Rozzi, siam stati a Rozzi (a conoscere il vero Paky)

Dal negozio di tatoo alla Torre Telecom, dal murale della "Gloria" alle case popolari e i parchetti: viaggio a Rozzano per incontrare il rapper di "Salvatore" (e i suoi zii e cugini). Che, piaccia o meno, sta finalmente portando qualcosa di nuovo nell'asfittico rap di casa nostra

Il murale Glory a Rozzano
Il murale Glory a Rozzano
11/03/2022 - 09:16 Scritto da Dario Falcini Paky 0

Dalla Barona, quartiere della periferia Sud di Milano (che avevamo provato a raccontarvi qua), a Rozzano ci saranno sì e no un paio di chilometri. "Una taiga" – come canta Marra nel feat. che apre il primo disco di Paky uscito nella notte, No Wallet – a cui si arriva con "le scanne in via Dei Missaglia" oppure prendendo la tangenziale in Famagosta per poi uscire quasi subito. Si passa davanti al Forum, l'olimpo della musica italiana sbarrato da un paio d'anni, e alla nuova sede di Accenture, consulenza e capitalismo tutti i giorni domenica compresa. Passato Assago, sorta di non luogo in cui la puzza del concime del Parco Agricolo Sud si mischia a quella dei pop corn del multisala, si arriva a Rozzi, che invece è un posto fin troppo vero.

Per gli amici Rozzangeles, è uno dei comuni della prima cintura milanese in zona Pavia. Qua è nato Biagio Antonacci, qua deve aver vissuto in qualche periodo Fedez, la pubblicazione del cui matrimonio vip è stata eseguita presso le istituzioni cittadine. Non risulta, però, che i due possano vantare lo status di local hero, a differenza del personaggio che stiamo per incontrare: Vincenzo Mattera, classe '99, originario di Secondigliano (Napoli), giunto qui all'età di 10 anni e mai più andato via. "E non ho nessuna intenzione di farlo, ci spiega: se divento ricco mi compro la casa più bella della città, ma sempre qua starò", ci dice.

Paky, foto stampa
Paky, foto stampa

D'altra parte Paky è diventato famoso con una pezzo che si intitola Rozzi, versione gangsta e dall'altro capo della direttrice Nord-Sud della Ciny di Sfera. Da quel momento il suo nome ha cominciato a girare, ha fatto il consueto valzer delle collaborazioni ma soprattutto ha imposto il suo stile e il suo personaggio, la sua scrittura e il suo immaginario (fino all'ultimo, bellissimo, video del suo singolo Blauer). E il suo flow: quello è davvero notevole, la sua voce graffiata sembra venire da sottoterra. È potente, riconoscibile, inquietante, unica. 

La conferma è arrivata in queste ore con Salvatore, un disco diviso in due parti. La prima (7 tracce) ha qualche luce – tra cui il pezzo con Marra e quello con l'amico della vicina Corsico Shiva –, ma nemmeno troppe, la seconda (9 tracce) è buio pesto, ci sono dentro tutte le ombre che agitano il rapper. I feat. di Guè, Luchè, Geolier (molto bella la loro Comandamento) e pure Mahmood non le smorzano affatto. Tra le due anime dell'album la title track, Salvatore, che è un messaggio vocale in cui Paky racconta la scintilla che ha acceso questo disco, la morte per un incidente di suo zio (il cui volto sta ora su una collana sotto al suo piumino).

video frame placeholder

È un pezzo – o meglio, in realtà non lo è – intimo e intenso, l'esatto contrario dei banger violentissimi che gli sono valsi milioni di stream. Coraggiosa la scelta di farne uno dei singoli di questo disco. "Quella che sentite è la prima take che ho fatto, non ho messo la musica perché poteva distrarre dalle parole. È come un messaggio sussurrato all'orecchio. A chi non è mio fan forse non piacerà, ma per me era importante che fosse esattamente così".

La morte è ovunque in Salvatore. Il nome Paky deriva da Pakartas: pare che Vincenzo, dopo un altro lutto famigliare molto doloroso, abbia cercato in quale lingua suonasse meglio la parola "impiccato" e il lituano facesse al caso suo. "Non è che voglio farla finita, sono un ragazzo pieno di vita, ma la morte è l'unica certezza che abbiamo. Io e la mia famiglia ci abbiamo avuto a che fare diverse, scrivendone è come se mi preparassi per la prossima volta. Con la musica scavo dentro di me, mi spoglio e faccio i conti con me stesso e quindi anche con il mio dolore e i miei lati oscuri". 

Per entrare a Rozzi si passa almeno un paio di volte attraverso il Lambro Meridionale. Sono su un van con i vetri oscurati, di quelli con le portiere automatiche in cui si crea sempre l'imbarazzo con l'autista. "Apro io?". "Apri tu?". "Oh, scusa, ho rotto tutto". Un paio di pantegane mangiano non so cosa sulla riva del fiume. Continuo a domandarmi perché gli enormi parcheggi del Forum siano sempre pieni, anche di giorno quando non ci sono gli eventi. La prima tappa del nostro tour è davanti al Rozzano Ink Studio Tatoo, lo studio in cui Paky si è fatto inchiostrare la scritta Salvatore sotto un occhio, che è diventata la cover del disco.

Rozzano Ink
Rozzano Ink

Il tatuaggio ha, suo malgrado, un ruolo chiave in questa vicenda, come capirà chi ascolta la hit/skit che dà titolo al lavoro. Ci passano davanti due ragazzi con l'estathé in mano e mi guardano come si guarda uno spostato mentre fotografo via Giacomo Matteotti. Devo essere il secondo, dopo quelli di Google Street View. Alle finestre delle case ci sono parecchie bandiere della Pace. Penso a Paky, a quanto poco possa sentire proprio questo messaggio.

Da qui, alzando lo sguardo, si vede la Torre Telecom Italia. Si vede ovunque da Rozzano, anzi da tutta Milano Sud. Indica la direzione, è una bussola per la gente di qui. La nostra prossima tappa è lì sotto. È alta 187 metri, che fanno di lei la quarta struttura più alta del Paese dopo il Grattacielo Unicredit a Porta Nuova e la Torre Allianz a CityLife, a Milano, e una ciminiera della centrale di Porto Tolle a Tavazzano. 

Il tour, fortunatamente, non prevede invece una sosta al Fiordaliso, centro commerciale vista tangenziale che è probabilmente l'unico luogo di Rozzano davvero frequentato dai milanesi assieme all'Humanitas, clinica privata dove ci si cura (bene) se ce lo si può permettere. Andiamo invece in via Lillà, prima di tante strade che devono il loro nome a un fiore. In realtà l'asfalto è l'elemento dominante. E iniziano le case popolari.

Palazzi
Palazzi

Ci entriamo dentro con il van. I vari blocchi sono distribuiti a file oppure a anfiteatro, il mezzo passa tra i palazzi, per strada quasi nessuno. Non provo alcun tipo di senso di pericolo – e ci mancherebbe, vivo a 2 chilometri da qua... –, ma l'abbandono sì. Quasi ogni muro è scrostato, non c'è traccia di 110% qua. A ogni imposta – è la prima cosa che si "degrada" nelle case popolari e in realtà pure a casa mia – le tapparelle verdi sono rotte, sbilenche, divelte. Deve essere una rivisitazione della teoria delle finestre rotte del Bronx (guarda caso il titolo di uno dei pezzi di Salvatore).

Quel senso di mancanza di empatia e interesse da parte di chi può cambiare le cose verso chi è nato e cresce qua sta al centro di tutta la lirica di Paky. “Qua non va bene niente", ci dice Paky, con gli occhi bassi. "Stai qua una settimana e sentirai quella rabbia che provano tutti. Lo Stato non fa un cazzo, la politica non sa quello che ci serve. Alla gente non frega un cazzo di avere le strade pulite, serve aggregazioni, servono eventi". 

Paky fa degli esempi. Il campetto – quelli che abbiamo visto girando in auto sono curati dagli oratori, tra i pochi presidi territoriali rimasti in piedi in questi cazzo di anni venti – che voleva fare con Adidas e verso cui il Comune si è dimostrato sordo. La sala prove che prossimamente aprirà, per dare una possibilità che lui non ha mai avuto. "Sono dovuto diventare famoso, fare i numeri perché si accorgessero di me e mi dessero le opportunità".

Siamo ancora in via Lillà. Dobbiamo scattare un'altra foto. Davanti a noi il murale, veramente old school, con la scritta Glory, lo slogan del "team" di Paky. "Gloria a noi figli di nessuno, che fin da piccoli sognavamo il successo contando solo sulle nostre forze". Attorno all'artista c'è un gruppo di persone, tra loro si chiamano tutti zio o cugino. Molti lo sono davvero perché hanno nonni o bisnonni in comune, emigrati assieme da Napoli. Altri lo sono diventati, perché i parenti hanno fatto assieme la galera e quello sì che è un vincolo indissolubile.

Quando Paky canta la violenza, lo spaccio, il disprezzo per uno Stato che reprime senza mai ascoltare, provare a capire, quel risentimento viene da qua. Da questo punto di vista il giro a Rozzano si sta rivelando utilissimo. Dei suoi "anthem" per la compravendita di stupefacenti – vedi Blauer – continua a non fregarmene nulla, sono altre le cose che mi attirano di lui sia musicalmente che a livello umano. Però una cosa mi pare evidente: quello che Paky racconta è quello che ha visto, respirato da quando è nato. E questo fa tutta la differenza del mondo, quando si fa rap. "Io sono autentico, canto di me e di quel che vivo", spiega. 

Un'altra manciata di fiori e siamo al parchetto all'angolo tra via delle Mimose e via dei Bucaneve. Sono le cinque, ci sono le mamme e le nonne che han preso i bambini all'asilo, gli adolescenti dediti al sacrosanto cazzeggio, i primi aperitivi degli operai. Qui Paky ha girato il video di Rozzi, è bello pensare che abbia creato del turismo. "Magari un giorno divento sindaco di Rozzano e cambio le cose", dice Paky. Anche solo il fatto che ci abbia pensato, in questi tempi di fuga dalla politica, è qualcosa che spiazza.

 

Dal bar gelateria che domina la piazza, escono, in anteprima, le note del suo nuovo disco. Star con Shiva, futura hit, Vivi o muori con Guè, molto conscious, Quando piove, climax di quel mood nero che si addensa sul disco, Giorno del giudizio con Luché e Mahmood. All'inizio Paky voleva fare un disco senza feat., scelta che personalmente avrei apprezzato. Poi le regole della discografia hanno avuto la meglio. I nomi coinvolti sono i carichi da novanta di Island, a conferma della volontà dell'etichetta di fare giocare subito un ruolo di primo piano a Paky, della loro convinzione di avere trovato la risposta alla wave (super) street che oggi sta vincendo.

Paky è seduto a un tavolo del bar con il suo manager accanto, beve un caffè. Non aveva pressoché mai fatto interviste, anzi aveva detto apertamente di non volerle fare. Giornalisti=Infami, la cultura da cui proviene è quella. Inutile lamentarsi o indignarsi. Le regole del gioco, però, come detto, ora sono cambiate. Lui si adatta, anche se non è del tutto a suo agio. Sulle prime fatica a guardare negli occhi, poi lo fa sempre più spesso. Si lascia andare un po'. Concluderà persino con un "sono contento di essere qua, di aver fatto questa cosa".

Il team Glory è attorno a lui, molti parlano dialetto napoletano ma si sente anche il milanese delle periferie. Ci sono quattro generazioni nella piazza, distribuiscono un volantino tutto nero e ben poco studiato da un punto di vista di marketing, che invita la gente a venire in quello stesso posto la sera dopo, il giovedì alle 21. Paky, tipo i Beatles, salirà su un tetto, o meglio sulla copertura di un porticato tra due palazzi, e suonerà dei pezzi del nuovo disco. Ci andrà un botto di gente, non so quanti eventi a Rozzano hanno avuto una simile adesione e un simile entusiasmo. Da questo punto di vista, sta davvero facendo qualcosa per la sua città e la sua gente.

 
 
 
Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Paky (@pakyglory)

Amici, zii e cugini lo circondano, lo proteggono. Hanno 10 anni, 15, 20, qualcuno 30 (ma potrebbe portarli molto male). La giacca Blauer è la divisa ufficiale, così come la tuta e le Air Jordan o le Squalo. Paky ha un borsello YSL che guardo con un misto di orrore e senso del sublime. C'è una signora con una tuta Reebok cui tutti portano grande rispetto, arriva un anziano, scende da una macchina e in dieci vanno a salutarlo. Non c'è tensione, o per lo meno io non la avverto. Ma è certo che io e gli altri giornalisti, i nostri Mac per prendere appunti e le foto-safari, non c'entrano nulla con il posto, né sono particolarmente rispettose. Nessuno, però, dice nulla. Oggi è una festa, uno di loro ce l'ha fatta.

Arrivano le domande complicate per Paky, che nelle risposte però ora argomenta ed è molto più fluido. Gli tocca parlare del video di Love, pezzone di Marra nel cui video ecumenico e "pacifista" l'artista di Rozzano appare nel suo quartiere assieme agli amici che ora svolantinano. In altre scene si vedono i ragazzi di San Siro – quelli della crew di Neima Ezza, Baby Gang e Rondo, o meglio quelli attualmente disponibili visti i loro problemi legali –, con cui Rozzano ha avuto una faida stile East Coast-West Coast negli ultimi tempi. "Purtroppo quella roba non è reale. Ho accettato di partecipare per Marra e Gué, per sdebitarmi, ma non ero al corrente esattamente del messaggio che si voleva mandare. Ma la pace e l'amore non ci sono". Allo stesso tempo, sottolinea, "non voglio creare rivalità, e se decidessi di farlo non sarebbe con un telefonino in mano, le stories o quelle cose lì".

video frame placeholder

Non ce andiamo via con un messaggio di pace, non era il posto giusto se ne cercavamo uno. Ma con la convinzione che, possa piacere o no, nel rap italiano sta succedendo finalmente qualcosa di nuovo, dopo anni asfissianti di saturazione del mercato e replicanti dei replicanti. Che, mi si passi il termine, ora siano i delinquenti a giocare al rap e non più i rapper a giocare a fare i delinquenti. Sul van – chissà se era un'Auto tedesca, non ho controllato – al ritorno ci riascoltiamo il disco e parliamo di Rozzano, di come dev'essere vivere lì. Scendo quasi subito. Il portafoglio ce l'ho ancora, altro che No Wallet

---
L'articolo Rozzi, siam stati a Rozzi (a conoscere il vero Paky) di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-03-11 09:16:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia