Venerdì 1° Dicembre Bologna diventa uno skianto con un intera giornata dedicata al ricordo del mitico leader Freak Antoni e l'istituzione di un Premio a lui dedicato. Si pare alle 18.30 in Libreria Feltrinelli di Piazza Ravegnana per la presentazione del libro ‘Skiantos. Una storia come questa non c’era mai stata…e non ci sarà mai più’, per proseguire alle 20:30 con la consegna del premio nel foyer del Teatro Comunale, con le esibizioni di Cortex e Chiara Brancaccio e tanti ospiti a sorpresa. Ne approdittiamo per riscoprire la storia di "Inascoltable" degli Skiantos.
Bologna, una notte di novembre del 1977. L’anno sta per finire. Ed è stato un anno movimentato. Qualcuno ha sognato la rivoluzione, altri hanno spedito i carri armati, e c’è chi ci ha lasciato la vita, come Francesco Lorusso. In sottofondo una colonna sonora severa, grigia come il cielo sopra quei giorni complicati. Ma la storia che andremo a raccontare non ha nulla a che vedere con tutto questo. Se non marginalmente. Sì, siamo sempre nel ’77 e qualcuno sta provando a sostituire quella colonna sonora, rimasta lì, in sottofondo. È la storia di “Inascoltable”, il primo vagito emesso dagli Skiantos.
A Bologna, nonostante la sconfitta del Movimento Studentesco, l’aria rimane frizzante. Sarà perché in città un numero impressionante di band è impegnata a incrinare la sacra trimurti cantautore-politica-impegno. E poi, il punk comincia a fare capolino anche nel Belpaese. “Quei cantautori” – spiega Freak Antoni nell’introduzione di “Il linguaggio del rock italiano” (Massimo Depaoli, Longo Editore, 1988) – “velleitari, patetici e moralisti che furono la scoperta e il business dell’industria discografica italiana negli anni ’70. Figuri melensi, ottocenteschi nella forma e nella sostanza che i rockettari evitavano accuratamente di ascoltare”. Roberto Antoni, detto Freak, è uno studente del DAMS che a inizio decennio ha formato un gruppo: Freak Antoni e la demenza precoce. “I nostri primi esperimenti” – ricorda il leader degli Skiantos tra le pagine di “Non c’è gusto in Italia a essere Freak” (Feltrinelli, 1994) – “(furono) davvero molto interessanti, abbastanza radicali. Avvennero nella mia cantina, ove ero solito radunare amici, compagni di classe, conoscenze varie per iniziare a comporre canzoni assurde dettate dalla regola ferrea, precisa, molto determinata che non si parlasse d’amore in maniera sdolcinata secondo quei canoni caratteristici tipici della classica canzonetta all’italiana. (…) C’imponemmo di comporre canzoni che parlassero di pastasciutta, esaminando ogni cosa con una grande materialità... ma non per disconoscere una spinta spirituale e dialettica che c’era come nostra esigenza, bensì per opporci decisamente contro la retorica del periodo, contro il qualunquismo canzonettaro del mondo musicale italiano, legato alle solite rime, ai soliti temi”.
Andrea Setti, chiamato familiarmente Jimmy Bellafronte, è un amico di Freak, si frequentano sin dai tempi delle elementari, sono compagni di classe. La loro amicizia, nata tra i banchi di scuola, si rinsalda col passare degli anni. I due hanno un interesse in comune: la musica. Ma gli esperimenti della loro prima band non bastano più. Vogliono incidere un album. Il fatto che entrambi non sappiano suonare e nemmeno cantare è un particolare di poco conto. Freak conosce Oderso Rubini, un produttore discografico che ha appena fondato l’etichetta Harpo’s Bazaar: è lui a indirizzarlo alla M.T.A., lo studio di registrazione di Gianni Gitti, in via Schiavonia. Freak tempesta di telefonate Gitti, poi decide di affrontarlo di persona. Il loro dialogo, quello decisivo, riassunto in “Tutto in una notte”, docu-film girato da Emanuele Angiuli nel 2013, è alquanto surreale: “Tutti quelli che non sanno suonare né cantare vogliono incidere un disco”, “Va bene, quando si comincia?”, “Domani”. A patto, aggiunge Gitti, di registrare tutto in una notte: l’indomani la sala sarà occupata da un cantautore di belle speranze, tale Vasco Rossi, anche se in realtà il futuro Blasco, su suggerimento dello stesso Gitti, se ne andrà a registrare alla Fonoprint, uno studio situato di fronte alla M.T.A..
Gli Skiantos negli anni '70 (foto via Orrore a 33 giri)
Nel frattempo Freak ha radunato la band. Ha già deciso di chiamarla con la ragione sociale Skiantos. Oltre a Setti, è prevista la presenza del cantante Stefano “Spisni Sbarbo” Cavedoni, conosciuto tra le aule del DAMS. Quest’ultimo recluta Fabio Testoni, il futuro “Dandy Bestia”, chitarrista professionista, esperto di liscio e con un passato nell’orchestra di Peppino Di Capri. A ruota arrivano tutti gli altri: i cantanti Bubba Loris e Mario “Come-lini” Comellini, ex compagno di classe di Freak e Bellafronte, i chitarristi Andrea Dalla Valle, detto “Andy Bellombrosa” nonché cugino di Cavedoni e Gianni “Lo Grezzo” Bolelli, i bassisti Franco “Frankie Grossolani” Villani e Stefano “Ringo Starter” Sarti. Discorso a parte merita il batterista: si chiama Lucio (forse), vanno a prenderlo al quartiere Barca. Lui suona e poi se ne va e nessuno degli Skiantos lo rivedrà più dopo quella notte. Ancora non lo sanno, ma quegli undici pseudo-musicisti stanno per scrivere un pezzo di storia del rock italiano.
“Siamo un gruppo di totali incapaci” – confida Freak a Gitti – “(…)Secondo noi quello che ostacola, frega e mette fuori strada i musicisti tradizionali è che sanno suonare, hanno tutta una serie di nozioni che li spingono sempre là, nella direzione del comporre in maniera tradizionale. A noi piacerebbe vedere che cosa succede quando si è degli analfabeti, ma con la passione della musica e la voglia di confrontarsi con i miti del rock che avevamo introiettato, divorato in tutti quegli anni” (da “Inascoltable, il libro”, a cura di Oderso Rubini e Roberto Serra, Shake, 2008). Gli Skiantos entrano in sala di registrazione con le idee non troppo chiare. Certo, ci sono i testi scritti da Freak, oltre a qualche canzone già esistente dai tempi della “Demenza Precoce” (come “Makaroni”), per il resto si improvvisa al grido di “buona la prima”. È una notte confusa e disordinata. Il caos regna sovrano e in mezzo al caos prendono vita dodici canzoni rozze, grezze e volgari, tanto per parafrasare uno dei pezzi che troveranno posto nell’album, tra stecche di ogni genere, stonature senza appello, prove canore da ergastolo. Freak vuole che rimanga tutto così, che gli errori rimangano tali. “Io mi imposi subito”, scrive Antoni tra le pagine di “Inascoltable, il libro”, “volli che gli sbagli fossero mantenuti, mi sembravano importanti, divertenti e significativi. Mi rendo conto adesso che la cosa era piuttosto rivoluzionaria, perché nessuno lascia degli sbagli su un disco. (…) E meno che mai si diverte a riascoltarli”. Vero fino a un certo punto visto che alla fine Gitti toglierà la pista del basso, lasciandone solo qualche frammento: era suonato troppo male, e a tutto c’è un limite. Le canzoni buttate giù in quella notte verranno incluse in una musicassetta dall’esplicito titolo “Inascoltable”, distribuita dall’Harpo’s Bazaar e stampata in 500 copie (più una sessantina destinata alla promozione), esaurite in poco tempo. È nata una creatura: il rock demenziale.
“Inascoltable” è un’opera unica, difficilmente catalogabile, che mette insieme il rock, il blues, qualche accenno di punk, il grottesco sentimentalismo avvolto tra le note di “Lieve affranto (moderato dolore)”. Un blocco granitico di rumore cementato da testi improntati sul no-sense (“Se tu apri quella porta, puoi trovarci una torta, ma se trovi una corda fatti un permanent flebo”), attanagliati da rime al bacio (”Spacco tutto, sono brutto, poi mi butto, faccio un rutto, son distrutto”, “Tutti fatti come matti noi rompiamo tutti i piatti, ci stendiamo sopra i letti, meglio stare ai patti”) o sulle reiterazione di veri e propri tormentoni (“Io te la do su e giù”, “Questo è un blues a balues”). Una forma di linguaggio che Chiara Righi, nel suo “Avanguardia Panka Rock” (Artype, 2017), definisce “dissociato” e figlio legittimo dell’esperienza dadaista. È nota la passione di Freak Antoni per l’arte d’avanguardia, in particolare proprio nei confronti di Dada e del futurismo. “Gli Skiantos” – secondo l’opinione di Righi – “applicheranno in diversi testi una decostruzione sintattica. Tramite l’irrazionalità e il puro gusto di giocare con il suono delle parole si ritrovano addirittura a superare gli esperimenti futuristi, legati comunque alla rappresentazione di qualcosa di oggettivo, approdando in un campo letterario più vicino alla poesia dadaista”. E ancora: “(Freak Antoni) opera dei microinterventi sulle strutture che (…) compongono (la lingua italiana), prestando attenzione sia alle valenze dei singoli elementi compositivi che ai meccanismi interni alla costruzione lessicale. (…) È proprio per questo motivo che la sua poetica si va a intersecare intimamente con la ricerca dei poeti dadaisti. Anche loro vanno ad agire proprio sulle strutture lessicali, destabilizzandole e rimodellandole a piacimento”.
Allo stesso modo in cui i dadaisti, Tristan Tzara in testa, scandalizzavano la borghesia a colpi di sberleffi, gli Skiantos entrano a gamba tesa nel mondo della discografia scompaginando le certezze degli odiati cantautori, cucinando spaghetti sul palco, gettando al pubblico manciate di verdura, possibilmente marcia. Non sarà una vittoria netta, almeno dal punto di vista commerciale. Poi, il percorso musicale della band bolognese, come noto, andrà oltre il caos avanguardistico di “Inascoltable”. Pochi i passi falsi (“Ti spalmo la crema”, su “Pesissimo” il dibattito è aperto) di una carriera che ha visto gli Skiantos partire dalle cantine e arrivare nella fogna (Freak Antoni dixit). Una storia che continua, anche senza l’apporto del compianto Freak.
(Grazie a Chiara Righi e a Oderso Rubini)
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L'articolo Contro il qualunquismo canzonettaro del mondo musicale italiano: la storia di “Inascoltable” degli Skiantos di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2017-11-30 11:51:00
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