Oggigiorno mi sento libero di non essere contraddetto se affermo che il rock ha perso la sua centralità nel raccontare il presente e nello spostare oltre i limiti della società, ruolo che ha rivestito senza avversari dagli anni cinquanta agli ottanta del Novecento, per poi successivamente rimanere - non solo numericamente - il genere leader del mercato occidentale. Almeno fino a... ieri.
È proprio notizia di qualche giorno fa che il rock non sia più il genere dominante negli Stati Uniti. È solo la ratifica numerica di un dato di fatto: sono i dischi a (non) parlare (più). A mia memoria, è dai primissimi anni del nuovo millennio che non esce un album “rock” rilevante. Ecco gli ultimi in ordine di uscita: The Strokes, “Is This It” (2001), Queens of the Stone Age, “Songs for the deaf” (2002), White Stripes, “Elephant” (2003). Dopo di loro solo The Black Keys gli Arctic Monkeys hanno fatto cose impattanti, ma è importante ricordare che le scimmie di questo revival d'inizio secolo sono figli diretti: all'inizio erano una cover band degli Strokes e poi hanno avuto come produttore proprio Josh Homme.
Se dunque possiamo definire Alex Turner, 31 anni, come una delle ultime rockstar a fare effettivamente musica, abbiamo invece sentito usare questa definizione applicata a qualsiasi altro campo di intrattenimento di successo: “i dj sono le nuove rockstar”, “gli chef in tv sono le nuove rockstar”, e rockstar sono state definite anche personalità come Silvio Berlusconi e il Papa. Guè Pequeno, una delle voci più autorevoli dell'hip hop italiano, si vanta di essere “più rock'n'roll” di molti altri. Il motivo è presto detto: questi personaggi rompono con le consuetudini, hanno un profilo provocatorio. In Italia si usa ancora rock come sinonimo di “giovane”, per i giornali è rock chi si veste con pelle nera. E i rocker, quelli veri? Sono diventati un esercito di nostalgici per cui niente è più bello come lo era una volta (ah, i vecchi tempi! Ma non era da matusa parlare così?).
Una deriva reazionaria e conservatrice che Kelefa Sanneh sul New York Times del 31 ottobre 2004 (tredici anni fa) sintetizzava nella parola rockism. Chi è il rockist? “Non è semplicemente colui che impazzisce per Bruce Springsteen, è qualcuno che riduce il rock'n'roll a caricatura”. Colui che di fronte al pessimo concerto di un pessimo gruppo che suona pessime canzoni ti dirà: però perlomeno non è commerciale, è suonata veramente dal vivo. “Rockism significa idolizzare l'autentica vecchia leggenda o l'eroe underground per deridere l'ultima pop star; mitizzare il punk e mal sopportare la disco”, specifica Sanneh.
Questo lungo preambolo è fondamentale per spiegare la mia reazione stupita quando ho sentito parlare per la prima volta di Rockin'1000. Sebbene io abbia una band e suoni malamente la chitarra, mi sono chiesto che cosa significasse per il presente la “greatest rock band on earth”, che poi alla fine è la “greatest cover band on earth”. Correva il 2015. Guardo il video della loro esibizione di “Learn To Fly” (uscita nel 1999) suonata da mille musicisti, una performance epica che fa il giro del mondo. L'obiettivo è convincere i Foo Fighters, la miglior conservazione vivente della parola rock, a suonare a Cesena. Ci riescono. Win storico. L'anno successivo riempiono uno stadio. Mi viene voglia di capirne di più.
Ieri 20 luglio mi reco presso il Samsung District alla conferenza stampa di presentazione del Summer Camp di Rockin'1000, il loro prossimo evento. Una due giorni in una valle vicina a Cormayeur che si concluderà con la più grande suonata attorno al falò di tutti i tempi. L'idea è molto romantica. A prendere la parola è Fabio Zaffagnini, poco più che quarantenne frontman dei cosiddetti "millini", con un passato da ricercatore al CNR. L'ho sentito parlare in molte interviste ma è la prima volta che lo ascolto dal vivo. Viene introdotto come l'uomo il cui sogno è diventato il sogno dei mille. Si presenta in infradito Havaianas, jeans e t-shirt, una sorta di Richard Branson romagnolo, e tutto ciò non fa che rendermelo immediatamente una specie di supereroe. La scelta del look è forse la parte più eloquente, al netto di tutte le parole, dello spirito di questa esperienza. “Rockin'1000 non è per tutti. Per viversela bisogna essere un po' matti, avere lo spirito giusto”, conferma Fabio, che parla di questa creatura con un amore e una passione che trasmettono sincerità e fiducia assolute.
(Conferenza Rockin'1000, Fabio Zaffagnini in centro in infradito)
Un aspetto che sottolinea diverse volte è l'importanza del team, ringrazia l'executive producer Claudia Spadoni per riuscire a trasformare le sue idee in realtà. Ancora una volta, il sottolineato valore delle persone prima dei numeri. La parola “comunità” non viene mai usata, ma è come se lo fosse. La naïveté apparente non deve ingannare. “Non mettiamo i numeri davanti a tutto, ma li guardiamo”, specifica Fabio. Il dettaglio rivela una profonda conoscenza dell'ambiente dei grandi eventi e del necessario rapporto con i partner commerciali che ne permettono l'esistenza. Per seguire i sogni devi aver voglia di imparare la strada. Summer Camp è sponsorizzato da Nastro Azzurro, che in qualche maniera lo ha trasformato nella propria brand identity, e ha in Radio Deejay un solido media partner. E' qui che Zaffagnini svela la chiave di tutto: “Radio Deejay non è rock, ma è vicina alle persone”. Ecco: non un genere musicale, ma le persone.
Non è solo il look californiano di Zaffagnini a farmi pensare all'America. Parole come “sogno” o espressioni come “essere matti” mi riportano alla grande comunicazione statunitense massiva e aspirazionale. Un approccio confermato dalla chiosa finale di Fabio: “Il messaggio è che stando assieme si possono raggiungere risultati incredibili”. Una frase molto rock, in effetti, una sorta di evocazione dello spirito degli anni sessanta e delle grandi battaglie sociali di cui questo genere una volta si faceva carico. E non a caso il grande medley suonato dai mille al Summer Camp sarà tutto dedicato alla celebrazione del 1967, 50 anni fa, con brani di Beatles, Who, Cream e Jefferson Airplane; per la grande suonata attorno al falò, invece, l'intramontabile “Tender” dei Blur (1999). Brani ovviamente precedenti al 2000, non c'è bisogno di sottolinearlo.
Rockin'1000 celebra la storia del rock, non il suo futuro, perché il futuro del rock è diventare un genere che vivrà sempre meno nelle classifiche e sempre più nella tradizione. Un destino simile a jazz e blues, due generi musicali ormai codificati e ancora molto ascoltati, una cosa ben diversa dalla caricatura rockism. Insomma farà parte del bagaglio culturale di molti di noi occidentali e no – io stesso non cambierei mai Velvet Underground & Nico e i Clash con nient'altro al mondo - tornerà alla sua radice, laddove tutto era partito: il folk, parola che guarda caso significa “gente”, “popolo”. Persone. La forza di Rockin'1000 è di aver preso un immaginario ormai codificato e dunque accessibile a tutti, e di continuare a svilupparlo con creatività e passione all'interno di una griglia di valori che trascendono le epoche. Il rock oggi non è più rilevante come un tempo, ma le belle idee ambiziose lo sono più che mai. Ci vediamo al Summer Camp.
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L'articolo Il segreto del successo di Rockin'1000 non è il rock di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2017-07-21 09:05:00
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