Sono passati sedici anni da quando ho messo piede per la prima volta dentro lo Psycho, lo storico studio di registrazione del produttore di Elio e Le Storie Tese. Avevo vent'anni e per la prima volta bussavo alla porta della musica professionale, la porta sul retro, timidamente, come assistente di studio.
Da quel lontano gennaio del 2000 ho registrato, mixato, masterizzato, arrangiato, prodotto centinaia di canzoni, incontrato decine di musicisti, girato studi, suonato strumenti. Solo una cosa non avevo mai fatto: lavorare al festival di Sanremo. Perché? Perché Sanremo è Sanremo e questo è proprio il motivo per il quale me ne ero sempre tenuto alla larga. Quando avevo sedici anni Il Sogno di mia madre era avere un biglietto per l'Ariston, il mio sufficienti candelotti di dinamite per farlo saltare per aria.
Poi arriva il 2016, anno bisestile. Due dei miei migliori amici, Mace e Zizzed, scrivono il pezzo di Rocco Hunt, io mixo tre brani dei big, più di metà degli artisti in gara sono persone con cui ho lavorato negli anni, alla fine cazzo me ne frega? In fondo il mio impegno, a parte le prove, si limita ad un'ora la sera e per il resto sono al mare a mangiare pesce e fare praticamente un cazzo. Accetto quindi la proposta e vado a fare da fonico di messa in onda per Valerio Scanu. Lo so cosa state pensando maledetti bastardi prevenuti, ma potete dire il cazzo che vi pare il pezzo di Valerio è bello. Un cameraman durante le prove con l'orchestra settimana scorsa gli ha detto "a Valè io t'ho gia ggiocato!". Lo danno 7:1.
Io non l'ho giocato perché sono quello che a Las Vegas ha cambiato 40$ in monete da un centesimo per ammazzare il tempo alle slot machine ed arrivare all'alba senza spendere troppo. E poi magari perdo e viene fuori che porto sfiga, e per vincere qualche decina di euro finisce che il mio lascito diventa una grattata di palle. No grazie.
E quindi eccomi qui. Una sveglia alle otto e due ore e mezzo di macchina dopo. Il lunedì è il giorno delle prove generali, ci sono tutti gli artisti in gara ed è la mia occasione per sentire tutti i pezzi. Mi fa un po' strano girare per l'Ariston, col mio pass posso andare ovunque: camerini, regia, sala, ma mi piazzo subito nel green. Il green è una stanza un po' marcia sotto il palco dove gli artisti bivaccano prima di esibirsi. C'è un televisore da cui si vede la messa in onda, ma non si sente un cazzo.
La convocazione è alle due del pomeriggio e scopriamo una volta arrivati che siamo i penultimi. Due caffè e trecento bestemmie dopo sono solo le quattro e siamo arrivati a metà scaletta. Mi faccio un giro.
Ci sono decine di persone addette alla sicurezza, controllano il pass ad ogni porta che attraversi. D'altra parte il rischio di imbuco di gente a random è alto: davanti all'ingresso dell'Ariston ci sono centinaia di persone schiacciate da ore contro le transenne per fare una foto con i VIP che però entrano dal retro, dove trovano i sedicenni più sgamati pronti ad aspettarli. All'ingresso principale comunque ci sono i VIP di serie B, quelli che in televisione non ci vanno più da qualche anno e a cui manca fare l'autografo, la foto o magari recuperare una scopata con qualche disperata. In mezzo a loro gente ancor più disperata che vende autografi dei cantanti ottenuti la settimana prima durante le prove con l'orchestra, quando la sicurezza era molto meno serrata.
Io esco in cerca di VIP di serie B in modalità COLLEZIONALI TUTTI e sento gli occhi delle ragazzine ciccione che mi squadrano. Chissà chi è. Cercano di leggere il nome sul mio pass. Domani ci metto un adesivo con scritto LIGABUE, penso, e torno dentro.
Mi rendo presto conto che qui ci sono veramente tutti: discografici, radio, giornalisti, turnisti, produttori. Tutto il gotha della discografia italiana è racchiuso in qualche centinaio di metri quadri. Si potrebbe dire che Il Festival sta ai discografici come un funerale di Maradona sul Vesuvio sta ai napoletani.
La noia si taglia a fette, ogni tanto rientro in sala per sentire i pezzi e me la squaglio poco dopo. I Dear Jack non li sento neanche per il LOL, a tutto c'è un limite. Vado a fare un giro nei camerini e realizzo che sono dei loculi di due metri quadri. Devo dire che mi aspettavo di meglio. Nelle retrovie il teatro è fatiscente, rappresenta un po quello che è Sanremo: una località di mare un tempo fastosa e ora lasciata un po' a se stessa, a parte quella settimana all'anno in cui le stanze d'hotel ammuffite costano 1500 euro a notte.
Sono le sei e la batteria del mio iPhone 6s è quasi scarica. Questo solitamente è indice di quanto mi sto rompendo i coglioni. Ho già speso 150 euro su Amazon. Ho reinstallato Ruzzle. Ho chiesto alla mia fidanzata se potevo farle la spesa online. Se mi bevo un altro caffè inizio a correre verso il casello dell'autostrada e per fortuna ho smesso di fumare altrimenti sarei già al secondo pacchetto. Grazie al cielo tra poco tocca a noi e mi dirigo verso la regia audio.
C'è una splendida vista sul porto di Sanremo, i discografici presenti commentano le quote dei concorrenti su Bet & Win mentre Patty Pravo sta cantando il suo inedito che ha un coefficiente di erre mosce al minuto da guinness dei primati.
La mia presenza in regia, dopo ore di attesa, mi ricorda le code di Gardaland: due ore in attesa per centoventi secondi di divertimento. Me la squaglio prima che cantino gli Zero Assoluto, per carità di Dio. I giornalisti applaudono, Valerio è tra i favoriti. Devo ammettere, senza togliere niente a nessuno, che far cantare Valerio dopo Patty Pravo e prima degli Zero Assoluto è come chiedere a mio nonno se vuole scoparsi una ventenne lituana. Ma io tifo per Valerio, ve l'ho già detto, quindi bene così.
Fatta questa manca solo il siparietto del red carpet: gli artisti sfilano in mezzo ad una pioggia di coriandoli davanti all'ingresso dell'Ariston facendo finalmente foto con intere famiglie solitamente provenienti dal sud Italia e prestandosi ai paparazzi. Io me la squaglio alla stragrande ed inizio ad informarmi sui party della settimana. Richiedo il pass di Casa Sanremo, dove c'è Radio 105 che offre show di artisti anche non in gara ed un open bar 24/7 e prendo accordi con colleghi e amici sul quando beccarsi per andare a bere l'impossibile. Che tanto ho abbandonato il progetto dinamitardo. Che tanto sono qui per lavoro ma di giorno non devo fare un cazzo. Che tanto, alla fine, sono a Sanremo al posto di mia madre.
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L'articolo Sanremo raccontato da dentro: giorno uno di Alex Trecarichi è apparso su Rockit.it il 2016-02-08 00:00:00
COMMENTI (6)
Posso confermare la storia di Las Vegas: tutto vero!!!!
Alex sei il migliore...
Ma da dove sei uscito? Ahah sei un genio, anche io tifo per Scanu,.
Bella lì, sderenati di tutto il globo melodico, seguiamo il nostro inviato dietro le quinte del disastro. Mi piace, procediamo.
Ciao...
Saremo sempre in tanti a seguirti ....
Primo perchè sei Mio Figlio !
Ma sopratutto perchè ci fai partecipe delle sfumature e dei retroscena con quel tocco di umor/sarcastico che fa simpatia -
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figo..ti seguiro'