Di ritorno a Milano dopo qualche giorno fuori città, mi dirigo sul terrazzo a verificare lo stato delle piante. L’aria, nonostante il sole caldo e denso, ha un non so che di settembrino. Così mi metto a guardare verso Sud: complici i sette piani di altezza, vedo un enorme colonna di fumo nero pece alzarsi proprio da quella parte della città. Il contrasto con il cielo azzurro terso la rende apocalittica. Ore 18:05. Chiamo subito il 115 per segnalare quanto sta accadendo. “Si, lo sappiamo, è l’incendio del palazzo di Via Antonini”, la risposta fredda e pragmatica.
Questi i fatti: un incendio ha bruciato un palazzo di oltre 15 piani, in un’estate in cui solo in Italia sono stati persi decine di migliaia di ettari. Rockol: “Divampato intorno alle 17.45, ha interessato due civici, il numero 32 e il numero 34, dove abitano, secondo quanto è stato comunicato, una settantina di famiglie”. La costruzione era recente, del 2010. Praticamente nuova. Uno dei primi video che sono girati su Twitter della faccenda è di Metella Ronconi. La giornalista si chiede: “non capisco come sia bruciato così in fretta”.
Le fiamme si prendono il palazzo ad una velocità mostruosa. In mezz’ora il grattacielo diviene una torcia. Il Corriere intervista alcuni residenti: «Ci avevano detto che i pannelli che ricoprivano il palazzo erano ignifughi, invece sono bruciati rapidamente come burro», uno dei racconti. Sempre il Corriere: “L’edificio, chiamato «Torre dei Moro» raggiunge i 60 metri d’altezza e «imita» la chiglia di una nave. Il rivestimento esterno è composto da «lastre prefabbricate di polistirene autoportanti». Le fiamme hanno completamente avvolto la struttura esterna; non è chiaro se ci siano o meno danni strutturali”.
La buona notizia: tutti i residenti sono riusciti a mettersi in salvo. Al momento risultano una ventina i leggermente intossicati. Certo, hanno tutti perso tutto ciò che avevano, e da stasera non hanno più una casa. Un miracolo, se pensiamo a quanto accaduto nel 2017 alla Grenfell Tower a Londra, quando nella notte del 14 giugno morirono 72 persone - ripeto: settantadue - per un incendio scoppiato a causa di un corto circuito di un frigorifero e divampato a velocità lampo. Il materiale con cui era stato rivestito il palazzo - per motivi “estetici” (sic) - era infiammabile. Qua il pensiero del sindaco di Milano Sala.
Una storia simile a quella di Via Antonini, con un finale tragico. Un fatto inqualificabile, vergognoso, che evidentemente non ci ha insegnato un bel niente. Se non ci sono morti, a questo giro, credo si possa ringraziare la casualità del trovarsi in pieno giorno di una domenica d’agosto, con gran parte degli inquilini probabilmente fuori casa o fuori città. Assieme alla bravura dei pompieri, una gran botta di culo. La velocità di propagazione delle fiamme sul secondo lato dell’edificio sono impressionanti. Fosse successo di notte, tutti a letto, non oso pensare di cosa staremmo discutendo ora.
A casa sua, invece, c’era anche Mahmood. Appartamento al nono piano. Il primo a raccontarlo pubblicamente è Morgan, in una diretta Instagram comprensibilmente molto confusa: abitando proprio lì a fianco, sentito il calore delle fiamme, scappa da casa per paura che bruciasse anche la sua (cosa fortunatamente non accaduta) e inizia la live; inquadra il palazzo in fiamme, preoccupato che qualcuno possa esserci dentro, si chiede se Mahmood stia bene. La notizia viene ribattuta dai giornali. Huffington Post: “C’è anche Mahmood, il vincitore del Festival di Sanremo 2019, tra i residenti del palazzo in via Antonini a Milano distrutto dalle fiamme questo pomeriggio. Da quello che hanno spiegato i soccorritori il cantante Mahmood sarebbe stato tra i primi ad abbandonare l’edificio una volta scoppiato l’incendio”.
Ho parlato con il suo manager Stefano Settepani, che mi conferma che il cantante stia bene. Credo sia ovviamente sotto shock. Alessandro, questo il suo nome all’anagrafe, era in compagnia di Camilla Magli e Arashi, due artisti e suoi grandi amici. Entrambi documentavano la loro gioviale presenza con alcune stories sui social. Sono fuori pericolo - “stiamo bene”, conferma Camilla - ma ora è tutto bruciato. Il fuoco si è mangiato quella casa che per Alessandro significava l’emancipazione dopo gli anni di gavetta e la vittoria a Sanremo. Tutto, perso.
Il fatto che nessuno sia perito in questa disgrazia, mi permette - concedetemelo - di allargare un attimo il pensiero. Negli stessi istanti in cui un rogo si portava via un palazzo intero, apprendevamo della morte di Lee Scratch Perry, il padrino del dub giamaicano, una delle più importanti e influenti figure del reggae a livello mondiale. Il fuoco era un elemento fondamentale nel suo immaginario: “Soul Fire” è il titolo manifesto di una compilation introduttiva al suo suono. Nel dicembre 2015 il suo “laboratorio segreto” - il suo studio in Svizzera, dove ultimamente viveva - andò a fuoco. L’intera sua vita finita in cenere: ricordi, dischi, costumi di scena, strumenti. Si era dimenticato di spegnere una candela. Successivamente non smise comunque un attimo di girare il mondo e di ricostruirsi, nuovo.
Due anni prima, nel 2013 a New York, il compositore e polistrumentista Blood Orange - che in Italia è principalmente famoso per aver contribuito alla bella serie di Guadagnino We are who we are, ma nel mondo non ha certo bisogno di tante presentazioni - perse tutto nell’incendio del suo appartamento. “La scorsa notte è successo l’impensabile”, scrisse dopo l’incendio che si portò via hard disk, colonne sonore, provini, ricordi d’amore e anche il suo cane, Cupid. Tre anni dopo pubblicò il suo miglior disco di sempre, Freetown Sound. Un capolavoro dell’rnb woke contemporaneo.
Alchemia e magia suggeriscono piste intriganti, ma pericolose. Rimane valido il consiglio dei genitori: con il fuoco non si scherza. Questo incendio rischiava di portarci via alcuni fra i più importanti artisti italiani di sempre, Morgan compreso. Grazie a dio sono ancora qui con noi, anche se - come nel caso di Mahmood - hanno perso tutto. A lui diciamo di non mollare, di prendersi il tempo che serve, di chiederci aiuto se ne avesse bisogno, perché non vediamo l’ora di darglielo e dimostrargli quanto gli si voglia bene. Il suo talento saprà trasformare questa cenere in qualcosa di meraviglioso ed importante, la creazione sarà rinascita. All’opinione pubblica e alla politica, invece, suggeriamo di chiedersi come sia possibile che un palazzo praticamente nuovo, che fa pubblica mostra di sé glorificando la corazza di materiale ignifugo, bruci in pochi minuti come carta velina.
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L'articolo Ma come può bruciare tutto così in fretta? di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2021-08-30 10:03:00
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