La storia di Rockit inizia nel 1997, e da allora sono tantissime le canzoni che sono passate per le nostre orecchie, ci sono entrate sotto pelle e ancora non ne vogliono sapere di scollarsi da noi. Con la serie settimanale di approfondimenti Verdisempre, dalla nostra newsletter Pezzoni (ti ci puoi iscrivere qui), vogliamo raccoglierle e raccontarne la storia dietro al brano, entrarci in profondità, ripercorrere cosa ne pensavamo allora e che effetto fa ascoltarle ora. E c'è anche una playlistona Spotify dove raccoglierle tutte, la trovi qua.
Una teiera gialla su sfondo rosso. Cosa ci si nasconda dietro o di fronte, con quella macchiolina verdognola in cui si intuisce la stanza riflessa, non ci è dato sapere. Così come non sappiamo rispondere a quella che in realtà ci viene presentata come un'affermazione: Che succede quando uno muore. Il punto interrogativo alla fine non c'è, come se per scoprirlo effettivamente dovessimo aprire questa teiera, oppure ascoltarci il disco che si nasconde alle sue spalle. È da questa immagine che comincia (o meglio, comincia davvero) la storia di Babalot, anzi, babalot, con la B minuscola, e in un certo senso comincia anche tutto un mondo cantautorale che sarebbe venuto dopo di lui.
Prima di tutto, chi è Babalot? Il suo vero nome è Sebastiano Pupillo, è un cantautore siciliano, ma nei documenti storici – aka le prime recensioni su Rockit – se ne parla come di un gruppo. Dopo due dischi senza titolo di cui si sono perse le tracce, arriviamo al 2003, anno in cui Che succede quando uno muore, pubblicato da Aiuola Dischi. Riportiamo dalla recensione del disco pubblicata allora: "Un’ironia amara, una malinconia simpatica e mai deprimente, un’arguta ricerca del paradosso linguistico mai fine a sé stesso pervadono i testi straniati e a tratti assolutamente emozionanti, con guizzi invero notevoli".
Sono tutte le caratteristiche centrali di Babalot, unite ad arrangiamenti lo fi e a uno spiccato gusto per la melodia scalcagnata, dove l'intonazione conta fino a un certo punto. Qualcosa che poi avrebbe fatto scuola, ma all'epoca ancora nessuno poteva saperlo. Il picco del disco lo si tocca alla terza traccia, la prima ad avere un titolo – pure parecchio evocativo – nella tracklist dopo i due brani senza titolo: La lavatrice e il muro. Al centro c'è un protagonista evanescente che si racconta in prima persona, a cominciare dal suo rapporto con il mondo esterno:
Uso le scale quasi sempre per
non incontrare gente in ascensore
Così si presenta nell'attacco del pezzo, assediato da una cassa che rimbomba sui quarti, un arpeggio di chitarra acustica che si ripete fino all'ossessione e l'incapacità di gestire la socialità del mondo esterno. C'è una descrizione meravigliosa fatta di lui nel report della prima edizione del MI AMI, dove Babalot era presente: "Il sound check non sa cosa sia perchè "tanto devo solo attaccare il jack". E poi sempre quell'aria sofferente di un bambino costretto a recitare la poesia di Natale davanti un plotone d'esecuzione". Ecco, questo è Babalot nell'arrabattarsi in una vita insoddisfacente, fino a tormentarsi nel ritornello più catchy di tutto il disco:
Esiste o non esiste niente
Possibilmente riposante
Per vivere felicemente
Che non sia fare il cantante
Non c'è la rassegnazione nel doversi accontentare per non essere una star, quanto il rivendicare il delirio ingarbugliato in cui ci siamo infilati e che chiamiamo vita. Anche perché Babalot un cantante lo è, e anche se quel "possibilmente riposante" cantato così, sopra l'assordante colpo di rullante che entra a fare da contraltare alla cassa, tradisce un nervosismo nel bisogno di una boccata d'aria, il "vivere felicemente" lui se l'è scelto comunque (o almeno ci piace pensarlo).
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L'articolo Si può essere felici senza fare i cantanti? di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-04-22 15:12:00
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