverno e le date nei pub a star bassi e stretti si va in sollucchero a ritorvarsi in questa situazione. Paolo Benvegnù arriva dopo gli Heza, effettua un lungo e rilassato check-sound e dietro di lui il sole si spegne dietro gli alberi. Poteva sembrare una mancanza il fatto che la parte posteriore del palco fosse libera, ed invece alla fine ci si affeziona a certe visuali: la scena dei check all’imbrunire sarà denominatore comune delle serate a Bottanuco, anche perchè quella è l’ora del loro arrivo.

Certo non cazzute come quelle venete, ma anche le zanzare orobiche se la cavano mica male. E allora giù a spruzzarsi di Off (l’Autan vecchio stile mi sa che non lo usa più nessuno, forse tanfava troppo...).

Si fanno le presentazioni, si apprezza la cucina, si tracima ottima birra bionda, la diretta telefonica con lo zio Willy su Radio Sherwood e l’intervista a Benvegnù, si ritrovano facce del Mei… ed è già ora di salire sul palco. Anche gli incontri, quelli casuali, quelli cercati - e ce ne saranno, oh, se ce ne saranno... - segneranno e daranno un senso in più ai quattro giorni di Bottanuco,
Il live degli Heza vola via che è un piacere (giorni dopo, la registrazione di quel concerto dirà di una performance davvero buona, senza sbavature), sul palco i volumi sono uno spasso, la gente giù pare apprezzare, qualcuno si avvicina, in fondo c’è chi (Fabrizio Coppola?) urla “Vai Rigolin!” e non so se riderne o imabrazzarmi (fatte entrambe le cose). Scendendo dal palco raccogliamo i sinceri complimentissimi di Benvegnù e della sua simpaticissima banda. Di più non si chieda: è difficile tentare di essere obiettivi quando si è coinvolti direttamente, Gibson a tracolla.

La zona sotto il palco si riempie per il concerto dell’ex Scisma; ovviamente live i pezzi acquistano più tiro rispetto al disco, e se da un lato a farne le spese è il tono raccolto ed intimista dell’album, dall’altro il tiro li rende più vivi, presenti, vissuti. Un bel concerto, eppoi Paolo è una splendida persona. S’inventano, Benvegnù e la sua banda, divertenti dialoghi e situazioni che sfociano nel cabarettistico, altrove dilagano in lisergiche code lisegriche, e concedono anche qualche brano degli Scisma.

Ora, non si pensi che il Vostro media-partner abbia visto tutto e tutti i concerti di RockIsland da sotto il palco, taccuino alla mano a tirar giù appunti, quindi si perdonino errori ed omissioni: è un punto di vista, è chiacchiere al bar, ed incontri con inaspettati assidui frequentatori del forum di Rockit; è gossip nel backstage, strepitosi spiedini, birre offerte ed immani lezioni di bergamasco. Pota!

Il dopo-concerto della serata di apertura è uno dei più memorabili del RockIsland tutto, con un tris di tavoli occupati dalle due band ed amici e conoscenti, sino a notte fonda, quando i ragazzi dell’organizzazione sono quasi costretti ad interrompere Marcello (chitarra degli Heza) lanciatosi con la chitarra acustica in una serie di cover dei Beatles cui tutti aggiungevano cori, percussioni, risate - anzi, non si chiamano cori, si dice ‘controcanti’: Andrea, il batterista di Benvegnù, docet.

Il dì appresso alcuni Heza tornano in treno, ed è la scusa valida per andare sino a Bergamo, trovare in un baleno la stazione ed inoltrarsi - Aurelio del Mucchio, Silvia la fotografa, ed il sottoscritto - nei meandri della città alta, scoprendola bella ed affascinante oltre ogni aspettativa. Quindi funziona così: la sera doppio concerto, poi le ciacole ad oltranza, si va a letto, gita pomeridiana, e poi via ancora! Da grande… voglio fare il media partner!

Giovedì 15 luglio
Reduci dalla visita a Berghèm, stasera il cartellone prevede Franklin Delano e Yuppie Flu.

Ah, una cosa che mi ha fatto ridere: se in Veneto, in gergo, si dice “vago in festa”, o “vago ala festa”, a Bottanuco si diceva “vado al prato“. Il prato quindi, come sinonimo di festa, lo stesso prato che, la sera degli Yuppie Flu, ha accolto le mie chiappe, annaffiato dalla mia birra rovesciata ovunque.

C’è più calca rispetto alla sera di apertura, gente arrivata anche da Milano; iniziano i Franklin Delano - nel gruppo, come già saprete ex-membri dei Massimo Volume - e tutto sommato piacciono. Ottimo il lavoro delle chitarre, assolutamente non-italiani ma profondamente americani, quasi dei Calexico ma senza mariachi.

Poi la sorpresa… ‘sti Yuppie Flu di cui tanto ho letto ma di cui sono, se escludo un vecchio ep, piuttosto digiuno. Dico chiaro: piaciuti tantissimo! Spunta da dietro il mixer la sagoma di Ilaria - impenitente, fascinosa indie-rockeuse polesana venuta appositamente per gli Yuppie - e ci stendiamo sul prato a goderceli. Mi vengono in mente gli adorati Mercury Rev, ma con più tiro: sul palco Agostinelli non cerca grandi dialoghi col pubblico ma suda e ‘si dà’ in abbondanza, regalando(mi) uno dei più bei concerti di questa estate ancora da finire. Cd prontamente acquistato, e già ampiamente macinato.

Ricordo che sulla via del ritorno, quando i paesi attorno non finivano più con ‘ate’, e sui segnali ad accoglierti non c’era più scritto “ben riàcc“, mi sono ritrovato a pensare che gli Yuppie Flu mi erano piaciuti così tanto per via della presenza di Ilaria, per quel prato su cui eravamo seduti e quel suo sorriso dolce e naturale, quel suo coccolarmi (in realtà, volto principalmente ad allontanare due impavidi pretendenti milanesi giunti sino a Bottanuco dopo averla conosciuta a “Musica nelle Valli”... ma pur sempre coccole piacevoli, che diamine!). Ma mi sbagliavo: così come Ilaria è bellissima anche altrove, anche il cd degli Yuppie Flu è piaciuto molto più di quanto potessi immaginare, senza prato e senza musa a fianco. Direte: meglio tardi che mai!

Dice: “Sebach è proprio un bel nome, per un gruppo”. Oh, sì: Servizi Bagni Chimici… geniale! Quelle cabinacce di plastica, le vedi nei cantieri edili come ai festival, alle fiere, ai carnevali, alle ombrelonghe, e… accidenti! Quanti soldi ha fatto quel grullo che si è inventato il Sebach!? Entri, fetore ammoniacale, schizzi ovunque e caldo asfissiante, mai e poi mai penseresti possibile espletare, lì dentro, bisogni diversi dalla minzione, eppure...

Ma la cosa drammatica è andarci con gli infradito: la scarpa da tennis dà sempre quel distacco, quella sicurezza igienica, e ti permette senza tante paranoie di “tirare l’acqua”, ossia smuovere la leva del cambio in queste afose e marce astronavi, quella che - lo sapete benissimo - fa slittare il foglio di stagnola del water. Con l’infradito questa operazione assume toni drammatici, e fuori il concerto va avanti, ma lì dentro lo si sente ovattato, come se il tanfo gradisse solo la sezione ritmica e disdegnasse le chitarre...

Venerdì 16 luglio
Food for the ants
Sono serate caldissime, etiliche: i ragazzi dell’organizzazione han capito che noi media partners siamo anche animali da gita, le proposte fioccano e alla fine decideremo per la Val Brembana, sull’onda delle lezioni di orobico offerte da Steo dei Gea & soci.

Andiamo in Val Brembana allora, passiamo davanti allo stabilimento della San Pellegrino, beviamo un bianchetto in un baretto da anziani (ma cacchio non è il bar sport che ci avevano suggerito!) a San-Giovanni-qualcosa (forse S. Giovanni in Bianco?). Non resisto e faccio aggiungere un dito di Aperol al prosecco: Aurelio se la ride, io dissimulo, si sa mai che mi azzardi a portare ufficialmente lo spriz in Val Brembana. Visitiamo anche Brembilla, paese natale di Steo dei Gea (?) assurto recentemente agli onori delle cronache per via di quella mezza montagna venuta giù a seguito delle forti piogge (“ne han parlato anche al telegiornale”); oggi è tutto un cantiere e ruspe e rallentamenti e.... sì, un bel pezzo di montagna che, letteralmente, manca.

Nota di colore, imperdibile: da qualche parte, in Val Brembana, c’è un festival musicale, c’erano i calendari appiccicati fuori dall’ingresso della fabbrica di mobili dove avevo parcheggiato per andare a bere quell’orobic-spriz. Bene, lì, su quel manifesto, abbiamo veduto coi nostri occhi uno dei nomi più eccezziunali veramente per un gruppo musicale, e speriamo che il prossimo anno a Bottanuco li chiamino perchè tutti noi siamo curiosissimi di vedere in azione, siore e siori, ecco a voi gli.... Aderenza Migliorata!!! No, dico, ma andate in mona, aderenza migliorata? Daaaai!!! Soprassediamo.

Lavanda dei piedi nel Brembo, ritorniamo a Bottanuco evitando l’autostrada e passando per mille paesini sino a giungere a Sotto il Monte, paese natale di Papa Giovanni XXIII°, ove ogni strada, oratorio, piazza, edifizio è intitolata all’illustre cittadino. Spiego ad Aurelio che questo è bellissimo, naturalissimo, italianissimo, ma lui sorride e forse pensa alle volte in cui percorre Via Stalingrado, o semplicemente si crogiuola con le note di Paul Weller.

Doccia e via al prato, stasera suonano Cesare Basile e Marco Parente.

Passati già entrambi sul palco di Sconcertando (il festival che si tiene a Ceregnano, provincia di Rovigo, ogni anno a fine luglio, sorta di gemello inconsapevole di RockIsland), quindi per certi versi alcuni paragoni diverranno, nel corso della serata, inevitabili.

La diretta con Radio Sherwood, stavolta, è monopolizzata da Basile, che devo seguire silenziosamente per il prato mentre sussurra allo zio Willy frasi che non sento; poi il telefonino torna a me, e - invece di fare il giornalista e narrare degli Yuppie Flu la sera prima - me la rido con Willy in materia di Val Brembana, zanzare ed amenità varie. Nei tavolini, all’ombra degli alberi, di fianco al palco, una persona al telefono con un block notes davanti, è un viso conosciuto - eccole qui, le soprese: Antonio Bertoli, traduttore italiano di Alejando Jodorowsky oltre che suo pupillo, di orgini polesane, editore, poeta, psicologo e psicomagico nonché esperto in.... ok, leggete Jodorowsky, io non lo so spiegare. E’ qui con Marco Parente, nella cui band ora militano ben due dei Mariposa (oltre ad Enrico Gabrielli ai fiati & pianoforte, si è aggiunto anche Enzo Cimino con un set di batteria assai poco ortodosso ma dai suoni originalissimi composto di flightcase - sì, suona percuotendo le custodie e non il contenuto delle custodie! -, piattini che suonati sembran vetri rotti e altre deliziose diavolerie), mentre al basso torna dopo due giorni Johnny Dall’Orto, che aveva già suonato il Fender Jazz per Benvegnù.

Saluti e abbracci, la cena sempre troppo abbondante perchè se parti coi casoncelli (casonsei) poi non puoi pretendere di proseguire con patate fritte, spiedini e carne alla griglia!

Prima che il sole tramonti c’è il tempo per il resoconto della spedizione nelle valli alla combriccola di Ciano e dei ragazzi che lavorano allo stand, potta scecc, siam stati a zonzo, a fuzzura.

Cesare Basile suona quasi un’ora, tre chitarre e batteria: l’assenza di un basso davvero non si sente, s’intendono a meraviglia e si lanciano in improvvisazioni, io mi trattengo ancora con Alle e scambio impressioni con Alberto, appassionato di musica, sosia di Russel Crowe, comunemente conosciuto nel forum di Rockit come ‘ninorn’.

Poi, seduto su una panca di fianco al mixer, con Pasini al mio fianco, ha inizio il set di Marco Parente: diviene difficile scriverne, trovare le parole adatte per descrivere il concerto più deludente del festival. Parte da solo, chitarra e voce, poi si aggiunge Enrico Gabrielli, infine tutta la band, e il concerto non decolla, o - perlomeno - non va mai nella direzione che mi aspettavo, che auspicavo, perdendosi miseramente. Cervellotico, sfilacciato, a tratti irritante. Sul palco si divertono, qualcuno tra il pubblico certamente apprezza. Mi alzo e vado in cerca di una birra, ma non serve a nulla: questo non è il Marco Parente del cd, né quello visto un anno prima a ‘Sconcertando’; hanno preso il sopravvento le - chiamiamole così - istanze avanguardistiche, il vocalizzo, l’impressionismo, le fughe di pianoforte. Fuori contesto, in tutto e per tutto: una simile proposta avrebbe forse funzionato in un teatro, ma certo non qui, ad una festa estive con gli stand e le birre e dopo Cesare Basile e Benvegnù… e gli Yuppie Flu!

Volevo canzoni, melodie & poesia. Ho avuto bozzetti ghirigori stonati e rumorismi assortiti: ammettendo anche di non avere la sensibilità necessaria per capire simili slanci (insopportabile ad esempio, per il sottoscritto, un concerto degli Zu), rimane il rammarico dell’occasione sprecata, il timore che quella che ho - frettolosamente ma efficacemente - definito la ‘deriva avanguardistica’ sia ormai il nuovo standard di Parente, forse ormai stancatosi di essere un semplice, delizioso ‘cantautore’. Caro Marco, se il sentiero è quello, non ti seguirò… non ne sono in grado.

Memorabile, invece, la chiusura del concerto di stasera, con tutti i componenti dei gruppi sul palco, ad accompagnare prima la lettura di un racconto di Basile (una grande dote di Cesare, che prima o poi si deciderà a pubblicare un’opera letteraria a suo nome: ne ha tutti i numeri!), poi il reading di Antonio Bertoli. Tutti sul palco, momento unico ed emozionante.

Più tardi, al bancone dei cocktail, Cesare Basile si intrattiene con Bertoli a parlare di poesia e di scrittura: ecco, ci sto dentro. Un’altra notte che scivola via, Silva la fotografa flirta col suo uomo mentre io ed Aurelio speravamo ci succedesse come in “Bodyguard”, ma né io né lui siamo Kevin Costner. Un’altra incursione ai Sebach, un’altra raffica di boiate in pseudo-bergamasco indirizzata ai giargianess con la t-shirt nera con su scritto Rockisland - coi colori dell’Atalanta, ovviamente.

Sabato 17 luglio
E’ sabato, la sera sul palco tocca ad Ali di Vetro e Tre Allegri Ragazzi Morti, ed è per me l’ultimo giorno.

Con Alessandro - possibile non abbia ancora speso delle righe su di lui? Ale è il deus ex machina di RockIsland; è quello sempre dannatamente presente quando hai sulla punta della lingua un’impressione sul concerto; è quello che accoglie i gruppi e che si è sbattuto mesi su mesi per contattarli e sistemarli e fare il sito e stringere contatti su contatti; quello che gli chiedi una pizza ed arriva una pizza + due birrozze; Ale Giova è quello che un attimo fa era dietro al palco a salutare gli artisti ed adesso è all’ingresso della cucina, sempre con quell’Invicta sulle spalle (il prossimo anno gli regaliamo una valigetta in metallo, fa più figo per metterci dentro i borderò e ogni altra scartoffia), ed è la persona che ci ha spalancato le porte di casa sua, ma per quest’ultima cosa, rinvio alla chiusura di questo mio sghembo reportage - ed Aurelio ed Alessandro ci dirigiamo verso Trezzo sull’Adda a sbirciare la suggestiva location in cui quella stessa sera si terrà il concerto di Mauro Pagani (ma non credo abbia rubato un solo spettatore al concerto di Toffolo & co., che è stato il più affollato, nonostante la minaccia di temporale svanita in una ventina di minuti).

Ci rechiamo poi in un centro commerciale dove si pranza a suon di kebab, dopo aver messo a dura prova le nostre finanze acquistando cd di Miles Davis e Frank Sinatra, oltre ad un paio di dvd di cinema trash italico anni ‘80 con Gigi e Andrea, che l’orgoglioso Aurelio mostrava poi agli amici al bancone durante il soundcheck (titoli che i ragazzi ben conoscevano! Giargianess!). Per la cronaca, “Bithces brew” di Davis non è il capolavoro che certa stampa si ostina ad osannare, molto meglio “The birth of Cool”, ma qui - lo si è già detto - è forse questione di sensibilità, no?!

Il set delle Ali di Vetro è bello tirato: il power trio se la cava mica male - un po’ Placebo, un po’ Verdena - anche se si diletta col già-sentito però gradevole ed efficace.

C’è anche Fiz, la sera dei TARM, e non si esime dal pronunciare il suo classico “sono troppo intelligenti!”, mentre pochi metri più in là Carlo Pastore discetta con Fabrizio Coppola di revival, corsi e ricorsi con un piglio degno d’un consumato giornalista musicale. Tiè.

Toffolo è giù di voce, e l’ultimo album forse non è all’altezza dei precedenti, ma rimane il fatto che i TARM sappiano calamitare i gggiovani sotto il palco, anche se lo spettacolo è bene o male sempre quello, con le sue adorabili introduzioni rimaste invariate. Ecco, il punto non è, come ha scritto Teoremitti in occasione del loro live ad Arezzo Wave, se la messa in scena sia o meno credibile; è piuttosto per quanto tempo ancora el Tofo potrà/saprà indossare queste vesti, se sarà capace di presentare uno grupo di ragazi morti con accento croato senza mai stancarsene!

Eppur mi piacciono, ed annuisco all’ennesimo “Figa, sono troppo intelligenti!” di Fiz… al punto da andarsene a fine serata senza manco degnarsi di salutar nessuno.

La cosa bella di certe situazioni è che noti le differenze proprio a livello personale tra gli artisti: gli Yuppie Flu, ad esempio, sono gente che se ne sta per i cazzi suoi, mentre Benvegnù e Basile, cercano il contatto, non si sottraggono al piacere di condividere una grappa in compagnia dopo il concerto. Ma queste - sia chiaro - van prese solo come note a margine, chè ciò che conta è come suoni sul palco!

Da bravo amante delle tradizioni popolari, dei baretti di paese, degli accenti e degli anziani, la mia attenzione viene attirata verso un tavolo dove quattro orobici urlano a squarciagola una partita alla proibitissima ‘morra’. Uno spasso, imperdibile: prendo congedo dal cerchio di amici e mi metto di fianco al tavolo; uno di loro mi guarda male, teme che sia un carabiniere, io gli chiedo: “Le sembro un carabiniere?” ed alzo il bicchierone di birra. Lui mi guarda, dall’infradito sino alla maglietta di Rockit: no, non lo sono, e continua a giocare. Otto, cinc, nooof, seeeiiiiiissss!

Una calamita! Nel giro di pochi minuti alle mie spalle spuntano Alebasso, Kama, Pastore, Pasini, Coppola, Ciano ed altri curiosi; vedo un giovane che freme, poco più in là: parto per sobillarlo, gli dico di entrare nel gioco, mi risponde chiedendomi di sfidare i due urlatori assieme a lui. “No - faccio - figurati, parlano solo in dialetto, non sono di qui...”; allora mi guarda storto, con aria strafottente mi dice: “Te sei uno da fuori, uno di Milano”. Bene: in dieci minuti mi son preso del caramba e del milanese, ma continuo a sorridere e gli dico che son veneto, e lui: “Io, no”, fine della conversazione. A volte i bergamaschi sanno essere davvero poco ospitali. Ma ormai lo scopo è raggiunto: l’ho tirato dentro! Ormai lo vedi che è lì che gira attorno ai vecchiotti, vuole farsi una mano a morra anche lui!

La sfida con dentro il giovane rosso malpelo è da scrivere negli annali: tra bigol e pota varii il nostro young rude viene massacrato dagli anziani, e vista da fuori la morra è quanto di più vicino ad una rissa verbale possa esserci!! Affascinato, ormai preda degli urli dei giocatori, cerco respiro fuori dal tendone, e mi ritrovo a spiegare le regole del gioco ad altri ragazzi. La cosa bella, quella che su carta/schermo non si può descrivere, è la foga, gli urli con cui ogni numero viene chiamato, la velocità, la capacità di urlare un numero, buttar giù la mano facendone un altro, e fare la somma delle mani, che se esce quello che hai urlato il punto è tuo! Tutto ad una velocità assurda, troppo bello!

Con l’eco di quegli urli si chiude la mia ultima sera, non c’è tempo per stare anche la domenica, per il concerto dei Lana e dei Sux!. C’è tempo ormai solo per darvi conto del pranzo sociale della domenica (lasagne col cunì, col coniglio, polenta e brasato): hai voglia sedersi in auto ed affrontare l’autostrada dopo un pranzo simile, coi ragazzi già pronti a sfidarsi a calcetto nonostante i 32 gradi, sotto il sole cocente...

Hai voglia a trovare il tempo ed il modo di scrivere tutto, senza offendere nessuno, riuscire a rendere l’idea dei concerti, ma soprattutto del clima del ‘RockIsland’, cercando di ringraziare chi -con così tanto calore ed affetto - ti ha accolto in quei giorni. Insomma, la dura vita del media-partner: parti da casa per suonare ed assistere ad un festival, trovi delle persone, e mentre ti allontani realizzi che stai per lasciare degli amici. Forse è questa la cosa più bella di ‘RockIsland’.



Si succedono, uno dietro l'altro, i paesi della bergamasca, senza campagne nel mezzo, in un susseguirsi di capannoni, introdotti da cartelli che riportano il nome della località anche in dialetto.

Bottanuco è poco distante dal casello: è qui che si svolge il ‘RockIsland’, manifestazione giunta alla sua tredicesima edizione; uno sguardo ai cartelli degli anni passati la dice lunga sull'attenzione da sempre rivolta al musica italiana (pochissimo reggae e ska), e tutti i migliori nomi che vi vengono in mente del rock nostrano. Una figata - insomma - e la portano avanti da più di dieci anni!

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L'articolo Rock Island - Bottanuco (BG) di Enrico Rigolin è apparso su Rockit.it il 2004-07-15 00:00:00

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