“Voglio che oggi facciate sapere immediatamente a Spotify che voglio rimuovere tutta la mia musica dalla loro piattaforma”. A parlare è Neil Young, che già qualche anno fa aveva avuto le sue ruggini con il colosso svedese, anche se di tutt’altra natura, in una lettera rivolta ai suoi manager e condivisa sul proprio sito web e poi cancellata. Se nel 2015 il problema era la qualità dell’audio dei servizi streaming ad averlo spinto a rimuovere tutto il suo catalogo dalle principali piattaforme – per poi essere aggiunto nuovamente poco tempo dopo –, questa volta la polemica nasce a causa di un altro contenuto disponibile in esclusiva su Spotify: The Joe Rogan Experience, podcast realizzato dal seguitissimo comico e commentatore Joe Rogan.
Quello che ha fatto infuriare Young nello specifico è la puntata dello show di Rogan del 31 dicembre 2021, in cui l’ospite è il virologo “fuori dal coro” Robert Malone, grande critico dei vaccini e della terapie disponibili per guarire dal Covid. L’episodio è un trionfo di complottismo, in cui si parla di ipnosi di massa, morti false e altre insensate teorie. D’altronde, lo stesso Rogan è un convinto anti-vaccinista, al punto di dichiarare di essere guarito assumendo ivermectina (farmaco usato per la sverminazione), dopo aver contratto il virus lo scorso settembre.
A questo episodio aveva già fatto seguito una lettera firmata da 270 medici, in cui veniva chiesto a Spotify di smettere di dare spazio alle tesi di Rogan in quanto pericolose per la salute pubblica. Lettera che non ha turbato particolarmente Spotify, così come l’aut aut di Neil Young: il servizio streaming lo scorso 26 gennaio ha provveduto a eliminare il catalogo del musicista dalla propria piattaforma, mentre il programma di Rogan, ascoltatissimo e pagato dal servizio streaming circa 100 milioni di dollari per l’esclusiva, continua a trovarsi lì, puntata incriminata compresa. Questo stona un po’ il comunicato rilasciato dall’azienda svedese, in cui si afferma di aver rimosso più di 20'000 episodi di podcast a tema Covid dall’inizio della pandemia, cercando di equilibrare la libertà degli autori con la sicurezza degli ascoltatori: sulla base di questo, come mai un episodio così pericoloso è ancora lì a disposizione per milioni di utenti?
Il boicottaggio avviato da Young è una chiara scelta politica, una presa di posizione in cui non accetta il compromesso di poter condividere lo spazio con un catalizzatore di notizie false come Rogan. E sappiamo bene come negli Stati Uniti siano maestri nel dare voce e diffondere movimenti nel migliore dei casi strampalati, nel peggiore, invece, che portano a entrare nella sede del congresso del governo armati. Talmente bene che abbiamo appreso perfettamente la lezione e la troviamo replicata in maniera capillare in tutti i nostri media.
Chissà come reagirebbe Young nello scoprire, per esempio, che uno dei programmi radiofonici più seguiti in Italia è La zanzara di Giuseppe Cruciani e David Parenzo, nato in tempi non sospetti 15 anni fa e che proprio su Spotify fa una marea di clic. Il delirio di due ore e mezza è amatissimo non solo da chi si ritrova nelle voci più assurde ed estremiste che si susseguono nel corso della trasmissione, ma pure da una considerevole fetta di fan insospettabili, travolta da un torbido gusto dell’orrido e conquistata dall’inevitabile effetto comico del programma. Come disse una volta un mio amico consigliando dei programmi radiofonici da seguire: “Ascolta Radio 24 dalle 21:30 alle 18 per l’approfondimento politico, economico e culturale, dalle 18:30 alle 21 (fascia oraria in cui va in onda La zanzara, ndr) per capire veramente l’Italia”.
E proprio La zanzara è stata al centro di una recente polemica, visto che uno dei suoi più assidui ospiti, Maurizio Buratti, noto agli ascoltatori come Mauro da Mantova, carrozziere 61enne pluricomplottista scomparso il dicembre scorso dopo essersi ammalato di Covid. La sua presenza in trasmissione era proprio giustificata dal suo essere una sorta di giullare, un fenomeno da baraccone che negli ultimi due anni in particolare aveva sposato la causa no vax e a cui Cruciani e Parenzo davano spesso e volentieri spazio, pure quando raccontò di essere andato al supermercato senza mascherina in qualità di untore. L’attenzione che gli veniva concessa arrivava proprio dall’incredulità che generavano le sue azioni, spingendolo quindi a replicarle e a spingersi ad azioni irresponsabili come queste. È una dinamica perversa, di cui si finisce col rendersi conto a pieno solo quando si arriva alle estreme conseguenze.
Se dalla radio ci spostiamo alla tv non è che vada molto meglio. Rete 4 è il cuore della bestia, con programmi come Fuori dal coro di Mario Giordano, in cui il peggior conservatorismo – sempre per quel discorso della locura che se l’acchiappi hai vinto – prende voce tra urla sbraitate, zucche prese a mazzate in protesta contro Halloween, giri per lo studio in monopattino e mille altre scene deliranti, il tutto in prima serata.
Ma Rete 4 è notoriamente schierata, un po’ nei panni di una Fox nostrana, così come i “fratelli” canale 5 e Italia 1, più subdolo è quando questo meccanismo sfonda i confini ed entra in canali che dovrebbero essere più neutrali. Quante volte, da inizio pandemia, abbiamo visto pietosi teatrini in qualsiasi arena politica, in cui il virologo di turno veniva affiancato con autodefiniti ricercatori che si staccavano dal “pensiero unico”? Come la ex deputata della Lega Francesca Donato, convinta no-vax che ha passato a tappeto tutte le arene politiche di La7, con qualche capatina anche in Rai, come esponente del partito e “contraddittorio”. E ha continuato a farlo anche una volta uscita dalla Lega lo scorso settembre, facendo cadere la giustificazione di chi sosteneva che venisse mandata direttamente dal partito in qualità di rappresentante.
Insomma, è un giochino marcio che non scopriamo certo ora, che da noi è diffuso ovunque e da cui sembra impossibile scampare, visto che le vetrine che non sono offuscate da un alone di spazzatura scarseggiano. E forse è così perché troppo spesso si è lasciato che questi spazi venissero contaminati, finendo con il trovarsi al fianco soggetti deprecabili come potrebbe essere Joe Rogan in questa storia. Per Neil Young evidentemente era necessario lanciare un segnale anche plateale per evidenziare una distorsione troppo diffusa e troppo nociva. Non è banalmente una divergenza di opinioni o una questione di antipatie, qua si minaccia la salute pubblica dei cittadini, è più che legittimo che si arrivi a tracciare un limite oltre cui non si possono accettare determinate condizioni, anche a costo di sparire da un canale di comunicazione enorme come Spotify.
Gesti come quello di Young hanno l’utilità di mantenere viva la discussione, di contestare personalità che hanno avuto un po’ troppo campo libero e ai cui messaggi dannosi ci siamo ormai assuefatti, nella convinzione di trovarci di fronte a fenomeni limitati senza un vero seguito (che però hanno delle vere conseguenze su delle vere vite). È una componente politica che spesso non vediamo nella nostra musica, non arriva al punto di produrre uno scossone – sempre che non finisca a tarallucci e vino tra un paio di mesi – come per il cantautore canadese, perché i nostri Joe Rogan qua prosperano e li troviamo dappertutto.
È proprio chi fa musica che ha la possibilità di puntare il dito contro le storture che tempestano il nostro quotidiano, di sbugiardare queste incoerenze e di aiutarci a vederle, senza per forza arrivare all’estremo di Young. Ignorare purtroppo può non bastare, lo stiamo continuando a vedere in questa pandemia senza fine e in chi, testardamente, continua a opporsi a lanciare messaggi a dir poco incoscienti. È un fuoco che va tenuto acceso, perché certo schifo si insinua nelle ombre e in ciò che è poco illuminato, anche quando è in piena vista.
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L'articolo Se Neil Young fosse italiano si sarebbe tolto da tutto (e da anni) di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2022-01-27 17:00:00
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