Eppur si muore. È vero: bisognava essere un po' meno schizzinosi e un po' più boy scout, e tentare a proprie spese l'ebrezza di provare comunque, in qualche modo, di fendere la testuggine di corpi ammassati che occupavano ogni singolo centimetro quadrato della platea dell'Alcatraz di Milano, per poi non essere costretti a non poter replicare a chi dalle prime file ti viene a rimbrottare che i Jesus and Mary Chain alla fin fine hanno fatto “un concerto auto-celebrativo di musica fatta 30 anni fa da vecchi seguito da vecchi”.
Perché è incredibile come, da qualunque altro posto che non fosse la sottile striscia di platea tra la transenna e 1/3 di sala, non si riuscisse assolutamente ad avere la percezione dell'impatto emotivo tra ciò che accadeva sul palco e il pubblico (solitamente) più coinvolto. Dietro è stato più o meno tutto un osservare e ciondolare, ciondolare e osservare, che, al di là del calcolato scrosciare di mani e qualche sorriso compiaciuto, non esclude né ribalta l'infausta disamina. Ecco, è con quest'ombra nella testa e questo peso sullo stomaco che lo scorso sabato mi sono recato a Verona per assistere a una Shoegaze Night, presso il recentemente rinato Colorificio Kroen. Mamma che paura. La scaletta, in questa occasione tutta modernista e tutta all'italiana, comprende: You, Nothing. da Verona, Mondaze da Faenza e i Rev Rev Rev da Bologna.
La prima cosa che non posso fare a meno di notare è chi si è fatto anche 100 kilometri per essere qua, e questa è una cosa che fatico ogni volta a capire. Fatico a capire fino a che il primo gruppo sale sul palco, poi capisco persino io. Io, che da circa dieci anni faccio fatica a trovare una scena che non sia diventata soporifera e/o anacronistica: è un problema mio, lo so benissimo, dovuto probabilmente all'età che avanza. Non ne vado fiero, ma credo che vada comunque condiviso con chi sarà in grado di capire cosa intendo e con chi no.
Pretendere dal grosso e supportare il piccolo è una regola che non deve andare mai in pensione, punto e basta. Tanto più quando vale la pena. Vale la pena perché ci si rende felicemente conto che il mondo, e l'Italia una volta tanto con esso, è andato (fortunatamente) avanti, al di là dello stile impeccabile dei fratelli Reid (o di chiunque altro abbia reso grande il fenomeno shoegaze o indie-rock in generale), superiore certo a qualunque stereotipo e pregiudizio del quale si possa arrivare armati nel 2022 e che comunque la si voglia intendere è stato immenso, anche se non ora e non qua. Uno stile da cui imparare sempre certamente qualcosa, anche solo su come tenere il palco e l'attenzione su di sé che non è solo mestiere del rock, ma attualizzandolo, rimaneggiandolo, rimettendolo in gioco, ancora un'altra volta, con gusto e freschezza.
È vero, tutti e tre i gruppi, fatta forse eccezione per Margherita (chitarra dei Mondaze) e Gioia (voce e chitarra dei You, Nothing.), si muovono come se avessero la proverbiale scopa nel culo di quanto stanno rigidi, ma è una rigidità così bene indossata che tu sei comunque affascinato e non gli stacchi gli occhi di dosso alla ricerca di un contatto visivo – nei pochi momenti in cui riesci a vederli in faccia, ovviamente. Che abbiano una sottile vena katatonica (nel senso di Jonas Renske) come nel caso dei Mondaze, che mettano del “riot” in questo shoegaze come nel caso degli You, Nothing. o che si fermino sulla sperimentazione pj-harveyana dei Rev Rev Rev, c'è comunque di che sollazzarsi e felicitarsi di non essere rimasti a casa in attesa della prossima strombazzata reunion.
In questi concitati anni '20, pochi gruppi hanno suscitato delle reazioni contrastanti come quelli nelle fila del nuovo 'gaze nostrano: spesso tacciati d'essere antipatici e arroganti (lo sapranno che le scarpe non se le guardano perché se la menano?), apparentemente del tutto ignoranti sull'argomento (ricordo i Be Forest che dicevano di essere stati più influenzati da Cure e XX che Ride e My Bloody Valentine) e pure del tutto geniali nelle loro intuizioni sonore, molte delle band in questione hanno saputo rispolverare adeguatamente buona parte del decalogo della great rock'n'roll swindle, ottenendo una dose di pubblicità e dividendo il pubblico nelle opposte/inconciliabili fazioni di entusiasti e denigratori.
Tradizione e rinnovamento, abrasività e armonia, terrore ed estasi, tutto assieme in una manciata di canzoni che non solleticano soltanto l'ascoltatore con un melting pot penetrante fatto di “pop” e “noise” (non male, specie per dei giovanotti considerati privi di esperienza) ma anche l'illustre critico musicale (“Fugazi jamming with Slowdive” nella descrizione dei Mondaze sul britannico Kerrang!) che non può più ripararsi nell'ovvio per descrivere gli azzardi di questi giovani terroristi del pentagramma. Tracce che sono un concentrato di presente e passato in grado di soddisfare sia nostalgici che nuovi adepti ma che, fra le righe, fanno agilmente rintracciare anche le rifrazioni di un eclettismo rispettoso del passato ma quasi mai meramente nostalgico.
Il suono esce così grande, variegato e potente. La scena invece è sobria, tutta giocata su poche luci, senza però quella sgradevole sensazione albero di Natale che ammazzerebbe tutto. Così un po' non vedi l'ora che ci sia un'altra occasione simile. Anzi, sarebbe molto bello se il Kroen o qualche altra venue pensasse a un appuntamento fisso del genere, o magari un vero festival dove declinarlo alle più svariate sfumature, dove potere unire vecchie e nuove band dedite a questa sonorità. Dai citati Be Forest alle Lilies On Mars ai Soviet Soviet, passando per La Casa al Mare, Klimt 1918, Clustersun, Divenere, La Case del Futuro, His Electro Blue Voice, Felpa, Obree, Submeet, magari invitando anche un headliner internzionale. Eppur si muove.
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L'articolo Shoegaze night, osservare il futuro guardandosi le scarpe di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2021-12-21 16:23:00
COMMENTI (1)
Pezzo che fa bene al cuore (e alle orecchie)