Habemus record shop: ce l’abbiamo fatta, inaugurato sabato scorso con una bella festa e tanta gente felice. I Mr Bison hanno spianato i presenti e i vicini manco si sono lamentati, grandioso. Mi sono fatto una foto con mio nonno 90enne che teneva in mano un disco dei Cypress Hill, classico. Ovviamente ho scazzato con mia madre che per un mese ha cercato di sabotare la disposizione dell’allestimento interno per la gestione del rinfresco. Scene da un matrimonio come da Mengacci. Mi sento particolarmente a mio agio nella nuova via: pur essendo esattamente quella successiva e parallela, è poco frequentata. Da queste parti vieni se vuoi venirci, e a me sta bene. Ok, la posizione centrale è necessaria per rendersi visibili, questione delicatissima 4 anni fa, ma dopo un po’ il passaggio distratto di questo sottobosco poco recettivo e ignorante (cioè-che-ignora), scene convulse con bambini al guinzaglio e coppette gelato sul punto di straripare, era diventato solo angosciante. Sono ancora in fase esplorativa: entro, mi guardo intorno e inizio a pascolare.
C’è un buon odore di legno, i punti luce sono perfetti, misuro il bancone (perché?), metto su le mie canzoni preferite e mi sposto cercando di capire dove cadono meglio le basse. “Maggot Brain” dei Funkedelic, o meglio di Eddie Hazell, è stata la prima. Poi Etta James. Poi, salto carpiato: Addison Groove e Rashad. Poi Nick Hackim, poi Master of Reality, poi “Il mio caro angelo” di Battisti, poi Action Bronson, poi Dilla e infine Flying Lotus.
È molto grande, uno spazio che mai avrei mai immaginato di possedere, figuriamoci gestire come una piccola impresa. È come ricominciare da capo. Anche se sostanzialmente il lavoro è lo stesso, la sensazione è quella di guidare una macchina di un’altra categoria. Aumenta la pressione: da uno spot del genere mi aspetterei un servizio degno della bellezza dell’ambiente, che è innegabile. Ben venga, non aspettavo altro. Devo riempirlo proprio perché è così grande, soprattutto. I dischi non bastano mai, e questo sempre e comunque, ma in 160mq anche quantità relativamente alte spariscono. Sono molto soddisfatto per lo spazio dedicato ai live act, incontri e workshop.
Il core di bottega rimarranno sempre gli lp, ma voglio che Slow sia anche uno spazio per la diffusione e condivisione di idee. Se non lo sarà, sarà monco. Si è finalmente dissolta molta della diffidenza iniziale, l’attività ha assunto un valore diverso, migliore, anche per i non interessati alla materia. La percezione è cambiata: da incomprensibile suicidio commerciale, esperimento o capriccio, per la comunità in cui vivo Slow è una possibilità, il segnale di una nuova generazione di uomini e donne che con la crisi tra i coglioni, il collassare dell’occupazione e del lavoro tradizionale, cercano strade meno ortodosse per vivere la loro vita in pace.
Sorrido guardandomi indietro, perché tutto questo lo vedevo. Lo vedevo oltre la selva inestricabile dei comprensibilissimi dubbi altrui. Ricordo che scrissi, incredibile a ripensarci, rischiando la figura barbina della vita: “Chi mi conosce bene, sa che non è solo business” Business, capito? Proprio business scrissi, come se avessi avuto chissà quale esperienza o curriculum da dispiegare. I kamikaze sono più consapevoli, e ne vado molto orgoglioso.
In tutto questo la mia nemesi, cioè quella frangia oltranzista di super saccenti perlopiù over 50, fortunatamente il 2%, che sfogliano i dischi altezzosi, espressione corrucciata, con una mano sola e l’altra sul fianco, mai soddisfatti, ci sono ancora e non cambiano mai. Sono evidentemente infastiditi per tutto questo ciarlare sul vinile, roba loro, mica nostra. Riescono a stupirsi (ancora , dio mio) per il minimo di conoscenza di base necessaria per gestire questa attività, La Formula 3 o il tizio che suonava con Don Cherry, come se non fossimo in grado di contestualizzare, storicizzare e valorizzare il nostro retaggio culturale. Magari si aspettano che gli dica che Syd Barrett scrisse Opel quando era tornitore alla Opel. Solita vecchia storia: l’adulto onnisciente e il giovane uomo impreparato. “E te stàngali!”, che da noi significa farli pagare salato, come dice mio padre. Da quando seguo il suo consiglio non me la prendo più.
---
L'articolo Cronache da un negozio di dischi: l'inaugurazione del nuovo store Slow Records di Alessio Cruschelli - Slow Records è apparso su Rockit.it il 2017-05-04 12:42:00
COMMENTI