Lo scorso anno ci eravamo lasciati con un'osservazione amara ma purtroppo reale: il rock non è, al momento, la voce preferita dai giovani. Basta confrontare l'età anagrafica dei musicisti rock con quella dei rapper. Nel rock gli unici ad arrivare nelle classifiche FIMI sono gli Afterhours, al primo posto la settimana della pubblicazione; Litfiba, al terzo posto con "Eutopia" nella prima settimana (scivolando al 23esimo nella terza); gli Zen Circus, che entrano al sesto posto per poi restare in classifica per 4 settimane; i Marlene Kuntz, al dodicesimo per 2 settimane; per non parlare dei Marta Sui Tubi, che in classifica ci sono entrati 61esimi. Stiamo parlando di band di un'età compresa tra i 35 e i 60, quelli che di solito vengono chiamati "adulti". Se vogliamo cercare un altro primo posto, dobbiamo rivolgerci a Ligabue e Vasco Rossi, e dio non voglia.
(Marlene Kuntz, foto di Alex Astegiano)
Detto questo, bisogna constatare che quest'anno non si annoverano uscite particolarmente clamorose, a parte un paio di esordi interessanti, come quello dei The Pier, e qualche gemma oscura che anche nel migliore dei mondi possibili forse non troveremmo comunque nelle classifiche FIMI. Ma non tutto è perduto.
Partiamo da quel sesto posto degli Zen Circus. È abbastanza rassicurante vedere come un album dal titolo "La terza guerra mondiale", che in copertina ha delle macerie e al suo interno smonta il peggior populismo all'italiana, riesca a fare quello che è il suo ruolo: il disco rock, che sappia parlare a tante persone di quello che non va e porti con sé odori di spirito della rivoluzione.
L'altro dato rassicurante è il primo posto degli Afterhours, che di certo non sono nuovi a queste vette, ma che riescono ancora a scalarle equipaggiati di un album difficile sia a livello sonoro che di tematiche. Al netto delle polemiche su X Factor, che a mio parere non hanno influenzato la vendita dei dischi se non di pochissimo, gli Afterhours si confermano -se mai fossero stati smentiti- una band davvero fondamentale, soprattutto in questo periodo storico in cui finalmente stiamo riuscendo ad accantonare le divisioni tra "indie" e "mainstream", un cammino da loro già intrapreso da anni a passo deciso e prima di molti altri, infischiandosene delle critiche.
Per restare nella stessa area "anagrafica", il 2016 è stato il ritorno dei Polar For The Masses, con un album da remuntada del rock; stessa sensazione attorno a "Semplice" dei Nadàr Solo ed "Elefante" dei Majakovich, "May" di An Harbor, e con loro gli A Morte l'Amore, The Please, Od Fulmine, e questo solo per citarne alcuni. Impossibile non menzionare anche lo split tra Verdena e Iosonouncane, con lo scambio delle canzoni del 2015: dimostrazione muscolare di superiorità tecnica.
Altri musicisti hanno scelto di cantare in italiano, unendo la tradizione cantautorale alle chitarre elettriche. Stiamo parlando del favoloso esordio di Motta, che ha convinto pubblico e critica, il punk-bluesman Johnny Dalbasso, un personaggio davvero micidiale, Trevisan, più vicino al rock classico, e Martinelli, un bislacco cantastorie dall'animo punk. Anche Cara e Giorgieness, due progetti dall'animo fortemente rock, scelgono l'italiano come forma espressiva, con risultati molto interessanti.
Come dimostra questa breve carrellata, anche se non arrivano in tv o alla radio, in classifica o sui grandi palchi, di dischi rock continuano ad uscirne tantissimi e alcuni sono anche molto belli. Un'attenzione particolare quest'anno la meritano i There Will Be Blood, che con "Horns" sono riusciti trovare la sintesi tra il rock bianco e il country blues arrivando a gareggiare su dei livelli altissimi, e mettendo a tacere una volta per tutte quelli che piangono una presunta inferiorità della musica italiana rispetto a quella oltreoceano. Stessa cosa si può dire per gli Inutili, oscura formazione di Teramo, il cui album "Elves Red Sprites Blu Jets" fluttua tra la psichedelia e il garage, con un risultato davvero straordinario. Per concludere questra tripletta, non si può dimenticare "Wet moon" dei Mother Island, un disco oscuro e fumoso con i blue devils che penzolano da ogni accordo.
Altro materiale da esportazione sono gli album di Soviet Soviet, His Clancyness, Stella Diana, Rev Rev Rev e Brothers in Law, tutti dediti a un sound che pesca a grandi mani da new wave e post punk in modo più che credibile. E ancora Denis The Night & The Panic Party, che già suonano molto in Inghilterra, e i cantautori che agli USA devono tutto: Ed Laurie, Urali, Above The Tree, Solotundra, Roncea & The Money Tree, e la straordinaria voce della bolognese R.Y.F.
Come sempre, in questo sottobosco, la scena hardcore/emo italiana continua a godere di buona salute: quest'anno sono usciti i dischi di Action Dead Mouse, Flowers And Paraffin, Bruuno, Le Sacerdotesse dell'isola del piacere, ASYLIR, Mary in June, Yo Sbraito, Marnero, e tanti, tantissimi altri. Anche la quota "rumore", quella che di certo difficilmente può (e vuole) incontrare i gusti del pubblico generalista, e qualche volta anche del pubblico del rock, ha avuto delle buone uscite: gli Ovo, Bologna Violenta, Hate & Merda, Los Padres, Mai Mai Mai, Ornaments, e ancora, Kingfisher, NoN, Buddha Superoverdrive, Ottone Pesante e Bunuel, il supergruppo di 2/4 del Teatro degli Orrori, Xabier Iriondo e Eugene S. Robinson degli Oxbow, hanno firmato dei dischi davvero potenti. Tra questi spicca "Songs from the lowest floor" dei Filth in my garage, veramente uno degli album più importanti per come ha calibrato potenza e contemporaneità.
L'altro filone che spacca tra i suoi circuiti di festival e appassionati è il rock'n'roll in tutte le declinazioni (punk, garage, surf ecc ecc.) Tra questi "scassoni" quest'anno si sono distinti i Barsexuals, i Superslots, i Bidons, Coco & The Lighters e Faz Waltz.
Insomma, citare tutti gli album rock usciti in Italia nel 2016 sarebbe un'impresa impossibile: solo nella nostra playlist su Spotify ci sono 63 brani tratti da altrettanti dischi, ed è solo una parte del quadro. Eppure, nonostante la quantità di release, si continua a ripetere che il rock è morto. Perché?
Da una parte di certo c'è una radicata tendenza a lamentarsi che impedisce di apprezzare quello che di buono c'è (insomma, andare ai concerti e comprare dischi invece che riversare bile su Facebook aiuterebbe). Dall'altra, come già detto, quest'anno sono stati pochi i dischi ad essersi davvero imposti o ad aver accentrato l'attenzione del pubblico, e in generale in questo momento storico il rock fatica a riventarsi in chiave più contemporanea.
A giudicare dalla lista dei dischi in uscita nei primi mesi del 2017, però, ci sarà da divertirsi: chissà che dai Gomma, Management del Dolore Post Operatorio, Tiger! Shit! Tiger! Tiger!, Il Pan del Diavolo o dai Joe Victor arrivi il disco capace di sfondare le classifiche, riempire i palazzetti e scombussolare i social network, attività che per ora sembra prerogativa solo del pop e del rap.
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L'articolo Cos'è successo nel rock italiano del 2016 di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2016-12-23 10:16:00
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