Benvenuto pubblico catalitico al Festival di Sanremo 2022, uno spin-off del Festival di Sanremo 2021. È così, la gestione del Direttorissimo Amadeus è sempre uguale a se stessa tanto che ci fa un regalo cosmico, quello di far sembrare che la pandemia duri meno, condensando due anni in uno. Se nel primo anno del Sanremo pandemico un po' di selezione musicale è stata fatta e dal Festival sono usciti pezzi che poi sono andati molto bene durante l'anno, nello spin off sembra che la musica sia stata scelta solo per fare le cappelle dei bonus al Fantasanremo. Sono proprio curioso di vedere la commissione mentre dice: "Raga, la canzone di Ana Mena è più bella di queste altre 45mila arrivate, lei è dentro per forza".
Partiamo dai fondamentali: un Sanremo che dedica alla memoria e all'arte di Franco Battiato 10 secondi netti e impiega 10 minuti di Eurovisione per lanciare un poco loquace Raoul Bova vestito da prete o i Meduza per fare la tamarrata ibiziana senza neanche contestualizzarla sulle discoteche chiuse ha tutto il mio disprezzo.
Amadeus è già riciclato, questo Festival non avrebbe dovuto farlo e invece proprio come il caso Mattarella, l'immobilismo della classe dirigente nel trovare un altro nome condiviso ha dato a lui di nuovo lo scettro, e che ha fatto il buon Ama? Ha ricreato il Festival dell'anno prima, richiamando i Måneskin e Colapesce Dimartino che alla fine della serata sono le uniche canzoni che tornano alla memoria, vestendo da scultura di Jeff Koons Orietta Berti, premiando le canzoni d'amore a discapito di quelle che parlino anche solo accidentalmente di due anni di buio mentale.
In verità proprio due canzoni ne parlano: quelle di Dargen e della Rappresentante di Lista, non a caso sono tra quelle più interessanti in gara. L'unica cosa è che Musica leggerissima c'era già e riproporre un sound fresco e spensierato (tamarro il primo, funky il secondo) con dentro un testo pesante, nel 2022 non ha lo stesso effetto della prima volta. Bravi comunque, coraggiosi in un mare di remake.
Di certo meglio del circolo degli anziani: Gianni Morandi a cui Jovanotti scrive un mash up di canzoni di Gianni Morandi in stile musicarello o Massimo Ranieri con una bellissima canzone in stile Massimo Ranieri, purtroppo adatta per la vocalità di trent'anni prima. L'eterno Festival del riciclo non poteva non aprirsi con lo scandaletto buono solo per far cambiare canale a chi vota Giovanardi: Achille Lauro che si battezza mentre canta mezzo nudo una canzone identica a Rolls Royce ma meno aggressiva e soprattutto fuori tempo massimo.
Gli unici che hanno osato davvero sono stati Mahmood e Blanco che hanno portato un duetto sanremese vero, una canzone classica con una tensione omoerotica che mamma mia, cantata e vestita benissimo. Un anello di congiunzione tra l'urban e la canzone d'autore che nella seconda serata deve venire giù il mondo per farli anche solo arrivare secondi.
E poi cos'è successo? Aspettami oppure dimenticami. Io non aspetto e quindi mi sono già dimenticato. Ah certo, in ordine sparso: Ornella Muti invecchiata solo di voce con gli occhiali alla Catwoman che si produce in un esempio di raro vallettismo, una carriera strepitosa ridotta a un siparietto in cui fa i commenti sugli attori morti o moribondi con cui ha lavorato. Tutti tranne Celentano, il suo vero partner, poiché parrebbe una cosa invisa alla di lui signora.
Fiorello. Dio caro. Fiorello, ancora, con i suoi interventi comici a cui ormai ride solo la famiglia di Amadeus, con le battute sul covid e sui vaccini che ti fanno venir voglia di bere un bicchiere di peste suina, Matteo Berrettini bello come un dio greco, il tennista italiano più bravo al mondo costretto ad ascoltare le battute di Fiore ammantato d'imbarazzo, Rkomi che non ha spaccato come avrebbe potuto, Noemi che ha portato un pezzo di Mahmood cantato come lo canterebbe Noemi, Giusy Ferreri che mi ha regalato una fragorosa risata mentre ha cantato in un tubo rendendo ancora più citofonale la sua voce citofonale, Michele Bravi vampiro di Twlight, l'orchestra di Sanremo che suona perfettamente sì, ma coi suoni di vent'anni fa, la regia che per fare la giovane ha ripreso alcune esibizioni con un montaggio così veloce e sconclusionato da far venire la nausea, le marchettone dei programmi Rai di cui avremmo fatto a meno e Yuman, il primo giovane Big che suona più vecchio di Morandi.
Al di là del siparietto imbarazzante con la golf kart che ha già generato sei miliardi di meme, aver avuto i Måneskin nel luogo in cui è partito il razzo verso la stratosfera è stato il vero colpaccio di Amadeus e vedere Damiano sciogliersi in lacrime dopo un'esibizione in stile November Rain di Coraline è stato uno dei pochi momenti penetranti della serata, e io non sono certo un fan della prima ora della band romana.
Nell'epoca green in cui non si butta via nulla, Amadeus ha fatto la differenziata: un po' per i vecchi, un po' per i giovani, un po' per la dirigenza Rai, un po' per l'ego di Fiorello e via andare, ognuno nel giusto sacchetto. Ne viene fuori un episodio speciale per i nostalgici del festival di Sanremo del 2021 con meno brividi e meno sussulti, con un ottimo share, che era quello che cercava con questo cast, dopo che l'anno scorso aveva fatto bene discograficamente ma meno con il pubblico.
Finisco da dove sono partito: un Sanremo che non inizia con la foto di Franco Battiato e l'orchestra che omaggia l'autore che più di tutti ha creato un ponte tra colto e popolare, con almeno dieci minuti di bellezza, parte già con un grave handicap. Vedremo se riuscirà a fare meglio nelle puntate successive.
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L'articolo Sanremo 2022: per ora il Festival del riciclo vince di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2022-02-02 08:55:00
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