"Piacere di stare insieme solo per criticare", cantava Franco Battiato, ed è un po' lo spirito con cui gente come noi si piazza davanti alla tv per guardare Sanremo. Quest'anno non basta neanche quello, perché la prima puntata è stata una maratona estenuante in cui le canzoni hanno fatto esclusivamente da comparse in uno spettacolo che beatifica il suo creatore, Amadeus. Verso la seconda metà m'è salita un'angoscia che mi ha fatto cambiare canale, per trovare conforto nelle notizie del tg, e ho detto tutto. Il settantesimo Sanremo cerca di ricostruire l'impero democristiano, per dare parola al pubblico di vent'anni fa (da qui il motto VentiVenti), altrimenti non si spiega l'uscita in dieci minuti di Eugenio in Via di Gioia e Fadi dalle Nuove Proposte, con due brani assolutamente superiori alla lagna retorica di Tecla e a Leo Gassmann tutto, dai vestiti a ciò che gli esce dalla bocca.
Da un figlio di a un amico di, Amadeus si fa difendere da Fiorello, deputato a scandire i tempi comici, solo che anche lui faceva ridere 20 anni fa. Timoroso dei commenti social che lo hanno asfaltato negli ultimi tempi, Ama chiama un altro amico, Tiziano Ferro e lo utilizza per fargli cantare le canzoni vecchie di Sanremo. Ah, un po' d'aria fresca (satira). Tiziano purtroppo si sopravvaluta e cade rovinosamente nell'interpretazione di Almeno tu nell'universo. Nota a margine: Mia Martini era meglio trattarla bene in vita, piuttosto che cantarne la messa da requiem ogni anno al Festival, perché sa un po' di faccia come il culo delle alte sfere della Rai.
Sempre Ama, preso a pallonate per l'uscita poco felice su donne e passi indietro, chiama per la prima puntata Diletta Leotta e Rula Jebreal, per affidare loro due monologhi, ma dimentica la formula degli Oscar: vale più un discorso di un minuto, convinto ed emozionato, che una pappardella preparata per pararsi il culo. La sinossi del monologo cringe della Leotta è: "Sono bella, un giorno sfiorirà, ma per ora stacce", detto di fronte alla nonnina dotata di fissità paragonabile a quella di Andreotti nella famosa intervista con la Perego. Zappa sui piedi gigante: pochi minuti dopo quel monologo, l'internet è colmo di foto di Leotta prima e dopo la chirurgia plastica, per debunkare l'assunto "La bellezza capita". Non fraintendiamo: Diletta Leotta può fare ciò che vuole con il proprio corpo, basta che non ci venga a fare il catechismo.
Discorso a parte per Rula Jebreal: un monologo sentito e commovente contro la violenza sulle donne, della durata di 10 minuti, piazzato tra un cantante e un altro, che regala commozione ma anche infinito dolore. C'è bisogno di piangere così tanto a Sanremo? Non si può fare uno spettacolo più leggero, almeno durante la gara dei cantanti? Vi sento già: quello è il palco più importante d'Italia, certe cose vanno dette. Ok, ma allora che fai, m'inviti Gabriele Muccino a fare la marchettona dopo quel discorso lì? Su, l'italiano è stanco, mica stupido. In più, ogni stacco dalla gara potrebbe durare quel 3-5 minuti meno e nessuno griderebbe allo scandalo.
Non abbiamo ancora parlato delle canzoni in gara per due motivi: il livello al confronto con l'anno scorso è crollato, in più sembrava che non interessassero a nessuno. Non è un caso che Sanremo sia l'unico festival mondiale di musica per chi non ascolta musica durante l'anno. Breve ma esaustiva carrellata: Irene Grandi porta un pezzo di Vasco e Curreri, che quel giorno poveracci, ispirazione zero. Ci ricorderemo solo del fatto che c'ha messo venti minuti per scendere le scale, concentrata come la Cristoforetti quando va nello spazio. Masini canta un pezzo che non lascia il segno, poi è il turno di Rita Pavone che si butta sull'hard rock con la foga della parente che beve troppo alla cena di Natale e mette i commensali in imbarazzo.
Quando entra Achille Lauro bardato come un Papa old school e poi si spoglia dei paramenti per sfoggiare la tutina tipo Borat color carne, l'internet impazzisce. Si parla di San Francesco moderno, sicuramente la performance vince sulla canzone, ma resta il momento più memorabile della puntata. Diodato ha una bella canzone che canta bene e che gli può garantire il podio nazionalpopolare (e qualche dose di sbadigli), mentre de Le Vibrazioni ricordo solo un personaggio misterioso che si muove strano dietro, tipo cortometraggio di David Lynch, ma è il solito espediente del traduttore nella lingua dei segni per giocare il jolly.
Pausa: super ospiti della serata sono Al Bano e Romina, presentati da Romina jr., sempre per ribadire il concetto che questa è l'edizione della Prima Repubblica e avere qualche parente o amico famoso, aiuta un casino. Cantano i pezzi famosi e poi il primo inedito dopo tremila anni (in full playback), scritto da Malgioglio, sottilmente trap, ottimo per i matrimoni nel foggiano e per i nostri cuori affamati di trash. Torna la gara. Anastasio è il vincitore annunciato e porta un pezzo tipo crossover 2000 fra rap e metal annacquato: abbiamo capito che gli piace Eminem, mobbasta. Elodie fa un figurone col pezzo di Dardust e Mahmood, che ha l'enorme difetto di far pensare a tutto il pubblico come l'avrebbe cantata Mahmood. È stato bello vedere Bugo e Morgan emozionati, con un pezzo che sembra venir fuori dal canzoniere dei Bluvertigo e un testo molto interessante sull'ipocrisia nel business, che detto da quel palco fa un bel suono.
Altra superospite: Emma col suo canzoniere dei Modà, che urla dall'inizio alla fine con una voce invidiabile, ma l'ora è tarda, l'occhio a mezz'asta, il disagiometro già esploso tempo prima. Quando entra Alberto Urso, resto ipnotizzato dai suoi occhi talmente vicini da essere intercambiabili, e dalla sua brama di essere il quarto de Il Volo. Bestemmio forte, mi deve sentire anche il prete. Gli ultimi che si esibiscono sono Riki (chi?) col vocoder e Raphael Gualazzi in versione Elton John ai tropici. La sua è una canzone divertente, l'ora (quasi le 2), meno. In mezzo, la canzone di Antonio Maggio e Gessica Notaro contro la violenza sulle donne, un momento toccante per i rimasti svegli. Poi arriva l'inaspettato: la giuria demoscopica decide di non capire una sega neanche coi big e dà la vittoria della serata a Le Vibrazioni, relegando i nostri favoriti alle ultime posizioni.
Amici, amiche: la nostalgia ha rotto il cazzo, i contenuti sociali d'accato pure. Di 5 o 6 intermezzi, 4 o 5 sono stati rivolti al pubblico dalla lacrima facile e questo rende la visione di 4 ore e passa di diretta insopportabile, specie se, con capacità di sintesi e autori più brillanti, certi messaggi sarebbero veicolati in maniera migliore. Ma poi, Sanremo deve davvero insegnarci a vivere e assolverci dai peccati? Anni addietro era semplicemente una gara di canzoni, la stessa che nel 2020 è completamente marginale e non riguarda affatto chi la musica l'ascolta e la compra davvero.
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L'articolo Sanremo 2020, una serata cancella gli ultimi 20 anni della musica italiana di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-02-05 08:58:00
COMMENTI (1)
Completamente d'accordo. Al di là della musica (che non c'era) citerei anche: Tecla vestita da Hopalong Cassidy, Gassmann con hairdo Panzironiana.
Correggi "accatto" (2t)