Lo scorso venerdì 6 novembre sono andate in onda le prime due puntate di Romulus, la serie pensata da Matteo Rovere e ambientata nell’VIII secolo avanti Cristo. La particolarità di questa serie è che, come il film Il primo re dello stesso Rovere, è interamente girata in protolatino, la lingua che veniva parlata dalle popolazioni preromane dell'epoca.
A fare da sottofondo alle vicende che vedono protagonisti Yemos, Wiros e Ilia c'è la musica dei Mokadelic, band nata a Roma nel 2000 e già nota per aver lavorato alla colonna sonora di Gomorra, Come Dio comanda, Sulla mia pelle e molti altri progetti cinematografici e televisivi. Alberto Broccatelli, Alessio Mecozzi e Cristian Marras – tre quinti dei Mokadelic – ci hanno raccontato la loro esperienza nel realizzare queste musiche, di cui abbiamo anche un video del backstage in esclusiva che trovate all'interno di questo articolo.
Da dove siete partiti per comporre le musiche di Romulus?
Cristian: Innanzitutto, quello che abbiamo fatto è stato guardare Il primo re per capire di che periodo storico stessimo parlando. L’aspetto più affascinante è quello della lingua protolatina, siamo partiti da lì e dal confrontarci con i registi, per cercare di vedere quale fosse la loro idea sul racconto e di interpretare qualcosa sul piano musicale che, fino a Romulus, non avevamo mai fatto. Non c’eravamo mai trovati in ambientazioni come quelle in cui non c’era niente di urbano.
Cosa vi ha colpito del protolatino?
Alessio: È una lingua che non conoscevamo e non conosciamo, quando abbiamo letto le sceneggiature c’erano ovviamente le traduzioni. Poi l’abbiamo un po’ imparata guardando la serie. È una lingua abbastanza musicale, abbiamo notato una sinergia forte tra i suoni della lingua e la musica che componevamo, tanto che in alcune delle tracce abbiamo mantenuto dei dialoghi della serie. Ci piaceva la potenza che si era creata e volevamo condividerla. Noi l’abbiamo presa come una lingua sconosciuta e ci siamo fatti ispirare dalla musicalità che ci comunicava.
Ci sono anche composizioni elettroniche che potrebbero sembrare anacronistiche, vista l’ambientazione. Come mai?
Cristian: L’aspetto elettronico è parte del nostro modo di fare musica. Noi ci rivolgiamo all’aspetto emotivo dell’elettronica, più che allo strumento. Alcune ambientazioni elettroniche le troviamo profondamente evocative, è un aspetto che non ha un tempo, questa trasversalità l’abbiamo applicata a scenari ed elementi come boschi, laghi, la notte, il fuoco, si tratta di elementi che sono fuori dal tempo.
C’è qualche serie che vi ha ispirato per lavorare su Romulus?
Alberto: La serie Vikings sia come ambientazione che come immaginario, anche se il periodo storico è differente. È simile il modo di stare dentro alla scena e all’emozione dei personaggi, come in una bolla di regia e sonora che accompagna lo spettatore nel viaggio emotivo che fa di un mondo che non si conosce. Da questo punto di vista, Romulus è una serie unica in Italia, è la prima volta che ci si approccia a un mondo così antico in una maniera così vera.
Come avete superato l’ostacolo della quarantena per comporre?
Cristian: Il covid è arrivato nel momento in cui il lavoro sulle musiche doveva esplodere. Nell’arco di pochi giorni abbiamo dovuto rivedere il nostro modo di realizzare una colonna sonora. Abbiamo trovato il modo di condividere ciò che prima veniva fatto di persona, ci siamo dovuti riarrangiare. Ognuno di noi gestiva un brano, ci mandavamo le tracce separate, si rilavoravano. Una volta capito il metodo più congeniale per andare avanti, siamo stati abbastanza, non abbiamo avuto pause. Abbiamo chiuso gli ultimi mix tra giugno e le scorse settimane, quindi in qualche mese abbiamo fatto tutta la parte esecutiva di registrazioni. La parte creativa invece si è sviluppata nel lockdown.
Alberto: Abbiamo anche avuto la fortuna che ci sia stata una finestra tra un lockdown e l’altro, per cui qualche cosa siamo riusciti a modificarla e riregistrare.
Di solito, invece, come si svolge la parte creativa?
Alessio: Noi nasciamo come gruppo, l’aspetto comunitario è quello che ci appartiene, quindi è un lavoro più corale. Lo è stato anche col lockdown, trasferendoci i file da remoto riuscivamo a essere tutti coinvolti. Solitamente abbiamo il nostro studio in cui ci vediamo e buttiamo giù idee assieme. Il lavoro a casa c’è comunque per forza di cose, in questa fase si è accentuato l’aspetto individuale. Credo sia stato un evento che siamo riusciti a usare a nostro favore, potremmo in futuro riuscire a replicare questa modalità a distanza
Alberto: Abbiamo cercato di riuscire a mantenere l’aspetto del gruppo il più possibile anche in queste condizioni. Siamo riusciti comunque a suonare come una band con dei codici differenti, è stato interessante.
Come pensate che verrà recepita dal pubblico internazionale?
Alberto: Questa è la cosa più interessante, è la prima volta che il nostro cinema cerca di raccontarsi così. C’è tanto del modo italiano di fare cinema perché è una serie storica mainstream, ma non del tutto. C’è tutta la parte psicologica che riguarda più la storia del cinema italiano che può diventare un elemento interessante. Magari lo spettatore si aspetta qualcosa di epico, ma qua c’è anche tanto del minimalismo italiano.
Alessio: Come in ogni serie, c’è un racconto molto complesso dietro, c’è una moltitudine di personaggi e di emozioni forti che coinvolgono molto. E anche i rapporti tra i personaggi appassionano molto, quindi secondo me ci sono tutti i presupposti per avere una buona diffusione, poi non si sa mai, la reazione del pubblico non sai mai cosa aspettarti.
Quali sono le serie di cui avete apprezzato di più la musica?
Alessio: Una su tutte, per me, è Dark. Ben Frost ha fatto un lavoro eccelso. Anche i lavori di Colin Stetson mi piacciono molto. Negli ultimi anni c’è sempre una maggiore attenzione alla composizione per film. Anche il livello che si vede nelle serie è sempre più attento alla commistione tra immagini e musica. Da quando la serialità ha cominciato a prendere piede in Italia si è sempre migliorato il livello. Secondo me la musica funziona quando riesce a essere evocativa anche senza le immagini.
Cristian: Aggiungo Broadchurch, su cui ha lavorato Olafur Arnalds. A un certo punto diventa difficile distinguere la colonna sonora dall’insieme: quando vedo qualcosa che mi piace, anche la colonna sonora è stata efficace, è un insieme che si incastra.
Non vi manca fare dischi di sola musica?
Alberto: Lo stiamo progettando. È una cosa che un po’ ci manca perché abbiamo lavorato tanto e non abbiamo avuto il tempo per dedicarci, però ci accompagna da tanto tempo l’idea di tornare a fare un disco vero e proprio. Raccontarci è una cosa di cui sentiamo il bisogno.
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L'articolo "Romulus", la fondazione elettronica dell'Urbe di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-11-09 17:26:00
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