Salviamo la musica, aboliamo il venerdì

Dietro alla "data unica" di release dei dischi ci sono le piattaforme di streaming, l'ansia dei numeri e la fast-foodizzazione della musica. Siamo sicuri non ci sia alternativa?

14/11/2019 - 14:59 Scritto da Simone Stefanini

Ogni giovedì sera si rinnova il conto alla rovescia per arrivare alla mezzanotte, ed essere i primi ad ascoltare i nuovi dischi in uscita. Prassi ormai consolidata, ma perché succede e, soprattutto, quali sono gli effetti sugli ascoltatori? Vediamo anzitutto come siamo arrivati qui: il 26 febbraio del 2015 è stato decretato dalla IFPI (International Federation of Phonographic Industry) che a partire all'estate i dischi sarebbero usciti in tutto il mondo solo di venerdì. 

Come scrivevamo nel 2015: Ad oggi gli album escono tradizionalmente di lunedì nel Regno Unito e in Francia, e martedì negli Stati Uniti (insieme a una serie di altri paesi, tra i quali l'Italia), ma l'IFPI ha deciso di unificare le date di uscita internazionali perché nei suoi piani dovrebbe incrementare le vendite e diminuire sensibilmente la pirateria: oltre a diverse trattative favorevoli condotte negli scorsi mesi con etichette, distributori e altri operatori del settore, l'IFPI si è basata anche sui risultati ottenuti da un sondaggio diffuso tra gli ascoltatori di Spagna, Italia, Malesia, Francia, Brasile, Svezia e Usa, che indicano chiaramente che le persone sarebbero molto più ben disposte ad acquistare un disco se uscisse di venerdì, con la prospettiva di potergli dedicare un ascolto attento e più "rilassato" durante il fine settimana. A supporto del sondaggio ci sono poi i dati di vendita, sia digitale che fisica, che evidenzano come dal venerdì alla domenica ci sia di solito un picco di acquisti.

Il mio Release Radar di Spotify
Il mio Release Radar di Spotify

Ai tempi ci chiedevamo cosa sarebbe potuto cambiare e pensavamo che per l'ascoltatore il giorno fisso di uscita sarebbe stato un fattore irrilevante. Oggi sappiamo che ci stavamo sbagliando. Per prima cosa, in questi 4 anni la soglia di attenzione dell'ascoltatore si è drasticamente ridotta, così come la fruizione del prodotto. Abbiamo visto, confermato dal nostro sondaggio su teenager e musica, che l'album è praticamente sparito, in favore del singolo o della playlist, e tra le nuove generazioni non c'è più minimamente la fotta di comprare il disco fisico, ma basta poter ascoltare la nuova uscita su YouTube o Spotify su smartphone, tablet o laptop.

Prima del 2015 non c'eravamo quasi accorti che le uscite fossero tutte concentrate in un giorno, perché spesso erano i siti tematici a dare le anteprime e sceglievano quando farlo, un sistema crollato con il potere sempre più forte delle piattaforme di streaming. In pratica ogni giovedì notte gli interessati fanno il countdown su Spotify, in attesa che esca la nuova canzone di qualcuno, con conseguente picco di ascolti e di attenzione focalizzata, pioggia di dischi d'oro digitali a caso e, una settimana dopo, completa amnesia a riguardo.

Non ci spiegheremo altrimenti, per fare un esempio tra i mille possibili, il disco d'oro a Ludwig, uno dei tanti pop rapper di cui a fatica si trovano tracce in Rete. L'ascolto compulsivo e standardizzato in una certa data, nel tempo iperveloce che stiamo vivendo, porta la musica stessa a un invecchiamento precocissimo. Non importa dare un secondo ascolto, basta postare sui social quale capolavoro sia la canzone del momento e poi dimenticarsene la settimana dopo.

Fate un check nella vostra bolla per vedere in quanti hanno parlato di Jesus is King di Kanye West, uscito venerdì 25 ottobre e già vecchio, macinato dall'ascolto compulsivo e risputato via per passare alla lode sperticata di Magdalene di FKA twigs, disco del secolo fino al venerdì successivo. L'ascolto si è assogettato alle stesse regole del social: la FOMO (fear of missing out) di non essere tra i fighi che parlano di un album per primi, il giudizio istantaneo e iperbolico (capolavoro - schifo - disco dell'anno - merda) dato per il like, la mancanza di tempo per l'approfondimento a causa della mole di uscite contemporanee da coprire, manco fossero tutti critici stipendiati. Quest'ultima dinamica è identica a quella del flusso di post o delle storie sui social: ogni giorno scrivere qualcosa, mostrare qualcosa, creare contenuti anche a caso per paura di dissolverci se non partecipiamo all'orgia collettiva di informazioni inutili.

foto di paulbr75
foto di paulbr75

Si, sappiamo che può sapere di vecchio, Ma nei remoti anni in cui regnavano i negozi di dischi, ascoltavi solo gli album che ti interessavano e poi decidevi cosa comprare. Oggi che la musica è avvertita come un diritto, un bene democratico da avere tutti e subito (pensate all'assurda protesta dei tipi che avevano hackerato Spotify quando li hanno sgamati), ti basta andare sulla playlist delle nuove uscite del venerdì per avere un mischione in cui trovi da Gigi D'Alessio agli Swans, e, per pigrizia, la lasci scorrere finché non trovi qualcosa che ti piace. Un lasso di tempo, un inquinamento acustico che poteva servire per ascoltare di nuovo una bella canzone della settimana precedente, dato in pasto al mostro della FOMO

Ora le cose buone della standardizzazione: siamo più informati, sappiamo cosa esce e quando, possiamo accedervi immediatamente e, se siamo riusciti a evitare la bestia di cui sopra, possiamo ascoltare la musica che ci piace ogni volta che vogliamo. Certo, è cambiato tutto, ma se pensiamo al fatto che la musica riprodotta un secolo e mezzo fa neanche esisteva, allora mettiamo tutto nella giusta prospettiva. In attesa di scoprire quali sarano le novità di stasera.

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L'articolo Salviamo la musica, aboliamo il venerdì di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-11-14 14:59:00

Tag: opinione

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