Le Vele di Scampia le vedrò solo sulla locandina dello Scampia Music Fest: una silhouette stilizzata, architettura gialla sospesa su sfondo azzurro, tonalità lontane dal grigio dei palazzi e più vicine a un regno dei cieli e dei limoni. A poche ore dall’evento, cavilli burocratici comunali non hanno permesso l’apertura della Villa Comunale di Scampia, luogo precluso alla cittadinanza e che si sarebbe voluto ripopolare per due giorni con idee, laboratori, visioni di cortometraggi, concerti di band emergenti e degli headliner delle due rispettive serate: i Ministri e il rapper MezzoSangue.
Non vedrò le Vele, dicevo, ma vedrò molto altro. Ad esempio l’insegna pubblicitaria che sovrasta un groviglio di strade trafficate di Casoria-Afragola, in provincia di Napoli, e su cui si legge “La luce del futuro. Fabbrica di Lampadari”. Lasciandosela alle spalle e inoltrandosi nel buio, l’asfalto viene circondato dalla terra. Un lungo viale di campagna porta a un vecchio casolare. Sulla facciata c’è un murales, il volto di un uomo in bianco e nero affiancato dalla scritta Masseria Antonio Esposito Ferraioli. Scoprirò che era un giovane cuoco e sindacalista ucciso a 27 anni, la notte del 30 agosto 1978, con due colpi di lupara mentre usciva dalla casa della futura moglie.
Varcato l’ingresso, incontro Giuseppe Fontanella, direttore artistico del festival, chitarrista dei 24 Grana e fondatore della Octopus Records. «Inizialmente la nostra idea era quella di sovvertire il tragitto abituale delle persone, che dalla periferia si spostano alla ricerca di vita in centro, ma anche di chi dal centro non viene mai in queste zone. Abbiamo cercato di mantenere l’intento provvedendo comunque a istituire un servizio navetta da Scampia. Anzi, qui la sensazione di decentramento è ancora più forte perché ci troviamo in un luogo altrettanto difficile, che per anni è stato simbolo della camorra. I posti hanno una storia e un senso, e vogliamo che si percepisca». Bene confiscato alla criminalità. Patrimonio del Comune di Afragola. Qui la camorra ha perso, si legge su una targa posta all’interno della masseria. Giovanni Russo, nominato da circa un anno direttore del progetto della masseria, racconta che «Questo era un luogo dove si veniva con paura, in punta di piedi e a testa bassa, per recuperare trattori, auto o per chiedere un posto di lavoro. Ed era anche luogo di summit di una certa importanza del clan Magliulo, una famiglia di semplici contadini che alla fine degli anni ’40 cominciano a delinquere fermando le persone sui carretti e chiedendo piccole tangenti. Poi si evolvono nel racket delle estorsioni e della droga, fino a essere spazzate via dalla faida con il clan Moccia. Questa masseria, un aerea agricola di più 120mq, è rimasta abbandonata per 25 anni. Oggi ci sono orti urbani, progetti di accoglienza e la possibilità di creare posti di lavoro reali e puliti».
«Sono sempre stato contrario alle agenzie di booking», dice un ragazzo che indossa una maglia dei Led Zeppelin, durante uno dei workshop musicali dedicati ai gruppi emergenti che hanno vinto il concorso del festival e che si esibiranno sul palco. Tra balle di fieno e spaventapasseri, mentre gli aerei sorvolano il cielo, qualcuno redige l’elenco degli obiettivi della sua band per il prossimo anno: “Non sciogliere la band”. Intanto un uomo che ha finito il turno di notte in fabbrica ed è passato da casa a riposare solo qualche ora, semina la sua parte di orto urbano. Il suo vicino di campo è un signore di sessant’anni che annaffia i semi di finocchi, scarola verde, cibi per l’inverno. A Scampia ci è arrivato quarant’anni fa innamorandosi di una ragazza del posto. L’amore è finito, ma non le amicizie fatte a quei tempi e che lo portano qui ancora oggi.
Più tardi, passo velocemente in albergo dov’è in corso un giallo alla reception. Un ospite si è accreditato come un componente dei Ministri ma nella lista non è presente il suo nome. Le due ragazze alla reception mi mostrano la patente del batterista, Michele Esposito, chiedendomi se lo conosco. Parlano dei Ministri al singolare. Come se fossero cariche politiche. «Io che ne so, si è presentato come ministro, mi ha detto Sono un ministro, e io gli ho dato la camera, ma che ne so io se è o non è ministro».
(Yosh Whale)
Siamo viaggiatori sai, in terre conosciute solo da noi.
Tornato alla masseria afferro questa frase che proviene dal palco dove si esibiscono le band emergenti. Salpiamo dalla terra dei nostri cari, scalando le mura dei palazzi neri. Voci effettate, casse distorte, ricordi trip-hop. Combattendo contro gli elefanti, consultando atlanti senza terra. Suoni scuri, con tiro, in alcune metriche un vago eco di cantautorato romano anni ’90, verbi che evocano passati epici. All’arrivo delle vele seguì un gran silenzio.
Si chiamano Yosh Whale. Hanno vinto l’edizione 2018 del Premio Buscaglione e hanno prodotto un EP dal titolo "Yawn". Gli chiedo quali sono le terre conosciute solo da loro. «In quella canzone, Profonde, ci riferiamo al quartiere in cui abitiamo, Nocellato, una piccola frazione residenziale di Fisciano, in provincia di Salerno». Lo attraverso con Google Map, una distesa western di sole, case monofamiliari, in una foto un bambino domina il deserto a bordo di una moto giocattolo, le ruote grandi sembrano un mezzo per portarlo in altre galassie. «È un tipico quartiere dormitorio, non ci sono altro che palazzi che nel pezzo danno vita a un paesaggio surreale». Le canzoni sono nate nella camera di uno di loro, Andrea. Mi dicono che dalla finestra di quella stanza si vedono campagne, palazzi, montagne e, in fondo su una collina, un castello medioevale. Qui potete sentire Profonde e un’intera live session.
Dalla parte opposta al palco principale, dove le luci non sono quelle di scena ma provengono dal neon di un tendone bianco che ospita una panca e qualche sedia, c’è una famiglia. Padre, madre, due bambini, altri due adulti. Osservano in silenzio, sono un dipinto. Gli chiedo: «Che ne pensate?». «Ancora niente». «Siete di queste parti?». «Del cimitero». La zona da cui provengono è quella del campo santo. Non sono morto e tu lo sai, se ti procuro tanti guai perdonami, canta Michele Feniello dei Fabrica, il gruppo in apertura ai Ministri, che propongono una cover de "L’amore è tutto qui" di Piero Ciampi.
I Ministri parlano del cambio di location del festival. «L’organizzazione non si è lasciata intimorire da divieti vari. Sappiamo di chi è la colpa ma non lo diremo. Gli dedichiamo questa canzone». Idioti, esperti di divieti, da qui non passeranno più nemmeno le comete, inventano la ruota, voi inventate i chiodi. Queste le ultime parole che sento prima di andare a dormire.
«Qualche anno fa camminavo per andare in centro quando sentii una musica. La seguii e mi portò a un gruppo di ragazzi che ballavano la breakdance. Si sfidavano con sguardi d’odio ma subito dopo la performance si abbracciavano. Ricordo che questa cosa mi colpì molto». Simone è un ragazzo di 18 anni che incontro all’inizio del secondo giorno di festival nel tendone dell’associazione Mammut, dove sono esposti i ritratti fotografici realizzati alle Vele da Matteo Casilli. «Ora io sto campando di cultura hip hop. Gli altri ragazzi sono fissati con una vita prestabilita fatta di lavoro, calcio, la comitiva al sabato, qua a volte sembra il dopoguerra con la gente incinta a 16 anni. Io grazie all’associazione Mammut ho scoperto doti che non sapevo di avere. Mio padre è disoccupato, mio fratello è disoccupato, mia madre fa la badante. Se sei basso, devi darti valore prendendo le situazioni col pugno».
(Fusaro)
La nostra tendenza è dormire sereni con un’arma calda vicino
canta Fusaro, 21 anni da Torino, un ragazzo degli anni ’50 che scrive canzoni gentili per voce, chitarra e pistole. Nelle prime due canzoni infatti compare una pistola. In quelle successiva un serpente dentro uno stivale, poi un piromane maldestro e una navicella di cartone. Glielo faccio notare alla fine del suo set. Accenna un «Non ci avevo pensato». Per raccontarmi com’è nato uno dei pezzi, "28 dicembre", mi mostra un ritaglio di giornale. Gliel’ha regalato suo nonno, collezionista di trafiletti di notizie strane. Leggo le prime righe: “Di Diego e Marilisa non sappiamo molto. Sappiamo che lei l’ha lasciato e lui, ogni anno, il 28 dicembre lascia una lettera con una rosa rossa all’ingresso della Rai. Tornerò ancora qui, ogni anno, ogni 28 dicembre che il Signore mi darà ancora da vivere, scrive Diego. Diego ha 38 anni, e ha (o aveva) un problema alla vista, dato che a un certo punto, nella lettera, racconta di un’operazione per salvarlo dalla cecità. Il primo bacio l’ha dato a lei, Marilisa, a 36 anni”. Nella sua canzone Diego è diventato la voce in prima persona che dice: Io maldestro piromane brucio ogni cosa che ho.
NESSUNDOVE studi su immagini di Napoli 1984 è un progetto di video-arte realizzato da Marina Vergiani. Me ne parla la figlia, Emma Ferulano, ricordando di quando da piccola sua madre, architetto e artista, la portava in sala di montaggio. Emma è tra le fondatrici di Chi Rom e chi no, un’altra delle associazioni che lavora sul territorio di Scampia. L’accompagno in furgone a prendere i materiali per allestire il banchetto di cibi rom e italiani. «Quindici anni fa siamo arrivati in piena faida a Scampia e abbiamo cercato di far dialogare gli abitanti del campo rom con quelli del lotto P delle Vele. Abbiamo costruito una baracca nel campo, è diventato un teatro per bambini e per adulti».
Non c’è il sipario sul palco ma tutto il resto è teatro: gli applausi del pubblico alla fine di ogni canzone, il silenzio, a volte al termine della musica, in cui sembrano sentirsi i pensieri di tutti che attraversano la masseria. «Penso che il pubblico senta il core - mi dirà dopo in camerino Mezzosangue - percepiscono che non c’è nulla d’inventato. Tutto è stato più che pagato a livello di scrittura, di sensazioni». Mi racconta di un libro autoprodotte in 50 copie durante il liceo e con il quale ai tempi vinse una borsa di studio per iscriversi a psicologia. Dopo il biennio, ha abbandonato i libri per i dischi. Poi aggiunge: «La vita è così. Ti viene tolto, poi ti riprendi, poi ti viene tolto, è pulsazione, contrazione, espansione. Lo dico in un mio pezzo, i tratti più neri fanno parte di bellissimi disegni!». Cito un altro suo pezzo, dedicato al bandito Ned Kelly che, secondo la leggenda, in punto di morte per ghigliottina pronunciò le parole Such is life. Gli chiedo qual è la sua ultima parola. «Ogni traccia è un’ultima parola».
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L'articolo Qui la camorra ha perso - il reportage di Scampia Music Fest di Valerio Millefoglie è apparso su Rockit.it il 2018-09-13 00:00:00
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