Nella serata in cui la musica italiana ripiomba indietro di una ventina d'anni buoni, dopo la sbornia contemporaneista dell'ultimo Festival di Claudio Baglioni, c'è chi naufraga in una pozzanghera, chi se la cava con mestiere, chi sorprende per coraggio (pochi) e chi era meglio che no. Insomma, tutto nella norma: se foste tra quelli che si aspettavano maggiori fuochi d'artificio dall'edizione con la cifra tonda nel logo, avevate riposto male le vostre speranze. E sì che il nome del conduttore/direttore artistico dava indizi abbastanza corposi circa la direzione intrapresa, un festival nazionalpopolare in cui i vecchi servono a richiamare i vecchi e i giovani servono a richiamare i giovani (loro ci servono per i social).
E poco male se, tra i milioni all'ascolto, i meno agée fossero convinti fino a un minuto prima di vederli sul palco che quei vecchi fossero morti o per lo meno in pensione, e se il pubblico datato nel vedere sul palco il solito giovinastro con il ciuffo di alabastro abbia ridacchiato e pronunciato il solito, prevedibile "e adesso, chi cazzo è questo?". Qualcuno a Saxa Rubra è convinto la formula funzioni, e in questo Paese potrebbe anche avere ragione. Tanto vale dare i voti.
AMADEUS 4,5
Come Claudio Baglioni aveva puntato tutto sulla celebrazione delle canzoni (soprattutto le sue), Amadeus costruisce il suo show attorno alla sua straordinaria attitudine alle figure di palta. Effettivamente la sensazione che possa pestare un merdone a ogni sillaba pronunciata è palpabile, e certe espressioni del suo viso non suggeriscono nulla di diverso dalla strategia di stressare l'ansia da gaffes. Cosa si sarebbe inventato non gli fosse uscita quella frase da neandertaliano (a questo punto provvidenziale) in conferenza stampa?
DILETTA LEOTTA 5
La nonna freezata dall'imbarazzo in prima fila, la solita excusatio non petita sulla bellezza, il benvenuti nel futuro con i filtri di Instagram, le gag sul calcio. L'approdo della star di Dazn nell'unico ambiente più maschilista di uno spogliatoio di Serie A è stato nell'unico modo in cui poteva essere: imbarazzante.
RULA JEBREAL 6,5
Poteva essere mezzo voto in più, non si fosse fatta coinvolgere nella malaugurata idea di alimentare l'ondata familistica del Festival chiamando l'inquadratura della figlia nelle prime file. Fa la parte di "quella che conosce i leader del mondo" e che pronuncia bene i nomi stranieri, a livello di portamento (per quel nulla che possiamo capirne) appare subito superiore. Il monologo dedicato alla violenza sulle donne è di certo troppo lungo, eccessivamente retorico e mostra qualche passaggio a vuoto, ma calato nel complesso della serata diventa un grande momento di tv.
FIORELLO 5
L'amico premuroso e un po' infame del conduttore fesso: il profilo che terrà sul palco il grande intrattenitore chiamato a salvare il Festival è abbastanza chiaro. Chiarissimo, in un'edizione in cui ai personaggi sono vietate le sfumature. Qualche battuta è buona (e ci mancherebbe, lui rimane un fenomeno), qualcuna fa proprio pena (papa-Papeete?). Però lui esce molto addomesticato.
TIZIANO FERRO 6
A un artista come lui un 6 finisci per darlo sempre. Ma il meccanismo dell'entrata/cantata/due battute/uscita è molto poco coreografico e toglie pathos. E poi le canzoni: Volare, forse, andrebbe lasciata agli intrattenitori da piano bar che se la sono divorata; Mia Martini, di certo, andrebbe lasciata in pace nella tragica unicità della sua vicenda umana e artistica. Alla fine l'esibizione migliore è con un suo pezzo, e va bene così.
EMMA MARRONE 8
Canta bene, è empatica e, ad ascoltarla senza pregiudizi, ha dei bei contenuti, è cafona il giusto. Perfetta.
IL CAST DI MUCCINO 7,5
Che uno dei momenti più riusciti della serata sia stato la marchetta a un film dice tutto, ma proprio tutto, di come è andata questa ouverture.
ANTONIO MAGGIO E GESSICA NOTARO SV
Boh.
AL BANO E ROMINA POWER 3
Visto che la loro ultima presenza all'Ariston risale a non più di cinque anni, la super coppia prova a svoltare l'ospitata portando la figlia sul palco, in ossequio alla logica del "parente misterioso" tanto cara al conduttore di turno. Un disastro su tutti i fronti. Il full playback crea imbarazzo, anche grazie all'intervento di Amadeus che ha la brillante idea di interrompere il medley. La sensazione di trovarsi al matrimonio dell'amico di infanzia di tua moglie che non hai mai conosciuto né avresti voluto conoscere è fortissima.
I GIOVANI IN GARA 5,5
Che alla fine vincano Tecla e Leo Gassman, i due più vecchi e meno intrigranti musicalmente tra le due coppie che si sfidano, è perfettamente normale. Ma, in un contesto quasi impossibile (in apertura di serata), risultano assopiti anche Fadi e Eugenio in via di Gioia. E questo è più grave.
IRENE GRANDI - "FINALMENTE IO" - 5
Se tutti dicono che il rock è morto, non saranno di certo queste decalcomania a risuscitarlo. Manco se a scrivere il pezzo fosse Elvis Presley.
MARCO MASINI - "IL CONFRONTO" - 5,5
Il confronto con Junior Cally, che lo ha accompagnato in queste settimane. A 55 anni il dannato della musica italiana è ancora in cerca di autore, ma di mestiere e di ugola ne ha da vendere.
RITA PAVONE - "NIENTE" - 3
Nel titolo c'è la risposta alla domanda: motivi per cui Rita Pavone doveva tornare al Festival 50 anni dopo?
ACHILLE LAURO - "ME NE FREGO" - 7,5
Oh, finalmente qui le cose si fanno interessanti. Lauro, come sempre, dà da discutere, ed è la cosa più bella che ci sia. Discutere su cosa è arte e cosa no, sulla musica e l'estetica, sulla provocazione e i cliché. Sintetizziamo: brano già sentito ma piacevole, look iniziale da fare brillare gli occhi, look finale un po' scontato, riferimento a Giotto e San Francesco da numero uno. Rimane il fatto che a oggi ha una carica in più, che in mezzo al conservatorismo di San Remo è una deflagrazione atomica.
DIODATO - "FAI RUMORE" - 6,5
Gran bel pezzo da un punto di vista musicale, testo che rimane dopo un ascolto. Molto sanremese – tanto che c'è chi lo vuole tra i favoriti –, forse persino un po' troppo.
LE VIBRAZIONI - "DOV'È?" - 4
Le Vibrazioni sono quei terzini sinistri dell'Inter, che, mentre il mondo cambia attorno a loro, stanno sempre al loro posto, e fanno sempre la stessa cosa. Male.
ANASTASIO - "ROSSO DI RABBIA" - 7,5
Poteva fare Anastasio, il giovane rapper cantautore che usa bene le parole, cita i grandi e si fa rappresentante di una generazione arrabbiata ma addomesticata. Avrebbe vinto Sanremo. Invece porta un pezzo in parte diverso, di certo da un punto di vista delle sonorità: fosse anche solo per questa sua voglia di mischiare le carte quando tutto era a suo favore, merita un applauso.
ELODIE - "ANDROMEDA" - 8
Molto Mahmood, quello si capisce dalla prima nota. Lei ha voce e tempi pazzeschi, oltre che una presenza scenica da fare cascare per terra. Pop ipercontemporaneo, di quello fatto bene, che colonizzerà le radio. A Sanremo diventa qualcosa di più.
BUGO E MORGAN - "SINCERO" - 8
Questo incontro non prevedeva vie di mezzo, poteva essere o molto molto bene o molto molto male. Indovinate com'è andata?
ALBERTO URSO - "IL SOLE A EST" - 6
Ok, sembra Aquilani con i capelli posticci. Ok, gli hanno tatuato la barba e ha gli occhi umettati di un husky. Ok, le scarpe erano di mogano. Però sa fare il do di petto (anche se nessuno glielo aveva chiesto).
RIKI - "LO SAPPIAMO ENTRAMBI" - 4
Mentre saliva sul palco ho trovato molto fastidiosa la ricerca ossessiva di numerosi commentatori social della battuta su quanto sia attiva la sua vita sessuale. La sua performance, però, ha riscritto il concetto di fastidio.
RAPHAEL GUALAZZI - "CARIOCA" - 6,5
Occupa uno slot complicato nella serata e porta la sua musica, onesta e ben fatta.
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L'articolo Sanremo 2020, la pagella della prima serata di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-02-05 09:14:00
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