Lo show dei Pinguini Tattici Nucleari è la rivincita di quelli che non vengono mai notati

Non solo della band bergamasca, capace di portare 120mila persone a San Siro in due giorni. Ma anche del loro "popolo", ragazze e ragazzi spesso giovanissimi, "normie" totali che ci sono sempre ma di cui spesso finiamo per non accorgerci mai. Le nostre foto e il racconto dello show

Tutte le foto del live dei Pinguini Tattici Nucleari a San Siro di questo servizio sono di Starfooker
Tutte le foto del live dei Pinguini Tattici Nucleari a San Siro di questo servizio sono di Starfooker

Di più bello della musica, c'è (pur con lo schifo che certe volte sa fare) solo l'umanità. Lo penso ogni volta che in motorino mi trovo a passare per viale Aretusa a Milano, che poi diventa piazza Selinunte e poi via Mar Jonio, in quella San Siro popolare e antagonista che oggi i ragazzi agitati del collettivo 7oo hanno reso iconica. Lo penso quando esco dalla "zona calda" e arrivo in Segesta, per poi svoltare a sinistra. Lungo il vialone che porta allo stadio, l'umanità è cambiata radicalmente. Uno dopo l'altro, il mio Liberty supera i gruppetti rivolti al concerti. Parcheggio ed entro nel piazzale, tra meno di un'ora inizierà il live dei Pinguini Tattici Nucleari, band bergamasca fondata nel 2010 e divenuta negli ultimi anni un fenomeno nazionalpop.

Sono tutti lì, chi in coda e chi in attesa di mettercisi. Osservo la gente e penso che io queste persone non le ho mai viste. Non hanno la stessa faccia, la stessa attitudine, di certo non lo stesso look di quelle che vanno nei posti che sono solito frequentare io o che vanno ai festival dove di solito vado io. Non fanno lo stesso rumore, probabilmente non hanno nemmeno lo stesso odore.

Sono giovani, mediamente molto giovani. Alcuni talmente giovani che ci sono con loro i genitori (che poi, però, scoprirò essere i più invasati di tutti). Molte ragazze, sicuramente più della metà. Mi avvicino a un paio di capannelli, stanno parlando di sessioni universitarie. Hanno dato l'ultimo esame, si godranno il live e poi torneranno a casa. Sono i "figli" di quei 50enni che hanno calcolato le ferie in modo da essere in città per i Depeche Mode. 

Maglietta, o canottiera per le ragazze, bermuda, sneakers bianche ai piedi (se cercate invece l'unico coglione che va ai concerti con le Birkenstock, tanto piacere). Sono dei "normie" che secondo il Cambridge Vocabulary indica "a normal person, who behaves in the same way as most other people in society". Per questo motivo sono visti sempre con un po' di sufficienza da chi si sente portatore di una verità sotto o controculturale, da chi ricava la propria forza dall'appartenza a una nicchia. Loro no, la loro umanità non si esprime attraverso gli ascolti, i tatuaggi (ce ne sono molti pochi) o gli ascolti musicali.  

Scaccio dalla mia testa il pensiero malsano per cui mi sembra di stare a un meeting di CL. "Io non sono mai stato a un meeting di CL", penso. Cosa ne so di com'è la gente lì, al di là degli stereotipi? Il punto è che quelli "come me" con quelli "come loro" sono sempre stati degli ingenerosi stronzoni, incapaci di guardare alla propria storia e di guardarsi allo specchio. Davvero voglio imputargli un look "banale"? Ma se ho litigato ogni giorno con i nostri genitori per affermare che la forma non è sostanza e indosso solo no logo. Davvero voglio sindacare sui loro ascolti? Ma la musica non era libertà estrema, e senso di appartenenza? E i tatuaggi, poi? Non ne ho manco uno né ho mai pensato di farlo, perché mai dovrei pretendere che ne abbiano loro per risultare in qualche modo credibili come giovani?

A un certo punto, l'illuminazione. Non è che questi ragazzi non sono dove siamo "noi". È che non li notiamo. Troppo impegnati a fissare quei quattro freak che riempiono poi i caroselli di Instagram delle serate. Loro ci sono eccome, anzi sono quelli che fanno andare avanti la baracca. Magari non sono il 99% di "occupyana" memoria, ma un buon 80% sì. Un po' riappacificato con me stesso, mi metto in coda. "Pare di stare a un meeting di CL", mi dice la persona che mi accompagna. È stata iscritta all'Azione Cattolica fino a pochi anni fa, lei può parlare. 

San Siro è pieno come quando è pieno davvero. Ok, quest'anno lo stanno facendo "tutti", ma un doppio sold out da 60mila persone – l'11 e il 12 luglio – conquistato in poche ore di sbigliettamento online, rimane qualcosa di clamoroso. E una prima volta assoluta per una realtà venuta come i PTN, l'ennesimo spazio aperto. Fa una certa impressione quando, verso la metà del live, Riccardo, il frontman della band, ricorda che nel 2017 suonarono a Milano al compianto Ohibò per cinquemila lire. Qualcuno c'era, e alza la mano.

Questi sei ragazzi incarnano il sogno di farcela anche senza essere belli, cool o avere i giri giusti. Questo, assieme al loro atteggiamento live, annulla completamente la distanza tra il palco e chi sta sotto, in una maniera che non avevo mai visto in un'astronave come San Siro. Osservati dalla tribuna stampa – dove mi ritrovo a guardare il live sentendomi dentro una diretta di qualche tv locale durante la partita del Milan – Nicola, Lorenzo e Simone (doppia chitarra e basso) suonano, visibilmente felici, e azzardano qualche balletto: sono minuscoli. 

Si parte con Zen, il casino arriva subito con Giovani Wannabe, una delle loro hit più grandi. Riccardo, che il palco invece lo tiene in mano, è gasato ("non avrei mai pensato di suonare in posti così, e questo in particolare è speciale per noi"). Inizia a muoversi lungo lo stage e flirta con il pubblico, che spesso lo copre con la voce. Li riguardo, ora che è calata la notte all'improvviso. Tantissimi, per un motivo a me inspiegabile (o forse no, i vari punti merch sono presi d'assalto lungo tutta la serata), hanno la maglietta bianca, che fa un gioco cromatico interessante con il telo steso sul parterre. 

Inizio a osservare un ragazzo accanto a me, avrà 16 o 17 anni. Canta tutte le canzoni con trasporto, dalla prima all'ultima "senza mai sputare per terra" (come dicono in Puglia). Sono in tanti come lui, la maggior parte. C'è la mamma seduta a poche file di distanza, che a un certo punto deve scappare perché alla figlia di 10 anni fanno male le orecchie (i volumi sono notevoli, in effetti), c'è il gruppo di cinque ragazzine con il papà di una di loro al seguito, c'è addirittura una famiglia trigenerazionale disposta lungo una doppia fila di seggiolini. Il concerto è una grande cantata collettiva, soprattutto sui "b-side". Le sanno tutte, e quasi tutte significano molto per loro. 

Riccardo parla molto tra un pezzo e l'altro, li presenta, li spiega. A volte entrano Elio e gli altri ragazzi della band (l'unico che non parlerà mai è il batterista Matteo Locati, che in compenso ha un ottimo tiro), e spesso c'è il proverbiale accavallamento biscardiano. Non è una parte che amo dello show, ma il target, ormai dovrei averlo capito, non sono io. Me lo rende evidente Riccardo quando parla ai ragazzi e le ragazze che hanno appena fatto la maturità, e che quindi hanno dieci anni meno di lui (che a sua volta ne ha parecchi meno di me). Parte Tetris, uno dei brani che meglio descrive quel gusto per il piccolo mondo antico, il nostalgismo buono che sta alla base di buona parte della scrittura dei Pinguini (e più in generale di molto del pop generazionale di successo come il loro, vedi 883).

Mi soffermo ancora una volta sui look, in un improvviso egotrip da fashion stylist. Soffro a pensare ai pori di Riccardo, fasciato in una giacca che richiama i titoli di giornale pieni di fake news e le carte da parati di certi bar di provincia. Attorno a me noto più di una fan con la bandana della band, e così anche la connessione con Vasco Rossi e il suo fanclub è resa palese. 

Una ragazza sale sul palco a farsi fare live un tatuaggio con una frase della band, momento generazionale se ce n'è uno. Poi, su Ridere, Riccardo canta mentre una giovane lo accompagna con i gesti della LIS, e quello è un momento davvero forte. I visual, invece, per me sono bocciati. Ok il pov del Fortunadrago su La storia infinita, ok l'effetto Blu dabendì dabendà che accompagna alcuni pezzi, ma nel complesso non funzionano per nulla, non rubano gli occhi e faticano a dare coerenza allo show. Sticazzi di fare i Coldplay, sarebbe una follia anche solo pensare di mettersi in quel campionato lì, però un po' di gusto in più non guastava. 

Viene citato Pavese e l'amore patrio (inteso per Bergamo), Simone il taciturno canta No no no, spuntano i primi accendini (che poi sono telefoni). Il grande sing along prosegue e viene istituzionalizzato in un momento acustico tutti assieme attorno al tavolo, inaugurato da Scatola, canzone dedicata alla storia di Riccardo e alla sua famiglia. Non si vedeva una fisa (suonata da Elio) a San Siro dai tempi di Van De Sfros, ma questa volta siamo sicuri che andrà a finire diversamente. È il momento in cui il live fatica di più.

I sei Pinguini cantano pezzi nuovi e pezzi minori, tanto tutti sanno tutto, ancora una volta. Parlano del loro disco del 2016, Gioventù brucata, di come il mondo sia cambiato da allora. Ancora una volta, vertigini a pensarci. Poi penso che non è ancora salito sul palco un ospite, anzi non lo farà mai: il giorno prima Gué all'Ippodromo, a pochi passi da qua, aveva un'intera truppa con sè. Un altro mondo. 

Siamo alle due ore, la scaletta prosegue con Irene, "uno dei primi pezzi a portarli fuori dalla Lombardia". Penso che se Riccardo non cantasse sempre con quel sorriso, per un testo così – "In questa notte di buio pesto, che forse era buio pomodoro / Le mie mani Brigate Rosse accarezzano te che sei Aldo Moro" – sarebbero finiti indagati al pari della P38. Su Dentista Croazia, vero anthem della rivincita dei normies e dei tanti anni in cui la musica era solo sacrificio e non guadagno, cantano tutti quanti. E ancora Freddie, dove al microfono c'è Elio, che svela ottime doti da frontman nonostante l'imponenza del palco, e un altro momento molto riuscito in cui in consolle il chitarrista Nicola Buttafuoco fa un medley di alcuni pezzi del loro repertorio con cassa dritta. Anche se i bpm sono pazzi, la gente canta tutto come sempre. Una cosa è certa, il repertorio c'è

Io, però, me ne vado, mi ributto verso quell'altra umanità. Che di notte pulsa e fa più paura. Sono nel piazzale quando inizia il bis, rimangono dei pezzi da intonare all'unisono. Ringo Starr è fatta in una versione inedita con gli archi. Poi tocca ancora a Pastello bianco, Scrivile scemo e Fuori dall'hype. Questa mia fuga, per la prima volta in vita mia, mi permette di assistere a un fenomeno di cui ignoravo l'esistenza. Fuori, quasi tutti lì giunti sul posto in bicicletta, ci sono diverse coppie di amanti o di amici, sedute per terra a godersi da fuori il concerto. Che, in effetti, anche da qua ha volumi più che rispettabili. Anche loro cantano tutte le canzoni, senza mai sputare per terra.

LA SCALETTA:

Zen
Giovani Wannabe
Tetris
Hold on
La storia infinita
Bergamo
Hikkikomori
Coca Zero
Nonono
Ricordi
Lake Washington Boulevard
Scatole
Giulia
Cena di Classe
Irene
Dentista Croazia
Antartide
Freddie
MEDLEY: Non sono Cool/Scooby Doo/L’Ultima Volta/Verdura/Melting Pop/Fede
Ridere
Rubami la Notte

BIS:

Ringo Starr
Scrivile scemo
Pastello Bianco
Fuori dall’Hype

 

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L'articolo Lo show dei Pinguini Tattici Nucleari è la rivincita di quelli che non vengono mai notati di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-07-12 13:53:00

COMMENTI (1)

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  • GiampietroPiacentini 16 mesi fa Rispondi

    Non si capisce una mazza di sta recensione al concerto… a parte la CL e le persone che consideri sfigate ma in quella sera di magliette bianche hanno la rivincita sulla bruttezza. Boh. 60.000 brutti ciellini minorenni con i genitori con il borsello.
    Poi un seguito di titoli di canzoni, sorrisi, e una giacca fatta con i giornali.
    Ma che musica? Piace? Ti è piaciuta? Che livello è? Supera la neomelodica napoletana o dal 2010 corrono per farsi notare?
    O è ancora sta noiosa etichetta Sony che ci propina musica insulsa con il suo super potere?
    Ma che articolo è questo che hai scritto?
    Fanno o non fanno schifo?
    O è meglio andare via prima e non dire nulla?
    Dario non farti intimorire dalle major che sponsorizzano talent show di Karaoke.
    Con affetto.
    Pietro.