S. Giuseppe Rock (6° ed.) - Cosenza



La prima a salire sul palco è stata Lara Martelli, accolta con curiosità da un pubblico che la conosceva evidentemente poco. A vederla così piccola e minuta, un bellissimo scricciolo, non le daresti molto credito, ma dopo le brevi note di un intro improvvisato, parte “Sky” brano d’apertura del suo “Orchidea porpora”, ed è subito energia. Forte di una band compatta dal suono possente, la Martelli ha snocciolato molti brani del suo repertorio in un crescendo di fisicità e melodia, esprimendo anche visivamente tutta l’energia che esce dalle sue canzoni. Sono i brani del suo recente album “Orchidea porpora” a farla da padrone, in una alternanza di accelerazioni e sussurri di grande fascino che sanno rendere appieno la complessità dell’intimismo elettrico che hanno le sue canzoni. Lara sa già come gestire il palcoscenico, ammicca al pubblico con parsimonia, usa poco gli attributi fisici, eccezion fatta per la sua bellissima voce, modulata con sapienza a seconda delle circostanze. Pregevole è apparso l’omaggio a Billie Holiday con la ripresa della famosissima “Blue moon”, prima cantata a cappello con il solo accompagnamento del battimani del pubblico, e poi elettrifica dal gruppo che spinge Lara in un sensualissimo balletto con tanto di citazione autoironica che porta la cantante alla fine ad affermare che “mancavano le tette in questo balletto, ma io non ce le ho”. Anche nella riproposizione dal vivo, canzoni come “Ode a Renoir”, “Nebulosa”, “Il mare in fondo al mare” e “L’uomo dentro lo specchio” si confermano, accanto alla title-track, le migliori di un album che è specchio fedele di una artista di grande spessore.

A seguire sono saliti sul palco i Montefiori Cocktail, duo romagnolo dedito alla riscoperta di musiche del passato rivisitate in chiave lounge. Bastano poche note per trasformare piazza Arenella in uno stiloso club della generazione cocktail. Kekko alle tastiere e Kikko alla voce e al sax, accompagnati dalla vocalist Mauriel, hanno snocciolato un repertorio che spaziava nei generi accomunando “Light my fire” dei Doors a “La voglia e la pazzia” di Ornella Vanoni, “Sunny” a “Pata pata” di Miriam Makeba, “Masquenada” a “Besame mucho”. Quasi sempre i testi erano tradotti in italiano o addirittura stravolti (come nel loro cavallo di battaglia “Miao”, in pratica il classico di Tony Renis “Quando, quando, quando” cantato rifacendo il verso ai felini). Molta ironia ed una ricerca accurata, fanno della proposta dei due romagnoli una delle più intelligenti forme di rivisitazione della storia della musica leggera italiana.

La seconda serata vedeva in cartellone Vinagre e Davide Van De Sfroos. Il gruppo cosentino ha convinto e riscosso applausi a scena aperta, nonostante un repertorio ancora una volta variato. D’altronde é questa la caratteristica dei Vinagre, che non amano sedersi sugli allori, per cui si sono presentati sul palco dell’Arenella con uno spettacolo tutto strumentale. Ripudiato il cantato in dialetto, non sappiamo se definitivamente, il set proposto verteva su brani molto lunghi ed articolati, dove le soluzioni di arrangiamento adottate si sono fatte apprezzare per l’impatto elettrico che del jazz recupera certi tratti fusion, inserendoli in un contesto progressive di spessore. Una proposta interessante che ha raccolto molti lusinghieri consensi tra il numerassimo pubblico presente.

In seguito è stata la volta di Davide Van De Sfross e della sua band. La ‘prima’ calabrese del cantautore comasco era attesissima da quanti lo avevano conosciuto nelle brevi occasioni in cui è stato ospite de Il Parto delle Nuvole Pesanti durante la scorsa estate. Partito con il classico “De sfroos”, Davide ha subito messo in mostra alcuni dei suoi personaggi d’autore, che pur vivendo in periferia hanno insita una grande dignità. Dopo le storie del “Grand hotel” arriva il primo personaggio atipico della sua poetica: “Sugamara” è un emarginato che vuole mostrarsi duro a quanti, nel suo paese, lo trattano da reietto. Il suo “Se gh’eet de vardà” (cosa avete da guardare), mette in mostra tutta la dignità che è propria di questi perdenti o balordi di paese. Storie affascinanti, reali e fantastiche si susseguono con ritmo serrato, snocciolando i pensieri del “Figlio di Guglielmo Tell” con la mela sulla testa, oppure quanto costruito sui segni dello zodiaco, passando per improponibili duelli stile western dove non si arriva al sodo perché “E’ pronto da mangiare”. Dopo “L’omm scorcio”, arriva uno dei classici di Van De Sfroos: “Pulènta e galèna frègia” doppiato da “Sciuur capitan”, brano che ripudia la guerra con la diserzione di un soldato fedele che scopre l’orrore della morte causata al nemico con la semplicità con cui si stappa una bottiglia. Senza retorica, Davide Van de Sfroos ha detto quanto sia difficile cantare oggi questo brano, perché è come “alzare una bandiera bianca contro una mitragliatrice”. Poi una lunga versione tribale di “Hoka hey” racconta il massacro di Wounded Knee, mischiando tremezzino e lingua sarda senza far trasparire la differenza. Infine, giù a rotta di collo per un travolgente finale con “Kapitan Kurlash”, “Sguaraunda” e “La balera”, chiuso da una lunghissima versione di “Cyberfolk” arricchita di omaggi a Bob Marley e Nidi d’Arac di cui è stato ripreso un breve passaggio di “Lu rusciu de lu mare” - così come era accaduto in precedenza ne “Il duello” dove era stata inserita una parte del tradizionale salentino “Santu paulu”, Van de Sfroos continua a fondere i dialetti che più predilige. Dopo quasi due ore di musica, “Cauboi” e “la Curiera” stringono il patto definitivo tra il pubblico cosentino e questo grande poeta della musica contemporanea.

Annunciato come un evento speciale, il concerto dei P.G.R. è stato qualcosa di più di quanto ci si attendesse. Piazza Arenella, trasformata nell’occasione in teatro all’aperto, è apparsa fin troppo piccola per contenere tutti coloro che hanno voluto assistere alla nuova avventura musicale di Giovanni Lindo Ferretti & co.. Un evento, vista la presenza sul palco per la prima volta in assoluto insieme al gruppo tosco emiliano, di Hector Zazou, mostro sacro delle ‘avanguardie’ musicali del nostro tempo. La sua è stata una presenza solo apparentemente defilata, nascosto dietro l’uso di un theremin ed una chitarra accarezzata con efficacia, ma è parso chiaro a tutti di come dirigesse la complessità dello spettacolo. Più che un concerto, ci si è trovati di fronte ad una sorta di ‘messa laica’, dove la musica viaggiava a bassi regimi, ma calda e vitale come non è parso mai di sentire. Al centro del progetto stanno sicuramente le parti vocali affidate a Ferretti e ad una superba Ginevra Di Marco, che ora occupa un ruolo di maggior peso rispetto all’esperienza C.S.I.. I brani, molto spesso dilatati, hanno creato un’atmosfera davvero speciale, solo a tratti rotta dall’entusiasmo di un pubblico estasiato che ha voluto essere parte integrante di una serata speciale. Paradossalmente, quello che sembrava essere l’appuntamento meno rock del festival, ne ha ricalcato alcuni tratti convenzionali - come l’adorazione totale dei fan presenti, che sottolineava con urla e canti i passaggi più importanti. Ferretti ha anche trovato modo di allacciare i ricordi della sua esperienza di musicista, legato alla città di Cosenza sin dagli esordi con i CCCP, una città splendida capace di regalare tanto calore umano, necessario a contrastare il freddo di una serata straordinaria. Tutto è sembrato perfetto nella cura dei suoni di un repertorio che rilegge alcuni passi della storia dei C.S.I., ne trasforma la sostanza secondo linee che uniscono poesia e teatro, recupero della memoria storica filtrata dai canoni della world-music. Ancor più che sui dischi pubblicati sinora - anche se il live “Montesole” può rendere bene l’idea - i brani sembrano rinati e trasformati da arrangiamenti che lasciano esprimere i musicisti in piena libertà, ed anche se tutto naturalmente pianificato, si riesce a percepire il valore di personaggi del calibro di Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli, che non hanno nessuna voglia di fermarsi a riposare sugli allori. Superbo è apparso il lavoro sulle chitarre operato da un Giorgio Canali perfettamente a suo agio nel ruolo di sperimentatore.

Per chi volesse saperne di più, sul sito http://www.musica.cosenza.org è possibile ripercorrere questa edizione con interviste, filmati live e molto altro.



Giunto alla 6° edizione, il festival ‘S. Giuseppe Rock’ ha raccolto, nelle tre giornate del 17/18/19 marzo, diverse migliaia di spettatori sia ai piedi del palco, sia lungo le trafficate strade telematiche, grazie alla diretta internet curata dal sito Interact. Il festival, che si tiene a Cosenza nell’ambito della tradizionale fiera di primavera, ha raccolto un cast tanto variegato quanto qualitativamente indiscutibile.

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L'articolo S. Giuseppe Rock (6° ed.) - Cosenza di Eliseno Sposato è apparso su Rockit.it il 2003-03-19 00:00:00

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